La permissione del male - Il testo del video
Dio vuole il male? Bisogna distinguere tra tre tipi di male: il male della colpa (il peccato), la defezione della natura, il male della pena. Dio non vuole in alcun modo il primo, ma lo permette, per rispettare la nostra libertà. Gli altri due mali non li vuole per sé, ma solo accidentalmente. Tutto nel Suo governo è ordinato al bene. Il punto focale: Cristo crocifisso.
Oggi dedichiamo l’incontro a un tema delicatissimo. Non abbiamo ovviamente la pretesa né di sviscerarlo in tutti i suoi risvolti e neanche quella di esaurire un grande mistero, cioè il mistero della permissione del male. Si tratta della risposta alla domanda: Dio vuole il male? Se pensiamo a quello che abbiamo detto le scorse volte (vedi qui e qui), non c’è nulla che cada al di fuori del governo di Dio. Avevamo già accennato un po’ a questo tema, come in fondo il male stesso rientri all’interno del governo divino.
Ma allora dobbiamo dire che Dio vuole il male? Che Dio vuole almeno che esista il male? Che Dio non voglia del tutto il male? Questo è un tema “caldo”, per una semplice ragione: perché la presenza del male non è una presenza teorica, è qualcosa che colpisce ciascuno di noi ogni giorno, potremmo dire ogni minuto, per certi versi. E ci pone in una situazione emotiva di un certo tipo. Quindi la nostra riflessione, da un lato, deve tenere conto che non si tratta di una questione di lana caprina, puramente teorica; ma dall’altra parte non deve neanche lasciarsi trascinare da quelle che possono essere le reazioni umane, naturali, di fronte al male, come il senso di indignazione davanti all’ingiustizia, alla sofferenza, a un male fisico o un male spirituale.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica tratta un po’ di questo tema ai numeri 309 - 314 [La provvidenza e lo scandalo del male]. Affronta appunto il tema del male e di come conciliarlo con il governo di Dio su tutta la creazione.
Il primo punto fondamentale, per quello che ci interessa per chiudere il cerchio della nostra trattazione, è proprio puntare a dare risposta a questa domanda: Dio vuole il male? È da lì che riusciamo a capire come il male si coordina con il governo di Dio e perché, di fatto, il male esista.
San Tommaso ne tratta nella prima parte della Summa Theologiae, nella grande questione 19, dove si parla in generale della volontà di Dio. Sono diversi articoli e ce n’è uno, l’articolo 9, che appunto si chiede, all’interno della volontà di Dio, proprio questo: ma Dio vuole il male? Come dobbiamo rispondere a questa domanda? San Tommaso fa anzitutto una distinzione fondamentale tra il male della colpa - quindi il male morale, il peccato -, il male della defezione della natura, cioè il fatto che la natura non è incorruttibile, non è eterna (per esempio, supponiamo il male di una creatura che muore, di un albero o un animale che muore, oppure ancora il male dovuto a dei fenomeni naturali) e il male della pena, cioè quel male che noi in qualche modo subiamo come conseguenza della nostra stessa malizia, delle nostre stesse colpe. Queste sono le tre grandi macrocategorie.
E san Tommaso dice questo in sostanza: quanto al primo, cioè il male della colpa, il peccato, Dio non lo vuole in nessun modo. In nessun modo possiamo dire che Dio voglia il male morale, che Dio voglia il peccato. Quindi, anche certe correnti teologiche che sostengono che Dio abbia voluto, per esempio, il tradimento di Giuda sono fuori rotta e vedremo perché.
Perché Dio non può volere e di fatto non vuole il male morale? Perché il male morale allontana dal bene divino, dunque Dio non può volere una cosa che allontana da Sé, essendo Egli stesso il fine di tutto. C’è una radicale incompatibilità, una radicale opposizione tra il peccato e Dio, tra il male morale e Dio. È qualcosa che abbiamo perso: questo senso di uno scontro frontale, di una radicale incompatibilità tra Dio e il male, e dunque tra la volontà di bene di Dio e il male morale.
