Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Fedele da Sigmaringen a cura di Ermes Dovico
ORA DI DOTTRINA / 67 - IL SUPPLEMENTO

La realtà non è un numero

Siamo invasi dai numeri, la misurazione è di fatto considerata l'unica modalità oggettiva di accesso ai "fatti". Ma non si può ridurre la realtà a statistica; un mondo "numerizzato" non è un mondo più oggettivo, solo più povero e comunque una caricatura del mondo reale.

Catechismo 07_05_2023

Il mondo divenne numero. Sulla bocca di tutti, come abbiamo visto, ricorre la confessione dell’onnipotenza della scienza, segno di un’adesione di natura fideistica a quanto è semplicemente frutto della variabile e imperfetta conoscenza umana, o meglio, di un certo ambito della conoscenza umana. Ma altrettanto frequente è un’altra espressione, non meno eloquente: “i numeri parlano”, “i numeri sono numeri”, “i numeri non mentono”. O ancora, come segno di sfida in un dibattito: “mostrami i numeri”, supporto indispensabile per poter continuare a parlare.

Siamo invasi da istogrammi, areogrammi, diagrammi cartesiani, cartogrammi, con i loro colori magicamente attraenti; siamo governati da diagrammi di flusso, che danno l’apparenza della rigorosa logicità delle scelte; siamo catturati da statistiche che si presentano come gli ultimi garanti della realtà. Al di fuori di essi solo mere opinioni.

La misurazione è di fatto considerata l’unica modalità oggettiva di accesso ai “fatti”. Ma non sempre si riflette che l’oggetto della misurazione sono proprio i “fatti”, nel senso che è la misurazione stessa che li fa: dunque non un rispecchiamento oggettivo del mondo, ma una produzione, un fare il mondo. E non un fare teorico, ma molto, molto pratico, con ricadute tutt’altro che astratte sulla vita delle persone.

La vita di interi Stati, e dei loro cittadini, è plasmata dal numero. Quanti soldi avrai nel portafoglio lo determinano le manovre economiche, che devono sempre rispondere a dei criteri numerici: rapporto disavanzo pubblico e PIL inferiore al 3%, rapporto debito pubblico lordo e PIL non superiore al 60%, etc., tanto per richiamare i parametri di Maastricht, che appaiono come rivelati da Dio a Mosè. Parametri numerici, la cui violazione costituisce il nuovo intrinsece malum della moralità.

A determinare se si possa uscire di casa, dal comune o dalla regione sono stati ancora una volta dati numerici, di fronte ai quali i più si sono adattati, pensando che “se non si può, non si può”: lo dicono i numeri e i numeri dicono la realtà. Le mascherine servivano per abbassare la curva, il coprifuoco per appiattirla, gli arresti domiciliari, più neutralmente battezzati come lockdown, per scongiurare una nuova crescita della curva. Ogni giorno il bollettino, poi i monitoraggi indiscutibili del GIMBE (Evidence for Health!): non si vedeva altro che numeri.

Non c’è politica economica, sociale, sanitaria che non sia determinata dai numeri; e da numeri aggiunti a numeri, ossia i nuovi indicatori, per migliorare le statistiche; e poi da altri numeri per confutare i primi numeri: statistiche contro statistiche. Se un bambino debba avere un padre e una madre, lo devono decidere gli studi, ovviamente quelli che riportano i numeri; se a Messa si debba usare il latino, lo devono decidere i sondaggi, cioè i numeri; se si possa ancora usare un’auto Euro 5, lo devono decidere le proiezioni sul riscaldamento globale per i prossimi trent’anni. Non c’è poi politica relativa alla (de)natalità che non sfoderi grafici e numeri.

Una persona normale, legata al reale, chiederebbe inevitabilmente: ma chi l’ha detto? Ma la persona normale sa anche che è quasi inutile porre la domanda, perché la risposta è sempre quella: i numeri non mentono. L’unica realtà che oggi viene presa in considerazione è quella che può essere colta da e comunicata con i numeri. O meglio, la realtà coincide con la statistica, le proiezioni, i sondaggi, viene occultata dietro una fitta e implacabile rete di numeri. La categoria della quantità ha definitivamente soppiantato quella di qualità ed ha polverizzato quella della sostanza.

Il lettore ricorderà la risposta della Presidente della Corte Costituzionale, Silvana Sciarra, alla giornalista Maddalena Loy. Qual era il punto discriminante che ha portato alla sentenza della Consulta del 1° dicembre 2022? I dati scientifici. La Sciarra la fa calare dall’alto, ma il concetto è questo: «Nel valutare il bilanciamento che il legislatore aveva fatto, aveva svolto, acquisendo dati scientifici […], la Corte ha ritenuto che quel bilanciamento che il legislatore aveva fatto sulla scorta di dati scientifici non fosse irragionevole».

Ora, mettiamo un attimo tra parentesi la più che lecita domanda su quali dati scientifici si siano presi in considerazione. Il punto è che alla fine del 2022 già c’erano i fatti che non parlavano, ma gridavano. Già c’erano persone vaccinate che si reinfettavano, che contagiavano, che si riammalavano; già c’erano persone morte a breve distanza di tempo dalla vaccinazione ed altre gravemente menomate. Che peso ha avuto la realtà nella decisione della Corte? Nessuna. E la signora Sciarra ne spiega la ragione: non abbiamo occhi che per i numeri. La realtà, le persone? Coperte, nascoste; o, se preferite, i numeri hanno obnubilato la vista della Corte. Come il simbolo dei dollari quelli di zio Paperone.

L’impero del numero era stato ben compreso e descritto nel 2016 da Olivier Rey, nel suo Quand le monde s’est fait nombre: «Per la prima volta nella storia, gli Stati si sono stretti attorno a grandezze statistiche, elevate al rango di elementi espliciti dell’esercizio del diritto».

Continua Rey: «Non è all'esperienza personale, ma alla statistica che dobbiamo ormai affidarci per sapere cosa pensare della realtà. In questo modo, la realtà tende ad essere assorbita dall'indicatore che avrebbe dovuto fornire informazioni su di essa, a non essere più la fonte ma il corollario delle statistiche. Nietzsche rimproverava alle filosofie idealiste e alla religione di aver inventato "mondi paralleli", dei quali l’aldiqua non era altro che un riflesso deformato e incoerente. Oggi è la statistica che forgia questo mondo con una sorta di irrealtà».

Va da sé che un mondo “numerizzato” non è un mondo più oggettivo: è semplicemente un mondo più povero e dunque una caricatura del mondo reale. La forza del consenso che i numeri, in forza della loro “oggettività”, possono creare ha il limite non secondario di creare consenso su qualcosa che non è la realtà. E quando si scambia la realtà con qualcos’altro si corrono rischi estremamente seri. La divaricazione tra la “realtà” che ci consegnano i numeri e la “realtà reale” aumenta man mano che ci spostiamo verso il mondo vivente ed ancor più verso quegli esseri caratterizzati da volontà e intelligenza.

Il primo passo, allora, è iniziare a comprendere che la realtà non è comprensibile né comunicabile solo numericamente. Occorre demitizzare il numero, come occorre demitizzare la scienza. Il maggior sforzo riguarda però la comprensione degli itinerari culturali che hanno reso possibile la situazione odierna dove l’alleanza tra scienza e numero come unico orizzonte “oggettivo” dello scibile e dell’esprimibile sta strozzando la vita degli uomini e delle comunità. Ed ancora, cosa accade quando scienza e numero esauriscono l’orizzonte della politica.