La presenza reale, quante incertezze e divisioni tra i protestanti
I riformatori protestanti – da Lutero a Calvino, da Zwingli a Carlostadio – avevano in comune solo il rifiuto della dottrina cattolica. Ma su come tradurre l’idea della “sola Scriptura”, le divisioni erano enormi: basti pensare ai tentativi di sostituire la verità della transustanziazione.
Lutero non credeva alla presenza reale del Signore Gesù nell'Eucaristia. È più o meno questa l'idea che il cattolico medio – almeno di quello, raro, che si pone il problema – si è fatto della posizione dell'anima della “Riforma” protestante sull'Eucaristia come sacramento. Ma le cose non sono affatto così semplici: il mondo protestante ha conosciuto – e conosce ancora oggi – diverse posizioni relative al modo di presenza del Signore nell'Eucaristia, così che si può in tutta tranquillità affermare che se l'Eucaristia è stata un elemento di divisione tra Lutero e la Chiesa cattolica, lo è stato ancora di più tra i protestanti stessi.
Si deve infatti ricordare che Huldrych Zwingli (1484-1531) e Johannes Heussgen, conosciuto come Oecolampadius (1482-1531), ruppero con Lutero proprio sul punto della presenza reale, portando l'ex monaco a definirli persino eretici. I due riformatori svizzeri, ma anche amici di Lutero della prima ora, come Andreas Karlstadt (Carlostadio, 1480-1541), sostenevano infatti la presenza sacramentale di Gesù nell'Eucaristia, intesa nel senso che il pane e il vino erano rappresentazioni simboliche del corpo spezzato del Signore e del suo sangue immolato, ma non mediazioni della sua presenza reale. Il sacramentarismo (o sacramentismo) fu combattuto con tutte le forze da Lutero, il quale invece, come vedremo tra poco, riteneva una sovversione dei Vangeli la negazione della presenza reale del Signore nel pane e nel vino benedetti durante la Cena.
Jehan Cauvin (Calvino, 1509-1564) cercò di correggere la posizione sacramentarista, affermando che la presenza del Signore doveva essere “in qualche modo” reale nel pane e nel vino, sebbene in modo ineffabile, propendendo per una comunicazione sostanziale del Signore Gesù nella comunione. Come la presenza sacramentale di Zwingli, anche quella sostanziale di Calvino non deve trarre in inganno. Nel termine sostanza, Calvino non conserva alcuno “spessore” metafisico: presenza sostanziale significa per lui che nel sacramento si esprimono non solo il significato della morte e risurrezione del Signore e la certezza che il suo corpo è stato spezzato e il suo sangue versato (come per Zwingli), ma anche la loro virtù ed efficacia. La presenza del Signore si comunica veramente mediante i segni sacramentali, mantenendo così la promessa del Signore di dare il suo corpo e il suo sangue per noi, ma senza affermare che questa presenza fosse nel pane e nel vino e ancor meno per la conversione della loro sostanza.
Riguardo all'Eucaristia come sacramento (come sacrificio, rimandiamo all'articolo precedente), Martin Lutero risultava essere il più “tradizionalista” dei riformisti e per questo fu accusato di non rompere a sufficienza con la “superstizione” cattolica. Ai suoi occhi, le espressioni «questo è il mio corpo», «questo è il mio sangue», non potevano che significare la presenza reale del corpo e sangue del Signore nel pane e nel vino, dato a quanti si comunicano, e ogni altra spiegazione che negasse questa verità contraddiceva quanto scritto nei Vangeli. Alle interpretazioni diverse di Lutero, Calvino, Zwingli, Heussgen e Carlostadio, andrebbero aggiunte quelle di Martin Bucer (1491-1551), Wolfgang Fabricius Köpfel (Capitone, 1478-1541), nonché quelle del grande artefice del Book of Common Prayer, Thomas Cranmer (1489-1556). Non è intento di questo articolo presentarle tutte: a noi basta prendere atto che il principio fondamentale della Riforma della “sola Scriptura” come auto-evidenza delle affermazioni bibliche, sulle quali il cattolicesimo avrebbe riversato un enorme carico di spiegazioni che ne distorcevano il senso cristallino, era già deragliato al suo nascere. Sulle parole così fondamentali che il Signore Gesù aveva pronunciato prima della sua immolazione, la Riforma si trovava frammentata, con spiegazioni differenti non solo tra un autore e l'altro, ma anche negli scritti del medesimo autore.