Leggiamo il testo di san Tommaso, nel corpo dell’articolo 9 della quaestio 19. «Dio nulla desidera più della sua stessa bontà»; da intendere non in senso narcisistico, ne abbiamo già parlato, ma proprio perché la sua bontà, il suo essere buono, il suo essere la bontà stessa è la ragion d’essere di tutto ciò che esiste ed è il fine di tutto ciò che esiste. Aggiunge san Tommaso: «Ci sono però dei beni che Egli preferisce ad altri. Per cui il male della colpa (il peccato), che allontana dal bene divino, Dio non lo vuole in alcun modo. Invece può volere quel male che è una deficienza della natura o il male della pena, quando vuole un bene a cui è unito quel male». E qui san Tommaso fa due esempi: «come nel volere la giustizia, vuole la pena e, volendo la conservazione dell’ordine naturale, vuole che certi esseri naturalmente periscano».
Prendiamo il male della pena: perché possiamo dire che Dio, in qualche modo, voglia il male della pena? Non per il male della pena in sé, ma per il bene a cui questo male è in qualche modo legato. Qual è questo bene? La giustizia. Dio è giusto e vuole la giustizia, ama la giustizia. Quante volte questa frase ritorna nei Salmi, nei Profeti… e volendo la giustizia, in qualche modo [Dio] vuole il male della pena. Per quanto riguarda il difetto della natura o, meglio, la defezione più che il difetto, il fatto che la natura appunto è corruttibile, Dio vuole la conservazione dell’ordine naturale e per questo vuole che certi esseri periscano. Per esempio, il casco di insalata e altre erbe periscono perché Dio vuole la conservazione della capra, del capriolo, del cervo, eccetera.
Quindi, san Tommaso fa questa distinzione importante. Alcuni hanno concluso che allora è un bene che il male ci sia. Anche il male morale in fondo è un bene che ci sia, secondo qualcuno, perché Dio vuole che in qualche modo il male ci sia, perché può essere ordinato a un bene. Qualcuno dice: siccome il male può essere ordinato a un bene, allora è un bene che il male ci sia. Ma san Tommaso, nella risposta alla prima difficoltà, dice: «Questa maniera di esprimersi [cioè, “è bene che ci sia il male”] non è esatta. Poiché il male non è ordinato al bene per natura sua, ma solo accidentalmente». Se il male fosse ordinato al bene di per sé, è chiaro che sarebbe un bene che ci sia il male, perché non avremmo il bene senza il male; ma non è così: il male non è ordinato al bene di per sé, ma accidentalmente. «Infatti - dice san Tommaso - esula dall’intenzione del peccatore che dal suo male derivi un bene». Cioè, il peccatore, quando fa un male, non lo fa perché pensa: “tanto poi Dio comunque fa un bene. Io adesso uccido una persona in odium fidei perché così va in Paradiso…”: non funziona così.
Esula quindi dall’intenzione del peccatore che dal peccato arrivi un bene. «Come fu estraneo all’intento dei tiranni che dalle loro persecuzioni risplendesse la costanza dei martiri» (Summa I, q. 19, a. 9, ad 1). Eppure, è stato così: con le persecuzioni è emersa la costanza dei martiri e quindi la corona di gloria dei martiri, ma non perché il male sia ordinato al bene per sé, bensì accidentalmente. «Quindi non si può dire che tale subordinazione del male al bene sia espressa dalla semplice affermazione: è bene che ci sia o che avvenga il male; perché una cosa non si qualifica propriamente per ciò che le conviene in modo accidentale, ma per ciò che le compete in sé». Non possiamo dire che per sé il male è causa del bene, quindi non possiamo dire che è bene che ci sia il male.
