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UN WOMEN

La priorità dell’agenzia Onu per le donne? Il gender

L’ente delle Nazioni Unite che dovrebbe occuparsi delle donne ha spostato il suo focus sull’«uguaglianza di tutti i generi», includendo tutti «gli Lgbtqi+». L’annuncio è stato fatto a un evento di luglio, organizzato da Outright, un’associazione gay. Tra gli obiettivi la cosiddetta educazione sessuale onnicomprensiva, rivolta già ai bambini. Per plasmarne le menti.

Attualità 04_08_2019

Dal focus sulle donne, con un’impostazione radical-femminista, a quello sulle istanze Lgbt, il passo è breve. E infatti Un Women, l’agenzia delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere e l’empowerment femminile (si badi alla neolingua) fondata nel 2010, è sempre più propensa a diffondere principalmente il verbo arcobaleno sull’illimitatezza e «l’uguaglianza di tutti i generi»: e pazienza se questo rappresenta una contraddizione con quella che dovrebbe essere la missione dell’ente, le «donne», missione fin qui mai impostata alla luce di quella bellezza implicita nella complementarità maschile-femminile.

La ridefinizione di strategia è stata annunciata a un incontro tenutosi il 15 luglio e chiamato significativamente Gender diversity beyond binaries (La diversità di genere al di là del sesso binario), a esplicitare fin dal titolo che per Un Women, come del resto per chi dirige le altre agenzie dell’Onu, i concetti di uomo e donna sono fuori moda. Come ha detto nell’occasione il suo direttore esecutivo, la sudafricana Mfuzile Mlambo-Ngcuka, «non possiamo parlare di “non lasciare nessuno indietro” senza gli Lgbtqi+». Da notare l’uso della sigla lunga, che come ha ricordato la moderatrice Imara Jones include lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer, intersessuali, pansessuali e «l’intera gamma delle diversità di genere esistenti». Tutto lasciato alla percezione individuale.

L’altra spinta in avanti è data dal fatto che secondo la Mlambo-Ngcuka «l’orientamento sessuale e l’identità di genere» sono due valori chiave degli Obiettivi di sviluppo sostenibile, cioè dell’onusiana Agenda 2030 (già di suo un bel concentrato ideologico). In realtà, l’Agenda 2030, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 25 settembre 2015, non include quelle due espressioni di nota matrice Lgbt, perché al riguardo mancava e manca il necessario consenso tra gli Stati membri.

Negli Obiettivi di sviluppo sostenibile si parla di «uguaglianza di genere» ma appunto mai di «orientamento sessuale» e «identità di genere», termini adoperati invece in un documento partorito nel settembre dello stesso anno e firmato da 12 tra le principali agenzie dell’Onu, dall’Unesco all’Unicef, dall’Unfpa alla stessa Un Women, che si impegnano a favorire il cambiamento delle legislazioni nazionali in materia. Come dire che dove l’ideologia mondialista non riesce ad attecchire a sufficienza tra gli Stati in Assemblea Generale, ci pensano poi le agenzie con i loro programmi e le loro azioni di lobbying in tutto il pianeta.

Anche la Mlambo-Ngcuka, del resto, come scrive Susan Yoshihara su C-Fam, «ha ammesso la mancanza di supporto da parte dell’Assemblea Generale, ma ha detto che la sua agenzia spingerà fino a quando “l’uguaglianza di tutti i generi diventi la norma”. Ha detto che le Nazioni Unite devono lavorare per ribaltare le leggi delle 70 nazioni che ancora non legittimano il sesso omosessuale». Non si tratterebbe, si intende, di mera depenalizzazione degli atti sodomiti, come certa propaganda vuol far credere, bensì di esportare tutte le rivendicazioni di cui sono già pervase le società occidentali.

È un’agenda «senza limitazioni», come ha reso chiaro allo stesso incontro Victor Madrigal-Borloz, il rappresentante dell’Onu per l’orientamento sessuale e l’identità di genere, o «esperto indipendente», come lo chiamano (peccato che sia tra i firmatari della versione aggiornata dei Principi di Yogyakarta). E per portare avanti l’agenda Lgbt, Madrigal-Borloz spiega che ci si può servire di un mandato come il suo - istituito nel 2016 (ricordate il suo predecessore Vitit Muntarbhorn?) - nonché dell’Alto Commissario per i Diritti umani, degli organismi che monitorano l’osservanza dei trattati internazionali, dell’Universal Periodic Review (una procedura di cui abbiamo parlato qui): «Nessuna nazione è esclusa dal nostro scrutinio», ha detto lui.

Tra le rivendicazioni dell’evento del 15 luglio - organizzato da Outright, un’associazione Lgbt - non poteva mancare la cosiddetta educazione sessuale onnicomprensiva, che serve per fare il lavaggio del cervello già dall’infanzia. Per usare le parole di Martin Garcίa Moritán, rappresentante permanente dell’Argentina presso le Nazioni Unite: «I bambini comprendono la diversità di genere fin da una tenera età». La diversità di genere, slegata dal sesso biologico, deve divenire il nuovo dogma della modernità, dunque nuova normalità. Come ha detto l’attivista trans Katlego Kai Kolanyane-Kesupile, un uomo del Botswana che si sente donna, rivolgendosi agli uomini e donne presenti al meeting di Un Women: «Noi siamo più di voi [sic!] ed essenzialmente dovete imparare a diventare un po’ più come noi».

Paradossale che tutto questo venga detto nell’ambito di un’agenzia che dovrebbe occuparsi delle donne, no? Già, ma si deve «imparare», dice l’attivista. E visto che con gli adulti il reset e la riprogrammazione sono un po’ più difficili, va da sé che si punti ai bambini.