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IN VIAGGIO CON ENEA / 24

La profezia della grandezza di Roma e la risalita dall’Ade

Cultura 14_03_2022

Nei Campi Elisi Anchise racconta al figlio Enea le vicissitudini di quelle anime che commettono colpe e non abbandonano i vizi, neppure quando sono in prossimità della morte. Sono costrette così a subire torture e a espiare le loro colpe fin quando non siano ammesse nell’Elisio, anche se poche possono accedere ai «campi sereni».

Purificata ogni macchia di colpa, trascorsi tantissimi anni, le anime ormai dimentiche delle colpe, come tabula rasa, ritornano a «desiderare di ricoverarsi/ nei corpi e di rivedere la volta del firmamento». Non chiara e per molti aspetti confusa è  la dottrina qui presentata, che non riesce a rispondere a molte domande che sorgono nella mente del lettore:

[…] Le anime, a cui per fato
sono dovuti nuovi corpi, presso l’onda del fiume Leteo
bevono liquidi sicuri e lunghi oblii.
Senz’altro desidero ricordarti e mostrare apertamente
e da tempo enumerare questa prole dei miei,
perché con me gioisca di più, trovata l'Italia.

Nell’epopea virgiliana la sede dei beati è sotterranea. Lungi dalla condizione di felicità di cui godono le anime dei santi nella tradizione cristiana, questi eroi possono senz’altro fruire di una condizione privilegiata rispetto ai dannati, ma il loro stato assomiglia di più a quello delle anime del Limbo dantesco piuttosto che a quello dei santi nel Paradiso. Del resto, Dante attinge proprio dai Campi Elisi virgiliani l’atmosfera per costruire il primo cerchio dell’Inferno.

Le anime dei defunti, passati tanti anni, sono richiamate presso il fiume Lete «perché poi immemori rivedano il mondo di sopra/ e di nuovo comincino a voler ritornare nei corpi». Il Lete è il fiume dell’oblio (questo è, infatti, il significato del suo nome in greco antico), un fiume le cui acque assicuravano la dimenticanza dei dolori della vita umana.

Nell’Eden dantesco le acque del fiume Lete fanno dimenticare alle anime che vi si immergono i mali commessi, mentre quelle del fiume Eunoè permettono alle anime di ricordarsi del bene compiuto. È Matelda, simbolo della condizione di felicità umana e terrena che l’uomo aveva prima del peccato originale, che ha il compito di condurre le anime agli ultimi due riti di purificazione prima della salita al Paradiso attraverso il Fiume Leté e l’Eunoé.

 A questo punto Anchise mostra al figlio le anime di quanti si stanno per reincarnare e che torneranno sulla Terra: il futuro figlio di Enea, Silvio, nato dal prossimo matrimonio con Lavinia; i re di Alba; Romolo, fondatore di Roma; Giulio Cesare Augusto ed Ottaviano Augusto. Nel lungo elenco di grandi personaggi romani Anchise presenta anche: Lucio Emilio Paolo, comandante romano che portò alla vittoria dei Romani sui Macedoni a Pidna (168 a. C.); Catone il Censore, fiero sostenitore del mos maiorum e della sobrietà, oppositore dell’ellenizzazione della cultura romana e avversario di Cartagine di cui richiese  la distruzione fino all’ultimo; i Gracchi, che proposero la riforma agraria a Roma, ma finirono entrambi uccisi; due Scipioni (ovvero Publio Cornelio Scipione l’Africano Maggiore, vincitore della battaglia di Zama che pose fine alla Seconda Guerra punica nel 202 a. C., e Publio Cornelio Scipione l’Emiliano, vincitore nella Terza guerra punica nel 146 a. C.); Quinto Fabio Massimo il Temporeggiatore, colui che aspettò ad affrontare in battaglia Annibale durante la Seconda guerra punica, permettendo la salvezza della repubblica romana. Senza alcuna preoccupazione cronologica Anchise indica poi Marco Claudio Marcello, il vincitore contro i Galli nella battaglia di Casteggio del 222 a. C., e dei Punici in rivolta. Proprio grazie a quest’ultimo l’impero romano si arricchirà della provincia della Gallia cisalpina:


Osserva come Marcello, glorioso per le ricche spoglie,
avanza e da vincitore supera tutti gli eroi.
Costui, da cavaliere, sistemerà lo stato romano, quando
un grande tumulto sconvolga, vincerà i Puni ed il Gallo ribelle,
ed appenderà per terzo al tempio del padre Quirino le armi catturate.

A questo punto Enea vede un ragazzo di singolare bellezza accompagnarsi con Marcello. Porta gli occhi rivolti a terra ed è pensieroso nello sguardo. Anche lui è un Marcello (omonimo del Marco Claudio Marcello vincitore sui galli a Casteggio), nipote di Augusto e suo successore designato, morto prematuramente a solo vent’anni nel 23 a. C. Queste le parole di Anchise dinanzi a quel giovane destinato a morire così giovane:

Ohi, ragazzo degno di pianto: se mai rompessi i tuoi fati,
tu resterai Marcello. Gettate gigli a piene mani,
che io sparga fiori purpurei e colmi l’anima del nipote
almeno con questi doni e faccia un inutile
regalo […].

Si racconta che Ottavia, mamma di Marcello, sia svenuta ascoltando la lettura di questi versi da parte di Virgilio, poco dopo la morte del figlio.

Di questi versi si ricorderà Dante nel bosco dell’Eden quando assiste ad una processione allegorica. Ad un certo punto si alza la voce di uno degli anziani che per tre volte grida Veni, sponsa, de Libano, espressione tratta dal Cantico dei cantici nel quale si racconta in chiave metaforica dell’amore tra l’anima e Dio o anche dell’amore di Cristo per la sua sposa, la Chiesa. Gli angeli che si alzano in volo sul carro rispondono in coro «Benedictus qui venis», «Benedetto colui che viene». È la frase con cui il Signore Gesù è accolto in Gerusalemme la domenica delle palme, la settimana prima della Pasqua. Poi si sente un’ultima voce: «Date plenis lilia manibus» («gettate gigli a piene mani»). Le tre espressioni (prelevate dall’Antico Testamento, dal Nuovo testamento e dall’Eneide, poema epico di riferimento della cultura latina) preludono all’apparizione di Beatrice, velata da una nuvola di fiori, coperta da un velo bianco, un mantello verde e una veste rossa.

Attraverso la presentazione dei grandi personaggi che costituiranno la grandezza di Roma, Virgilio celebra la città eterna, esalta un impero che attraverso Augusto ha il compito di portare la pace e l’unità nel mondo conosciuto.

Anchise ricorda che ci saranno popoli che otterranno notorietà per lo splendore dell’arte, della cultura o del foro. Roma avrà, però, il compito di governare il mondo con le leggi e di perdonare i vinti.

Dopo aver ricordato al figlio le guerre da combattere e indicato la via del sacrificio e della fatica, Anchise accompagna la Sibilla ed Enea alle due porte del Sogno: da una fuoriescono le «veritiere visioni», dall’altra, lavorata in avorio, quelle fasulle. È da questa porta che Enea esce ritornando a vedere i compagni. L’uscita dall’Ade non ha un corrispondente luogo concreto sulla Terra, come, invece, l’ingresso nei pressi del Lago Averno.