Attenzione all’altro passaggio: non è corretto nemmeno dire che Dio vuole che il male avvenga. Non possiamo dire che Dio voglia, positivamente, che il male avvenga; e, dice san Tommaso, questo è un bene. Leggiamo la risposta alla terza obiezione: «Dio non vuole che il male avvenga e neppure vuole che il male non avvenga; ma vuole permettere che il male avvenga. E questo è un bene». Attenzione: non è un gioco di parole vuoto, non è un sofisma, non è un’espressione del razionalismo che vuole ingabbiare il mistero, no. C’è una grande verità dietro questa affermazione.
Vediamo la prima parte: «Dio non vuole che il male avvenga», cioè Dio non vuole il male; Dio direttamente non vuole il male morale. Ma «neppure vuole che il male non avvenga», perché se volesse in assoluto che il male non avvenga, questo non esisterebbe. Allora che cosa vuole? Vuole permettere che il male avvenga: Dio non vuole direttamente il male, che il male avvenga, ma neanche lo impedisce in modo assoluto, cioè neanche non lo vuole in modo assoluto, ma permette che avvenga. Attenzione, quello che può sconcertare è questa brevissima frase che conclude la risposta alla terza obiezione: «E questo è un bene». Cioè, che Dio voglia permettere che il male avvenga - dice san Tommaso - è un bene.
In altre parole, riassumiamo quello che abbiamo detto: 1) Dio non vuole il male per sé, ecco perché Dio non vuole che il male avvenga; 2) Dio può volere accidentalmente il male come difetto di natura e di pena, perché - come abbiamo visto - vuole il bene congiunto a questo male o, meglio, Dio vuole quel bene, che si porta dietro questa parte di male; 3) invece, Dio non vuole né per sé né per accidens, quindi né direttamente né accidentalmente il male della colpa, il male morale. Non lo vuole né per sé né accidentalmente, ma lo permette.
Dunque, è da notare la grande distinzione tra il male morale e gli altri due mali. Di questi due mali possiamo dire che Dio non li vuole per sé ma accidentalmente, in virtù di quel bene a cui questo male è congiunto. Quando invece parliamo del male morale, noi diciamo che Dio non lo vuole per sé e non lo vuole nemmeno accidentalmente. E dunque? E dunque lo permette. Adesso facciamo un ulteriore passo in avanti.
Ci rimane ancora questa frase da approfondire: «E questo è un bene». Cioè, che Dio permetta che il male avvenga è un bene. Che cosa vuole dire san Tommaso con un’affermazione così forte? Perché la permissione del male sarebbe un bene? Non è un bene commetterlo, non è un bene volerlo direttamente… ma perché permettere il male morale sarebbe un bene?
Dio fa due cose, per così dire, permettendo il male. La prima, fondamentale: Dio rispetta, non viola la libertà della sua creatura. Cioè, se Dio impedisse ogni volta il male morale, allora ogni volta Dio impedirebbe che colui o coloro che ha creato liberi, coloro che ha creato con una volontà e un intelletto, non li esercitino. Perché la possibilità di scegliere qualcosa che è male non è il perfezionamento, non è il fine proprio della facoltà volitiva, ma è - data la nostra natura - una possibilità.
Lewis, l’autore delle Cronache di Narnia, diceva che sarebbe come pensare che ogni volta che una persona voglia dare una sprangata in testa a qualcuno, questa spranga diventi di gommapiuma o di zucchero filato; cioè Dio ogni volta dovrebbe intervenire a cambiare qualche cosa o addirittura a impedire che un atto avvenga. Ma perché non sarebbe un bene? Perché violerebbe la libertà dell’uomo. In sostanza sarebbe come dire che Dio ha creato l’uomo libero, ma non vuole che sia libero. È una contraddizione.
