Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Venerdì Santo a cura di Ermes Dovico
NONOSTANTE IL VIRUS

La propaganda sull'utero in affitto deve continuare

«The propaganda must go on». Sì, la propaganda sui temi etici continua come se nulla fosse. Ne è una prova You, Me and Surrogacy, un nuovo documentario a puntate pro utero in affitto che presenta il tema in modo unilaterale. La menzogna può essere smascherata solo ricordando che il figlio non è un oggetto né un diritto.

Vita e bioetica 19_03_2020

«The propaganda must go on». Si potrebbe commentare così, con una battuta amara, quanto sta avvenendo sui media occidentali in questi giorni di pandemia, che appunto vedono la propaganda sui temi etici continuare alla grande, come nulla fosse. Ne è una prova You, Me and Surrogacy, un nuovo documentario a puntate pro utero in affitto che ha debuttato lunedì sera sull’emittente irlandese Virgin Media One. Perché è un prodotto propagandistico? Ma semplice: perché veicola in modo unilaterale, parziale e in definitiva falso il tema che pretende di sviscerare; per rendersene conto, basta ripercorrerne brevemente i contenuti.

La prima puntata è stata dedicata a Cathy e Keith di Dunlavin, della contea di Wicklow, coppia che da anni tenta di avere un figlio tanto che, tempo addietro, ha pure perso una bimba di nome Helen causa aborto spontaneo. Cathy e Keith non sono benestanti, ma appoggiandosi all’Ucraina (dato che l’Irlanda non ha una legislazione specifica che riconosca la maternità surrogata) stanno cercando di realizzare i loro propositi genitoriali. Una narrazione, quella proposta ai telespettatori, che quindi appare strappalacrime e basata su una storia vera che è al tempo stesso ciò che si può definire un «caso limite».

You, Me and Surrogacy racconta poi le vicende di un’altra coppia, George e Nadia, con lei affetta da un cancro per curare il quale pare abbia visto compromessa la possibilità di aver figli – altro «caso limite» e lacrimevole, quindi -, e, udite udite, quelle di ben due coppie gay: quella di Brendan e Gavin e di John e Gerard, i quali furono la prima coppia omosessuale in Irlanda, ormai 18 anni fa, a ricorrere ad una madre surrogata americana. L’intero documentario, insomma, si risolve in un grande spot pure alle unioni gay, presentate sotto una luce romantica che proprio non considera il diritto del minore ad avere un padre ed una madre e a non essere strappato, appena nato, dal seno di quest’ultima.

Riassumendo, il documentario trasmesso in Irlanda ha diversi profili che è impossibile non definire propagandistici. Il primo è quello, appena ricordato, delle coppie gay, presentate a tutti gli effetti come famiglie al pari delle altre e beneficiate, tanto per cambiare, da una sovraesposizione mediatica. Un secondo elemento manipolatorio consiste nel modo in cui è presentata la madre surrogata, colei che cioè mercifica dietro compenso il proprio utero; You, Me and Surrogacy vuole far credere che si tratti di donne totalmente libere, al punto che per esempio la donna cui si appoggiano Brendan e Gavin è una farmacista, ennesimo «caso limite».

Il terzo e probabilmente più grave inganno del documentario è però un altro, e cioè la totale e sistematica dimenticanza del figlio, lasciato sullo sfondo e ridotto a mero oggetto di compravendita. Si raccontano difatti i desideri genitoriali delle coppie, i loro sogni, ma di cosa comporti essere commissionato, concepito e ritirato proprio come una merce, silenzio: nulla viene detto. Il che rappresenta, a ben vedere, una costante di vari documentari, apparentemente descrittivi ma in realtà manipolatori, pensati e ideati per veicolare una visione ideologica del tema affrontato.

Ne è un esempio anche Made in Boise, recente film della regista Beth Aala centrato su appunto su Boise, capoluogo della contea di Ada che, con i suoi 200.000 abitanti, è anche la capitale dello Stato americano dell'Idaho nonché la Mecca planetaria della surrogazione di maternità; anche in quel caso si è preferito un approccio «neutro» che, nei fatti, si rende invece complice dell’abominio dell’utero in affitto. Ora, che insegnamento trarre da simili, ripetuti sforzi propagandistici?

La lezione appare essenzialmente una: quella dell’importanza, anzi dell’urgenza di continuare a raccontare la verità sull’utero in affitto, pratica che si sta tentando in tutti i modi di edulcorare, ma che resta per sua natura malvagia. Quand’anche infatti vi fossero effettive "donazioni" gratuite di figli da parte di madri a coppie di aspiranti genitori – e sappiamo bene quanto ciò sia residuale per non dire statisticamente irrilevante -, c’è una realtà che nessun documentario potrà offuscare, e cioè che i figli sono persone e non cose. Basta ricordare questo, a ben vedere, per smascherare ogni discorso che la propaganda mediatica sta invece facendo di tutto per tenere aperto, incurante perfino dell’epidemia in corso.