La rabbia inglese per le chiese chiuse dai vescovi
La sospensione delle funzioni religiose con la presenza dei fedeli resterà uno dei capitoli più discussi e probabilmente più divisivi nella memoria collettiva sui giorni più difficili dell'emergenza coronavirus. All'estero, in effetti, la fine della fase più acuta dell'emergenza non ha spento il dibattito sul comportamento dei vertici ecclesiastici locali durante la pandemia.
La sospensione delle funzioni religiose con la presenza dei fedeli resterà uno dei capitoli più discussi e probabilmente più divisivi nella memoria collettiva sui giorni più difficili dell'emergenza coronavirus.
In Italia è ancora fresco il ricordo delle rigidità del Comitato tecnico-scientifico che provocarono la vibrante protesta della Cei, poi rientrata non senza polemiche. Ma il problema non è stato soltanto italiano e i nostri vescovi non sono stati gli unici a finire nel mirino di fedeli che hanno rimproverato alla Chiesa una certa arrendevolezza. All'estero, in effetti, la fine della fase più acuta dell'emergenza non ha spento il dibattito sul comportamento dei vertici ecclesiastici locali durante la pandemia.
Nel Regno Unito, ad esempio, una delle firme più note dell'antico e autorevole magazine The Spectator non ha avuto la mano leggera nel giudicare la condotta della Conferenza episcopale cattolica di Inghilterra e Galles. Mary Wakefield, commissioning editor del settimanale di tendenze conservatrici in circolazione da quasi due secoli, ha lanciato un vero e proprio j'accuse in un articolo dell'edizione di inizio agosto dal titolo che non lascia adito a fraintendimenti: "Il vile tradimento della Chiesa cattolica". Un intervento che assume un particolare interesse se si considera che la giornalista è la moglie di Dominic Cummings, il consigliere politico più ascoltato dal premier Boris Johnson, presente anche alla riunione del comitato scientifico a seguito della quale venne deciso il lockdown nazionale. La coppia, inoltre, aveva contratto il Covid nel mese di maggio ed era stata sottoposta al fuoco delle polemiche mosse dall'opposizione liberal-laburista e dalla stampa ostile per aver infranto l'auto-isolamento ed essersi recata a 300 km da Londra con il figlio di tre anni. Nonostante il clamore mediatico, BoJo e i Tories hanno blindato la posizione a Downing Street dell'uomo considerato l'artefice della vittoriosa campagna a favore del Leave.
Al centro della reprimenda di Wakefield contro i vescovi inglesi è finita la loro decisione sugli accessi dei cappellani negli ospedali. Il 5 aprile infatti, mentre il Paese era già in lockdown dal 23 marzo, la Conferenza episcopale cattolica di Inghilterra e Galles ha emesso una dichiarazione con l'ordine ai sacerdoti di "seguire le istruzioni delle autorità ospedaliere" sebbene esse vadano contro l'"istinto di fornire" sacramenti a persone in fin di vita perché la "cura pastorale, nelle attuali circostanze, deve ridurre al minimo la diffusione del virus".
L'articolo su The Spectator ha attaccato duramente il Revised Hospital Chaplaincy Advice firmato da monsignor Paul Mason parlando di "Chiesa inglese avversa al rischio" che ha preso una decisione "non necessaria" in quanto "i sacerdoti stavano già ungendo i pazienti in modo sicuro usando un batuffolo di cotone imbevuto di olio santo" come veniva fatto "in tutto il mondo". Secondo l'autrice, i vescovi inglesi si sarebbero dimostrati non solo "codardi" - come sostenuto da Damian Thompson, suo collega al The Spectator e caporedattore del Catholic Herald - ma anche "catastroficamente autolesionisti" perché nel momento in cui "abbandonano i sacramenti, distruggono la loro stessa credibilità".
A Mary Wakefield, inoltre, non è andato giù l'elogio pubblico rivolto agli operatori sanitari dal cardinale Nichols, primate cattolico di Inghilterra e Galles. Un'esaltazione che, a suo modo di vedere, risulterebbe contraddittoria con il contenuto della dichiarazione del 5 aprile sui cappellani: "Proprio come hanno incolpato il governo per la decisione di chiudere le chiese - ha scritto la giornalista - così, quasi impercettibilmente, i vescovi hanno attribuito la colpa per aver abbandonato i moribondi all'NHS (servizio sanitario nazionale, ndr)". "L'intero tono di quella dichiarazione del 5 aprile - si legge nell'articolo - suggeriva che gli ospedali avevano fatto pressioni sulla Chiesa per sospendere le visite dei cappellani".
