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La questione climatica è un affare per i governi africani

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Primo vertice africano sul clima: un problema da trasformare in «una fonte di opportunità economiche multimiliardarie», secondo il Presidente kenyano. Nessun cenno ai veri problemi del continente, che non sono le emissioni.

Editoriali 09_09_2023

Dal 4 al 6 settembre si è svolto a Nairobi, in Kenya, il primo vertice africano sul clima. Il Presidente del Paese ospite, William Ruto, nel dare il benvenuto alle migliaia di delegati arrivati da tutto il continente, ha detto: «per molto tempo abbiamo considerato il cambiamento climatico come un problema. È giunto il momento di ribaltare la situazione e guardarlo da un’altra prospettiva». «Il nostro obiettivo è di incominciare a cambiare il modo di parlare dell’Africa, non più solo come vittima di fame, carestie e inondazioni», ha aggiunto nel discorso d’apertura il ministro kenyano dell’Ambiente Soipan Tuya.

La nuova prospettiva, ha chiarito il Presidente, se mai ce ne fosse stato bisogno dal momento che tutti avevano capito che cosa intendeva e per questo erano lì, è considerare la questione climatica come «una fonte di opportunità economiche multimiliardarie che l’Africa e il mondo sono pronti a sfruttare». Soprattutto l’Africa, qualcuno dei presenti avrà mormorato, perché sostanzialmente, al di là degli argomenti dichiarati in agenda, lo scopo del vertice era definire entità e modalità delle richieste finanziarie da presentare al Climate Ambition Summit convocato dal segretario generale delle Nazioni Unite, che si terrà il 20 settembre al Palazzo di Vetro, e alla COP28, la conferenza sul clima che si svolgerà dal 30 novembre al 12 dicembre negli Emirati Arabi Uniti. Per questo erano stati invitati i rappresentanti dell’Unione Europea, delle Nazioni Unite, di diversi stati non africani e di istituti di credito e privati, come la Fondazione Bill & Melinda Gates.

Gli africani, invocando una narrazione che li vuole sempre vittime innocenti, chiedono investimenti, finanziamenti, contributi a titolo di dono e prestiti per realizzare la conversione green e per far fronte ai danni causati da fenomeni atmosferici avversi, fondi che andranno ad aggiungersi a tutti gli aiuti umanitari e per lo sviluppo di cui già usufruiscono. Inoltre sono ansiosi di partecipare quanto più possibile al mercato dei carbon credit grazie ai quali possono assicurarsi altri capitali ancora. Non contenti, reclamano ulteriori riduzioni del debito estero, per l’eccessivo ammontare del quale diversi stati rischiano il default (tra cui il  Kenya e la Nigeria) e alcuni già lo hanno fatto (clamoroso il caso del Ghana, un tempo fiore all’occhiello dell’Africa occidentale per stabilità politica e performance economica).

La presidente della Commissione dell’Unione Europea Ursula Von der Leyen, anch’essa a Nairobi, ha assicurato che l’Europa vuole essere partner dell’Africa e, per colmare il gap di investimenti nel continente, ha deciso che metà dei 300 miliardi di euro del piano Global Gateway, un fondo per ridurre il divario globale degli investimenti, saranno destinati all’Africa. Uno dei primi Paesi a garantire il proprio impegno durante il vertice di Nairobi è stata la Gran Bretagna che ha detto di voler investire 61 milioni di dollari in nuovi progetti per aiutare gli africani a gestire l’impatto del cambiamento climatico e ad attuare interventi per il clima. 34 milioni saranno destinati a 15 paesi africani, verranno impiegati in progetti per aiutare donne, comunità a rischio e oltre 400.000 agricoltori a sviluppare resilienza contro gli effetti del cambiamento climatico, ha detto l’Ufficio britannico per gli affari esteri, il Commonwealth e lo sviluppo. La Germania ha annunciato un accordo con il Kenya in base al quale ne condonerà i debiti per un ammontare di 65 milioni di dollari in cambio dell’impegno da parte del paese a investire i fondi in progetti verdi. Inoltre stanzierà altri 486 milioni di dollari per sostenere la lotta dell’Africa contro il cambiamento climatico. Gli Emirati Arabi Uniti si sono impegnati per 4,5 miliardi di dollari in investimenti per l’energia pulita, un decimo dei quali saranno carbon credit.

I governi africani vogliono contributi per almeno 100 miliardi di dollari all’anno e, secondo stime dell’organizzazione non profit Climate Policy Initiative, per realizzare gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda Onu 2030 hanno bisogno complessivamente di 277 milioni all’anno. Forse ne riceveranno persino di più. Il Segretario generale Onu Antonio Guterres infatti ha esortato la comunità internazionale a far sì che l’Africa diventi «una superpotenza delle energie rinnovabili». Il 5 settembre, incontrando i giornalisti, ha parlato dell’«ingiustizia climatica» che opprime gli africani e ha voluto ricordare «le radicate ingiustizie che impediscono ai Paesi africani di dispiegare le loro enormi opportunità e il loro illimitato potenziale».

Le «radicate ingiustizie» che impediscono all’Africa di liberare il proprio potenziale sono la corruzione, il malgoverno, gli scontri e le guerre per il controllo delle istituzioni, il jihad lasciato dilagare, i diritti umani calpestati. Tutti indistintamente lo sanno, anche Guterres. Ma non di questo ha parlato. Il continente subisce – ha elencato invece – i danni peggiori a causa del cambiamento climatico pur contribuendo solo per il 4% alle emissioni globali di CO2, è vittima di un sistema finanziario globale obsoleto e ingiusto, è oppresso dai debiti il che rende necessario un meccanismo che includa la sospensione dei pagamenti, termini di prestito più lunghi e tassi di interesse più bassi. Ma l’ingiustizia più grave, ha aggiunto, è non avere rappresentanza a livello globale a partire dal Consiglio di Sicurezza Onu dove l’Africa non ha un seggio permanente.

Nessuno ha replicato che le maggiori emissioni di gas inquinanti degli altri continenti, posto che fossero davvero all’origine di cambiamenti climatici di origine antropica, servono anche a produrre le risorse che a piene mani si riversano sull’Africa, che i prestiti ai governi africani sono già concessi a condizioni eccezionalmente favorevoli e spesso cancellati e che lo spreco che ne viene fatto è all’origine del crescente indebitamento, che nessun continente è rappresentato al Consiglio di Sicurezza; e, prima di tutto, che continuare ad attribuire a torti subiti, a fattori esterni, ignorando le responsabilità interne, le cause dei problemi africani è l’“ingiustizia” primaria, l’ostacolo che più impedisce di mettere a frutto le opportunità, il potenziale, le immense risorse naturali e umane del continente.
 



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