Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santo Stefano a cura di Ermes Dovico
CONTINENTE NERO

"La povertà in Africa è una scelta". Le parole coraggiose del vescovo di Kumasi

“La povertà in Africa è una scelta. È dimostrato. I problemi dell’Africa sono il risultato di scelte sbagliate”. Così si è espresso Monsignor Gilbert Justice Yaw Anokye, arcivescovo di Kumasi, Ghana, e Presidente di Caritas Africa. Fra i fattori che elenca: guerre, estremismo religioso, instabilità politica, corruzione, tirannie, incuria. "Abbiamo dormito per troppo tempo, dobbiamo svegliarci subito". Il contrario di quel che dicono Fao e Christian Aid. Che danno la colpa principale ai cambiamenti climatici.

Ecclesia 13_08_2019
Sudan, campo rifugiati

“La povertà in Africa è una scelta. È dimostrato. I problemi dell’Africa sono il risultato di scelte sbagliate”. Così si è espresso Monsignor Gilbert Justice Yaw Anokye, arcivescovo di Kumasi, Ghana, e Presidente di Caritas Africa, intervistato il 9 agosto mentre si trovava in Kenya per visitare la sede regionale di Caritas Africa. “Questo – ha proseguito – succede quando si scelgono dei cattivi leader. Abbiamo votato dei leader corrotti seguendo criteri tribali, per paura o per convenienza. Dall’indipendenza abbiamo scelto dei leader che non hanno aiutato l’Africa a crescere. Ci sono stati dei buoni leader, ma che sono stati deposti con colpi di stato sostenuti per interesse da persone o da paesi. Perciò i problemi dell’Africa sono causati da pessime leadership”.

A riprova che uscire dalla povertà è questione di scelte, Sua Eccellenza ha citato il caso di paesi come la Malesia e Singapore che ci sono riusciti grazie al fatto di aver scelto dei buoni leader: “anche l’Africa può farcela. Abbiamo dormito per troppo tempo, dobbiamo svegliarci, subito. E ci riusciremo se faremo in modo di scegliere dei buoni leader che si impegnino nella democratizzazione dei nostri paesi, leader con politiche buone non per le loro tasche e per le loro pance, per quelle delle loro famiglie o dei loro gruppi etnici. Quell’epoca si deve chiudere e non deve più ritornare”.

Nel corso dell’intervista monsignor Anokye ha elencato i principali fattori critici del continente africano di cui l’uomo è responsabile: guerre civili, come in Sudan del Sud, estremismo religioso, come in Somalia e in Nigeria, instabilità politica, come in Burkina Faso. Ha accennato anche ai danni all’ambiente causati dall’uomo: “tagliamo gli alberi senza ripiantarli – ha detto – scaviamo per estrarre oro, diamanti e rame senza richiudere le cave, coltiviamo senza prenderci cura del suolo … Tutti questi sono danni causati dall'uomo e devono essere evitati”.

Sono parole coraggiose quelle di monsignor Anokye. Benché viva in un paese relativamente sicuro come il Ghana, migliore di altri per democrazia, stabilità e buona politica, potrebbero costargli care perché ai leader africani non piace sentirsi accusare. Fanno sparire o chiudono in carcere gli oppositori che li sfidano, minacciano i direttori dei mass media e se non basta ne chiudono i giornali e le reti televisive. Se è la comunità internazionale a criticarli reagiscono con protervia. Quando la Corte penale internazionale ha deciso di indagare sulle violazioni dei diritti umani commesse dal suo governo, il presidente del Burundi, Pierre Nkurunziza, prima ha negato l’ingresso alla commissione inquirente e poi, nel 2017, ha revocato l’adesione del suo paese alla Corte. Era il 27 ottobre. Il presidente ha dichiarato il giorno successivo festa nazionale per permettere alla popolazione di celebrare la “storica giornata”.

Proprio il Burundi di Nkurunziza è uno degli stati che meglio dimostrano quanto monsignor Anokye abbia ragione. Il “Rapporto mondiale 2019 sulle crisi alimentari” della Fao colloca il piccolo stato africano tra i paesi del mondo più colpiti da insicurezza alimentare. Un altro rapporto, “Lotta alla fame: indice del clima & della vulnerabilità alimentare” pubblicato all’inizio di agosto da Christian Aid, la nota organizzazione no profit britannica impegnata nella lotta contro la povertà, pone il Burundi al primo posto nell’elenco dei paesi in cui si soffre maggiormente la fame.

Anche la Fao e Christian Aid, come monsignor Anokye, affermano che povertà e fame sono una scelta, che i problemi dell’Africa e quindi anche del Burundi sono il risultato di scelte umane sbagliate. Solo che per Fao e Christian Aid l’insicurezza alimentare del Burundi e degli altri paesi che ne soffrono è dovuta agli effetti già percepibili del cambiamento climatico di origine antropica.

Non considerano che, a causa del succedersi di governi irresponsabili, avidi e incapaci, a quasi 50 anni dall’indipendenza oltre il 90% degli abitanti del Burundi sono agricoltori gran parte dei quali tentano, come hanno fatto i loro predecessori per secoli, di sopravvivere coltivando piccoli appezzamenti e allevando bestiame con le tecniche, i modi e i rapporti di produzione delle economie di sussistenza più elementari: con attrezzi rudimentali, senza controllo delle acque, senza fertilizzanti e diserbanti, secondo una divisione del lavoro che fa gravare la maggior parte delle mansioni su donne e bambini.

Ne deriva che la produttività del lavoro è molto bassa, i risultati incerti e irregolari, la carestia un evento sempre incombente. Ma non è questo il problema, secondo Fao e Christian Aid. La causa dell’insicurezza alimentare non è neanche il tribalismo che in questo paese, come nel vicino Rwanda, oppone Hutu e Tutsi, due etnie che tra il 1993 e il 2006 hanno combattuto una guerra devastante con un bilancio di 300.000 morti quasi tutti civili, e che continuano a nutrire sentimenti ostili con la minaccia costante che di nuovo degenerino in conflitto cruento.

Per Fao e Christian Aid povertà e fame non derivano nemmeno dalla corruzione e dal malgoverno sfrenati, ostentati, rivendicati come il diritto del più forte; né dal fatto che il Burundi dal 2005 è governato da un presidente folle, Pierre Nkurunziza, un Hutu, che si considera unto da Dio; un leader che, violando la costituzione, nel 2015 si è candidato per un terzo mandato, che alle proteste della popolazione ha risposto reprimendo il dissenso con ferocia – torture, esecuzioni extragiudiziali, sparizioni forzate… – armando i giovani Hutu e assicurandosi la vittoria elettorale con brogli e intimidazioni: al costo di migliaia di civili morti e centinaia di migliaia di profughi.

Tutt’al più, secondo Fao e Christian Aid, questi sono fattori aggravanti. È il global warming provocato da uomini che vivono in paesi lontani la causa dell’insicurezza alimentare in Burundi.