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LA PERSECUZIONE ENTRA IN EUROPA

La profezia di Aiuto alla Chiesa: "Accadrà anche a voi"

Duro comunicato di Aiuto alla Chiesa che soffre: «Esattamente come in Medio Oriente, alla distruzione dei luoghi di culto seguono crimini violenti». Oggi nella stessa città dove Giovanna D'Arco mostrò la potenza di Dio nella storia, ci è chiesto di essere pronti al destino come padre Jaques.

Libertà religiosa 26_07_2016
Padre Jacques Hamel

Finiremo come nel Medio Oriente? Finiremo perseguitati nella nostra stessa terra? La domanda aleggiava fino a poche ore fa, sospesa tra lo spauracchio e l’inguaribile ottimismo dato dagli echi lontani di certe immagini: croci spezzate, altari rovesciati, preti sgozzati al grido di Allah Akbar. Oggi quello spauracchio si fa realtà, terribile realtà proveniente dalle coste che 70 anni fa furono teatro di uno sbarco liberatorio dal totalitarismo nazista e oggi ci portano l’orrore in casa.

Nel cuore dell’Europa, nella stessa città dove la pulzella d’Orleans venne arsa al rogo dimostrando tenacemente la potenza di Dio nella storia, oggi un nuovo martire dopo secoli ritorna a versare il suo sangue nell’immenso mare del mistero di iniquità. Padre Jacques non aveva forse l’indomito coraggio di Giovanna d’Arco, ma anche in lui la fede salda lo ha fatto trovare pronto nel momento più elevato della vita cristiana, la messa, dove la terra e il cielo si uniscono in un unico sacrificio di grazia.

Ucciso durante la messa, nessun martirio è più chiaro perfetto di questo e la storia oggi ritorna per svegliarci ancora una volta, su quello che sta accadendo e sul perché sta accadendo. Nel racconto drammatico che sta emergendo dall'unica suora sopravvissuta il sacerdote è stato fatto inginocchiare mentre i tagliagole affondavano il coltello e recitavano un sermone arabo.

Ma nel birignao odierno di commenti e di cordogli, troppo flebile si sta alzando da parte dei politici il grido di aiuto e speranza che papi come Giovanni Paolo II e Benedetto XVI urlavano in faccia al potere: “Europa, ritrova te stessa”.

A comprendere che quello di ieri è uno scatto in avanti dell’odio anticristiano che si fa porta a porta non sono gli analisti e i loro portavoce impegnati a chiarire che chi ha sgozzato un prete è un malato di mente, come se in circolazione ci fossero anche tagliagole sani e irreprensibili. Ma è chi la violenza dell’Islam politico e militare la conosce perché la subisce da anni, mettendoci in guarda, cercando di far arrivare la sua voce che dall’altra parte del Mediterraneo è partita troppe volte arrivando sulle coste occidentali distrattamente inascoltata.

«Un chiaro attacco alla libertà religiosa ed un chiaro esempio di odio anticristiano». Non ha dubbi e non la chiama come un attacco di un malato di mente Alessandro Monteduro, direttore della sezione italiana di Aiuto alla Chiesa che Soffre. L’Istituzione di diritto pontificio che tocca con mano ogni ora le condizioni dei cristiani perseguitati nel mondo certe immagini è abituata a vederle. Perché ce le ha mostrate in Nigeria, in Sudan, in Iraq e in Siria e ovunque un cristiano è messo a morte per la sua fede. E forse meglio di chiunque altro è in grado di reagire all’attacco di ieri nella Chiesa di Saint-Etienne-du Rouvray.

“Esattamente come in Medio Oriente”, dice oggi Acs e questa frase di terrorizza perché ci pone per la prima volta di fronte ad un finale che avevamo immaginato lontano da noi. “Oggi si è verificata una vera e propria barbarie, ma non possiamo indignarci soltanto in drammatiche occasioni”, ha continuato Monteduro ricordando come già negli ultimi anni sempre più chiese e simboli cristiani siano stati attaccati, distrutti e profanati in Francia. «Esattamente come in Medio Oriente, alla distruzione dei luoghi di culto seguono crimini violenti ai danni dei sacerdoti e dei fedeli».

E ancora: “La persecuzione dei cristiani, come abbiamo visto oggi, non è lontana da casa nostra. Iniziamo a ribellarci, in primis la comunità internazionale, contrastando la decristianizzazione che da tempo dilaga in Europa. È anche la mancata difesa della nostra fede a renderci maggiormente vulnerabili».

Parole di chi sa come si chiama il nemico. Le stesse di un altro profondo conoscitore dell’islamismo, come padre Samir Khalil Samir, che su Asia News ha ribadito quanto va dicendo da tempo: “Purtroppo l’islam fa fatica a integrarsi perché ha una cultura in molti punti opposta a quella attuale dell’occidente. Dal punto di vista religioso, sociale, dei rapporti uomo-donna, in rapporto al mangiare… è un sistema completo. Che la religione sia diversa, questo non è un problema. Ma il fatto è che nell’islam la religione è legata a un sistema politico, sociale, culturale, storico, di costume, che influenza tutto: il vestire, il dar la mano a uno o all’altra, le relazioni sociali. Sono così tante cose che rendono difficile assimilare le idee dell’occidente”.

E l’influsso radicale islamista rende ancora più difficile questa integrazione. “Si deve anche avere il coraggio di dire anche che l’islam ha elementi di violenza nel Corano e nella vita di Maometto. Se invece si continua a dire che l’islam è una religione di pace, creiamo solo confusione e mistificazione”. 

Sappiamo che la morte è stata vinta, ma non sappiamo quando questo scontro terribile terminerà e come ci vedrà vittoriosi. Padre Jaques l'ha indicato al mondo che stamattina l'ha conosciuto per la prima volta. Noi, i padri Jaques, che pregano e offrono sacrifici nel silenzio delle chiese assediate dal frastuono, assieme a quell'ormai piccolo popolo di giusti per riguardo ai quali non verrà distrutta Sodoma, li conosciamo ancora. E ci stanno indicando la strada per trovarci pronti all'appuntamento con il nostro destino.