A fungere da mastice di tutti questi riformatori era una cosa sola: il rifiuto della dottrina cattolica. Ma come sostituire la dottrina incriminata divenne un punto di divisione che perdura fino ad oggi. Anche la Chiesa cattolica sostiene la presenza reale di Cristo nell'Eucaristia, ma vincolando questa comprensione a quella verità che va sotto il nome di transustanziazione, i cui elementi fondamentali possiamo così riassumere: la presenza reale del corpo e del sangue vivi del Signore, da cui la presenza anche della sua anima e divinità, nel sacramento dell'Eucaristia avvengono per la conversione totale della sostanza del pane e del vino, di modo che non vi sono più pane e vino, ma solo le loro apparenze o accidenti, che “velano” la presenza del Signore.
All'epoca di Lutero, come d'altra parte anche oggi, le critiche che piovevano su questo insegnamento non riguardavano direttamente l'Eucaristia, ma una presunta invasione della filosofia nella fede: si obbediva ad Aristotele, non alla Bibbia, il cui insegnamento chiaro veniva così piegato alle esigenze di un sistema filosofico. Si è già accennato a come di fatto la rimozione di questa supposta sovrastruttura filosofica abbia tutt'altro che unificato i cristiani attorno al significato “evidente” delle Scritture; ma non si può tacere un altro errore di fondo di Lutero, non meno grave: la dottrina della transustanziazione non è stata una deduzione in ambito teologico del sistema aristotelico e nemmeno l'adozione di una particolare filosofia posta a servizio della Rivelazione. La transustanziazione non è né più né meno che la ragione umana qua talis che, illuminata dalla fede, ricerca l'intelligenza della verità rivelata; detto altrimenti: la transustanziazione è la spiegazione più conforme a quel “è” presente nelle parole della consacrazione. Dire del pane che esso “è il mio corpo”, significa, appunto, che esso è corpo e non (più) pane, perché l'essere si attribuisce in modo proprio alla sostanza. E questo non è Aristotele, ma la ragione umana a comprenderlo; tutti noi cogliamo, se vi riflettiamo anche solo per qualche secondo, la differenza del significato del verbo essere nell'affermazione “quest'uomo è giapponese” e “questo è un uomo”. L'essere giapponese è infatti qualità di qualcosa o qualcuno, di una sostanza appunto, mentre essere un uomo non è una qualità ma l'indicazione di ciò che uno sostanzialmente è. Nel contempo, è altrettanto evidente che i sensi umani non esperiscono il Signore, ma il pane e il vino. E dunque è chiaro che la conversione della loro sostanza lascia invece inalterati gli accidenti, quelle apparenze che effettivamente continuiamo ad esperire.
La pretesa luterana di liberare la teologia da Aristotele, oltre a rinnegare la storia della Chiesa fin dai primissimi secoli – risulta forse a Lutero che l'omoousios per esprimere la consustanzialità del Figlio con il Padre fosse presente nella Bibbia? – fu pertanto una finzione, ma una finzione devastante, perché insieme ad un presunto sistema filosofico venne spazzata via l'intelligenza stessa della Rivelazione. Lo stesso Lutero non poté sottrarsi dal rispondere all’ovvia domanda di come dev'essere dunque intesa la presenza reale del Signore nell'Eucaristia, dal momento che si doveva rifiutare la cosa più ovvia, ossia che il pane non fosse più pane ma il Signore. Nei suoi scritti si notano molte fluttuazioni espressive, che cercano di costruire quella dottrina che va sotto il nome di impanazione, o ancor meglio di consustanziazione: Cristo è realmente presente nel pane e nel vino o con il pane e con il vino, senza che avvenga la conversione della sostanza. Una dottrina che non emerge affatto più evidentemente dai Vangeli di quella della transustanziazione; semmai il contrario. Perché il Signore non ha detto “qui c'è il mio corpo”, che avrebbe certamente espresso una concomitanza, ma “questo è il mio corpo”, espressione che indica chiaramente una trasformazione.
La dottrina della consustanziazione venne semplicemente costruita in contrapposizione a quella cattolica, costringendo però Lutero e il suo seguito a ricorrere comunque al concetto di sostanza, sebbene per negarne la conversione. Segno che dalla ragione umana non ci si può liberare nel momento in cui si cerca di comprendere ciò che è rivelato, nemmeno in nome di una più diafana e impossibile purezza.
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