La rassegna degli eroi italici
Se nel libro VI Enea aveva visto le anime dei grandi che sarebbero ritornati in Terra dai campi Elisi, alla fine del libro VIII sono cesellate sullo scudo di Enea le gesta (tante, non tutte) che hanno portato Roma a divenire caput mundi all’epoca in cui Virgilio scrive il poema epico-celebrativo.
Tante città si preparano alla guerra contro i nuovi arrivati, i Troiani: «la potente Atina, Tivoli superba,/Ardea, Crustumeri ed Antenna turrita». La dedizione ai campi degli abitanti si trasforma in sforzo militare e bellico: si forgiano armi, si danno segnali di guerra.
Prima di raccontare questa nuova storia, l’ennesima guerra che i Troiani si trovano ad affrontare, Virgilio sente il dovere di intonare una nuova invocazione alle Muse perché lo aiutino a ricordare i sovrani e i popoli italici che si scontrarono contro i Troiani:
Aprite adesso, dee, l'Elicona e ispiratemi il canto,
quali re chiamati alla guerra, quali schiere, seguendo ognuno,
abbian riempito le piane, di quali uomini già allora l'Italia,
alma terra, fosse fiorente, di quali armi sia arsa;
certo ricordate, divine, e potete raccontare;
a noi a stento scivola un leggero soffio di fama.
Il narratore porta così un lungo elenco di eroi, che saranno sconfitti: il re etrusco Mesenzio, Aventino, figlio di Ercole, Catillo e Cora, gemelli fondatori di Tivoli, Ceculo, fondatore di Preneste, Clauso, re della Sabina, e tanti altri. Per ben centosettantatré versi Virgilio ci presenta personaggi eroici dell’antica Italia: di alcuni di loro non troveremo traccia negli ultimi cinque libri del poema. Chiudono la lunga teoria dei combattenti Ufente, re di Nersa, Turno, il più forte e il più bello, che diverrà personaggio centrale nel prosieguo della storia, e Camilla, regina dei Volsci, bellissima e assai forte nelle armi.
Ecco a noi la descrizione di Turno:
Tra i primi, lui, Turno, prestante nella figura, volteggia,
le armi in pugno, e tutti sovrasta di tutta la testa.
E subito dopo la presentazione di Camilla:
In più sopraggiunge, volsca di famiglia, Camilla,
alla testa d’uno stormo a cavallo e di truppe fiorite di bronzo,
non educata a trattare con mani di donna fuso e conocchia
di Minerva, ma ad affrontare piuttosto, guerriera
e vergine, dure battaglie e a sorpassare i venti correndo.
Tutti ammirano estasiati la bellezza e la fierezza della vergine Camilla, stupiti di come lei possa vestire un velo di porpora con grazia regale e portare le armi con eleganza. La sua figura sarà fonte di ispirazione della bellissima Clorinda nella Gerusalemme liberata di Tasso.
Quando incontrerà Dante nella selva oscura, Virgilio profetizzerà l’arrivo del veltro quale salvezza
di quella umile Italia fia salute
per cui morì la vergine Cammilla,
Eurialo e Turno e Niso di ferute.
Re Turno invia Venulo «nella città del grande Diomede» per chiedere aiuto e informarlo dell’arrivo dei Troiani e del loro capo Enea che è convinto che gli dei lo abbiano indicato come re cui sono destinate quelle terre.
Turbato dai presagi di guerra, Enea è consolato dal dio fiume Tiberino che lo invita a sostare in quel luogo e a non diffidare perché proprio quelle terre sono destinate loro alla realizzazione di una nuova Troia: entro trent’anni Ascanio fonderà Albalonga, la città bianca e lunga. Compiute le abluzioni da rito, Enea salpa su una barca e giunge nei pressi della rocca di una città. Evandro, re degli Arcadi, si spaventa alla vista di armi straniere e invia il figlio Pallante che interpelli i nuovi arrivati sulle loro intenzioni. Tra Arcadi e Troiani si stipula un’alleanza. Enea cerca poi nuovi alleati e riparte. Venere intanto ha chiesto al marito, il dio Vulcano, la realizzazione di nuove armi per il figlio Enea che può così portarle nella guerra che sta per scoppiare. È Venere stessa a consegnarle al figlio dicendogli:
Ecco qui, messo a punto dall’arte di mio marito,
il dono promesso, perché, figlio mio, tu non esiti più
ad affrontare i trionfi laurentini e la boria di Turno.
Enea passa in rassegna l’elmo, la spada, la corazza con le scaglie di rame, le gambiere, l’asta e poi il meraviglioso scudo rotondo lavorato dal dio Vulcano con le vicende principali della storia romana.
Una ventina di episodi rappresentati nell’oro cesellato fungono da commemorazione della grandezza ventura di Roma. Il dio, «esperto di vaticini e conscio dei tempi avvenire», ha rappresentato: una lupa appena sgravata e due gemelli; il ratto delle Sabine; l’assedio di Porsenna; Orazio Coclite che recide il ponte per impedire l’ingresso degli Etruschi; Manlio che sorveglia la rocca del Campidoglio; le oche che starnazzano «che i galli sono alle porte»; Catilina che congiura contro Roma; Catone «che detta le leggi dei giusti»; la battaglia di Azio in cui Ottaviano sconfigge Marco Antonio divenendo imperatore di Roma; la celebrazione in cui Cesare Augusto (sempre Ottaviano) consacra trecento templi agli dei dell’Italia in un triplice trionfo su Azio, Dalmazia e Alessandria d’Egitto.
Gli ultimi due episodi che vedono la gloria dell’imperatore Augusto ricoprono uno spazio considerevole ad indicare, una volta ancora, la visione storica di cui l’Eneide si fa portatrice. Tutte le vicende storiche romane sono una preparazione all’impero augusteo in una prospettiva teleologica secondo la quale tutto accade in vista di un fine e nella storia umana si può constatare la realizzazione di un piano.
Se nel libro VI Enea aveva visto le anime dei grandi che sarebbero ritornati in Terra dai campi Elisi, alla fine del libro VIII sono cesellate sullo scudo di Enea le gesta (tante, non tutte) che hanno portato Roma a divenire caput mundi all’epoca in cui Virgilio scrive il poema epico-celebrativo.