Ma non è finita qui, perché questo è un aspetto importante, ma è il primo lato della medaglia: qual è l’altro lato? Che Dio sa trarre il bene anche dal male morale. Cioè Dio, dal male, anche quando è un male morale (il male del peccato), sa trarre un bene. Vuole tirarne fuori un bene. Non vuol dire che quel peccato è un bene, come oggi si tende a dire; o che, siccome Dio ne sa trarre un bene, in fondo non è poi così tanto peccato. No, assolutamente no: il male è male. Dio in qualche modo lo supera. E qui il punto focale, il punto che illumina questo mistero è la Croce, è il mistero della Redenzione, il mistero della Passione e Morte di Cristo.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica al numero 312 scrive: «Così, col tempo, si può scoprire che Dio, nella sua provvidenza onnipotente, può trarre un bene dalle conseguenze di un male, anche morale, causato dalle sue creature: “Non siete stati voi a mandarmi qui, ma Dio. [...] Se voi avete pensato del male contro di me, Dio ha pensato di farlo servire a un bene [...] per far vivere un popolo numeroso” (Gn 45,8; 50,20)».
Quest’ultima è una citazione del libro della Genesi: sono le parole del patriarca Giuseppe, quando si rivela ai suoi fratelli, che l’avevano combinata grossa: l’avevano venduto e avevano raccontato al padre una menzogna, avevano causato la sofferenza terribile dei genitori, quindi più di un male morale: una serie di mali morali. Ma Giuseppe “legge” nella chiave di Dio: non dice “avete fatto benissimo, mica era un peccato, tanto poi è diventato un bene”, no, il male è male. Ma dice: non siete stati voi a mandarmi qui, ma Dio, in ultimo, come causa prima; voi avete pensato del male contro di me, Dio ha pensato di farlo servire a un bene.
Commenta il Catechismo: «Dal più grande male morale che mai sia stato commesso, il rifiuto e l’uccisione del Figlio di Dio [teniamolo sempre presente, perché noi pensiamo sempre che i più grandi mali sono quelli che affliggono noi, ma il più grande male che è mai stato commesso e che mai di più grande sarà compiuto è il rifiuto e l’uccisione del Figlio di Dio], causata dal peccato di tutti gli uomini, Dio, con la sovrabbondanza della sua grazia, ha tratto i più grandi beni: la glorificazione di Cristo e la nostra redenzione. Con ciò, però, il male non diventa un bene».
Giuda non è un santo, non lo sarà mai, perché, pur essendo il suo atto all’interno del piano della Redenzione, lui ha compiuto un male, un male terribile che poi è stato reso ancora più grave dalla sua disperazione, la sua mancanza di speranza. Ponzio Pilato ha compiuto un male. I capi dei Giudei hanno compiuto un male e così via. Dio non fa diventare il male un bene, non trasforma l’azione morale. Ma Dio ricava da un male morale un bene. Perché lo ricava? Come dice san Paolo, «tutto concorre al bene di coloro che amano Dio» (Romani 8).
Al n. 313 del Catechismo ci sono tre testi splendidi, che aiutano molto, gettano una grande luce anche sulla nostra situazione, che appare disperata dal punto di vista sociale, politico, economico, ecclesiale, e che in qualche modo ci agita.
Il primo testo è di santa Caterina da Siena ed è tratto dal Dialogo della Divina Provvidenza, un testo meraviglioso di questo dottore della Chiesa. Scrive il Catechismo: «Così santa Caterina da Siena dice a “coloro che si scandalizzano” e si ribellano davanti a ciò che loro capita: “Tutto viene dall’amore, tutto è ordinato alla salvezza dell’uomo, Dio non fa niente se non a questo fine”» (CCC 313). Non c’è prova, calamità, sofferenza, disastro così grande da sfuggire al governo di Dio, perché Dio ordina tutto questo per la salvezza dell’uomo, a Sua gloria. Dio non fa nulla che non sia per questo fine. Dipende da noi, poi, aderire a questo fine e non mettere invece un intralcio, o un “no” secco.