Alla luce di ciò, Wakefield si è chiesta se "un singolo ospedale dell'NHS" abbia "mai contattato la Chiesa cattolica per lamentarsi della presenza dei cappellani". Una domanda che ha rivolto anche alla Conferenza episcopale senza – a detta dell’autrice – ottenere alcuna risposta. In diocesi come quella di Salford, però, sappiamo che molti cappellani, per via dell'età avanzata, si erano messi in auto-isolamento allo scoppio della pandemia e che c'erano grandi difficoltà a trovare dei sostituti. Ma in compenso il vescovo locale, John Arnold, aveva spiegato che gli ospedali della zona si erano dimostrati "molto accomodanti" di fronte alle esigenze pastorali dei pazienti. Analoga disponibilità dimostrata dagli ospedali di Birmingham, dal momento che l'arcivescovo Bernard Longley aveva ringraziato le autorità sanitarie che continuavano ad ammettere i cappellani nei reparti.
L'articolo di Wakefield, convertitasi al cattolicesimo dopo essersi appassionata alla figura e agli scritti di Joseph Ratzinger, potrebbe essere interpretato da qualcuno come una "vendetta" contro il presidente della Conferenza episcopale: il cardinale Nichols, infatti, nell'omelia per la solennità di Pentecoste non aveva rinunciato a lanciare una frecciata all'esecutivo di Johnson che il 31 maggio scorso non aveva ancora individuato la data di riapertura delle chiese nel Regno Unito. In quell'occasione, l'arcivescovo di Westminster aveva detto che era giunto "il momento di passare all'apertura graduale delle chiese" visto che i cattolici inglesi avevano "accettato la decisione del Governo" di chiuderle in nome della "protezione della vita", ma faticavano ad accettare il fatto che, nel frattempo, il Primo Ministro aveva annunciato la riapertura dei negozi a partire dal 15 giugno. Il cardinal Nichols aveva affermato: "Perché le chiese sono escluse da questa decisione? L'importanza della fede per così tante persone è chiara; il ruolo della fede nella nostra società è stato reso ancora più chiaro in queste ultime settimane: per la cura disinteressata dei malati e dei morenti; per fornire un comfort fondamentale durante il lutto". Per il capo dei vescovi inglesi non esisteva alcun "rischio per una persona che siede tranquillamente in una chiesa che viene accuratamente pulita, adeguatamente sorvegliata e in cui viene mantenuto il distanziamento sociale".
La tirata d'orecchi del porporato al governo conservatore era servita ad ottenere il via libera alla riapertura delle chiese per la preghiera privata fissata proprio al 15 giugno, agevolando la strada alla ripresa del culto pubblico dal 4 luglio. C’è da dire, però, che prima dell’omelia di Pentecoste l’atteggiamento del primate d’Inghilterra e di Galles era stato differente al punto che, come riportato da Life Site News, Nichols aveva scritto una lettera ai fedeli difendendo il lockdown disposto dal governo e spiegando che "agire contrariamente alle linee-guida" avrebbe significato "mettere in pericolo la vita" degli altri. Non solo: nell'articolo a firma di Paul Smeaton viene messo in evidenza come i vescovi inglesi, attraverso il consulente sanitario della Conferenza episcopale Jim McManus, avrebbero svolto un ruolo cruciale nella decisione governativa di chiudere le chiese.
I dubbi sulle motivazioni all'origine del Revised Hospital Chaplaincy Advice, quindi, hanno portato la moglie del senior adviser di BoJo ad accusare la Conferenza episcopale di scaricabarile ai danni del governo, nel caso delle chiese, e a discapito del servizio sanitario nazionale, nel caso dell'amministrazione dei sacramenti nelle corsie d'ospedale. Strascichi polemici di una delle pagine più sofferte della storia contemporanea del Regno Unito. Con la fine della fase più acuta dell'emergenza, anche i cattolici d'Oltremanica sono chiamati ora a fare i conti con la sfida più grande che aspetta la Chiesa nel post-coronavirus: evitare che i fedeli si disabituino all'accesso ai sacramenti e alle funzioni religiose. La storia, come in Francia dopo la Rivoluzione del 1789, ha già dimostrato che questo non è un rischio astratto, purtroppo.