La polizia cinese perseguita i dissidenti anche in Europa
A Dublino è stata chiusa una stazione di polizia cinese all'estero, ritenuta illegale. In Olanda la Cina è sotto accusa perché c'è almeno un caso di dissidente perseguitato dalla polizia cinese in territorio olandese. In Italia abbiamo quattro uffici di polizia cinese all'estero (a Milano, Firenze, Prato e Roma), ma non lo riteniamo un problema?
Il governo irlandese ha ordinate la chiusura di una stazione di polizia cinese. A Dublino. Perché esiste, in Europa, anche in Italia, una fitta rete di stazioni di polizia cinesi, espressione di autorità locali cinesi (a livello di contea) che, in teoria, si limitano ad aiutare i cinesi emigrati per i documenti e le pratiche burocratiche, ma in pratica possono trasformarsi in qualcosa di peggio: strumenti di repressione del dissenso all’estero.
La decisione presa dal governo irlandese avviene a seguito di un rapporto dalla Ong Safeguard Defenders, organizzazione “pan-asiatica” con sede in Spagna. «Partendo dalle dichiarazioni dal ministero per la Pubblica sicurezza, che ad agosto di quest’anno ha affermato di aver “educato e persuaso a tornare” dall’estero 230mila persone tra aprile 2021 e luglio 2022, abbiamo svelato un’operazione di polizia del tutto illegale in corso su cinque continenti – spiega Laura Hart, direttrice della Ong - guadagnandoci peraltro un attacco bot sui social media con centinaia di profili fake. Il metodo del “persuadere a tornare” era già stato ampiamente documentato nel nostro rapporto Involuntary Returns di gennaio di quest’anno: è un elegante eufemismo per le minacce e le ritorsioni esercitate sui familiari rimasti in Cina o, all’occorrenza, trasmesse direttamente all’individuo bersaglio su suolo straniero. Sono operazioni del tutto illegali sotto il diritto internazionale, istillano – e sono progettati per istillare – paura nelle comunità in esilio, e infrangono gravemente la sovranità territoriale degli Stati terzi sui quali si trovano i bersagli».
La stazione di polizia di Dublino era della contea di Fuzhou (nella regione del Fujian), la stessa che opera anche a Prato, in Toscana. Aveva aperto il suo ufficio all’inizio dell’anno. È stata chiusa perché considerata illegale perché, secondo il governo irlandese, nessun’autorità cinese aveva chiesto formalmente il permesso per mettere in piedi un organo della sicurezza all’estero.
Anche in Olanda la Cina è sotto accusa. Nei Paesi Bassi operano due “stazioni di polizia” per cinesi d’oltre mare. Un’inchiesta giornalistica di Rtl News e Follow the Money, lanciata a seguito del rapporto di Safeguard Defenders, ha documentato almeno un caso di persecuzione del dissenso. Wang Jingyu, dissidente cinese, ha denunciato di essere stato perseguitato dalla polizia cinese in Olanda. Ha ricevuto telefonate da qualcuno che dichiarava di lavorare per una di queste stazioni. Lo esortava a tornare in Cina, minacciandolo velatamente riguardo la sorte dei suoi genitori rimasti nel paese natale. Dopo quelle prime chiamate, ha subito una pressione sempre crescente di minacce e molestie che il dissidente ritiene fosse orchestrata dal regime cinese.
Le funzioni, anche quelle ufficiali e dichiarate, di queste stazioni di polizia, paiono essere molte di più rispetto alla mera assistenza per il rinnovo di patenti o l’aiuto a sbrigare pratiche burocratiche che, a causa della politica Zero Covid, sono diventate difficilissime (è dura andare e tornare dalla Cina, subendo possibili quarantene e lockdown improvvisi). Leggiamo, ad esempio in una nota governativa che, quest’anno “Il 10 gennaio l’Ufficio di pubblica sicurezza di Fuzhou ha aperto un servizio di allarme 110 all’estero, permettendo i cinesi di Fuzhou all’estero di chiamare la polizia per chiedere aiuto e allo stesso tempo reprimere risolutamente tutti i tipi di attività illegali e criminali legate alla Cina all’estero”. La “stazione di servizio di polizia all’estero di Fuzhou” è quella che opera a Prato. A Milano, Firenze e Roma operano altre tre stazioni di polizia all’estero, da tre anni, che invece sono della contea di Qingtian. Nonostante tutto, la polizia italiana, stando all’inchiesta condotta a settembre da Giulia Pompili de Il Foglio, finora non ritiene la sua presenza pericolosa perché “si occupa solo di pratiche amministrative e non di pubblica sicurezza”.
Però in Irlanda e in Olanda hanno preso di petto il problema, temendo che agenti cinesi si sovrappongano a quelli locali e possano iniziare ad agire anche da polizia politica. In Italia, con i tre governi che abbiamo avuto finora (dal 2019 ad oggi), nessuno ha ritenuto che fosse il caso.