Il secondo testo citato dal n. 313 del Catechismo è una lettera di san Tommaso Moro indirizzata alla figlia, prima del suo martirio decretato [sotto Enrico VIII]. È un testo abbastanza conosciuto, molto bello, sempre commovente ogni volta che lo si legge. Scriveva san Tommaso Moro: «Non accade nulla che Dio non voglia, e io sono sicuro che qualunque cosa avvenga, per quanto cattiva appaia, sarà in realtà sempre per il meglio». Di nuovo torna questa logica, che non vuol dire che un’azione cattiva non sia cattiva: vuol dire che quel male non ha l’ultima parola, rientra nel governo di Dio. Il governo di Dio è sempre un governo di bene, che tende a un bene.
Ultimo testo, splendido, citato dal n. 313, è tratto dalle Rivelazioni di Giuliana di Norwich, in cui questa grande mistica scriveva: «Imparai dalla grazia di Dio che dovevo rimanere fermamente nella fede, e quindi dovevo saldamente e perfettamente credere che tutto sarebbe finito in bene [...]. Tu stessa vedrai che ogni specie di cosa sarà per il bene». Questo è un testo di una profondità e di una luminosità impressionanti. Cioè, questo rimanere fermi nella fede, credendo che tutto sarebbe finito in bene, non vuol dire l’happy end delle fiabe: vuol dire la fede di Maria Santissima sotto la croce. Lei crede. Attenzione: Abramo è il padre nella fede perché ha creduto contro ogni evidenza, cioè ha creduto che Dio avrebbe garantito la sua discendenza nonostante gli avesse chiesto di immolare il figlio unico. Ma Dio ferma la mano di Abramo prima che colpisca il figlio Isacco.
Sotto la croce abbiamo qualcosa di straordinario, cioè abbiamo la Madre di Dio che non solo condensa in sé la fede di Abramo, ma la supera. Perché? Perché Maria Santissima tiene ferma la fede, come dice Giuliana di Norwich, di fronte alla morte reale del Figlio, non fittizia, alla sua sepoltura e al sigillo posto sul sepolcro. Quando diciamo che tutto sarebbe finito in bene, non lo dobbiamo intendere secondo le nostre categorie umane, ma secondo le categorie della fede. Da quella morte certa - da quel fallimento che era sotto gli occhi, era evidente, non era fittizio - Dio non ha detto: “Questa è la parola fine”, come avrebbero voluto quelli che erano sotto la croce: «Se sei il Figlio di Dio scendi dalla croce e ti crederemo». Invece Dio vuole che noi crediamo senza che si scenda dalla croce; questa è la grande fede che ci viene chiesta. Ed è una fede nel governo di Dio. Dio sa trarre il bene dal male. Il male non ha l’ultima parola.
Pensiamo ai martiri. Quando ci troviamo di fronte al martirio, nella nostra logica diremmo: “Se Dio governa il mondo veramente, se la provvidenza di Dio davvero governa tutto, allora Dio dovrebbe salvare i suoi dalla morte, tirarli fuori dalle fiamme, farli scampare dalla spada, deviare la pallottola”. E invece cosa abbiamo? Abbiamo anche questi prodigi: spesso il Signore - se leggiamo gli atti dei martiri - permette che i martiri scampino da tantissime cose, ma in ultima analisi, per quasi tutti loro, poi concede la morte, concede la corona di gloria. Allora dobbiamo dire che ha prevalso il male perché sono riusciti ad uccidere i santi di Dio? No, sappiamo nella fede che quella morte è proprio una grande glorificazione del martire ed è la glorificazione di Dio.
Dunque, è una logica molto diversa, ma è una logica vera, che parte dalla fede, la quale ci dice: Dio permette il male; e lo permette nel rispetto della sua creazione, dell’aver creato l’uomo libero, come anche ha permesso il male di Lucifero e di tutti coloro che l’hanno seguito. Ma da lì ha tratto un bene e continua, in maniera inesauribile, a trarre un bene da ogni male, anche morale, che accade, che colpisce. Dice san Paolo, «tutto concorre al bene di coloro che amano Dio» (Rm 8, 28), di coloro che cercano Dio. Non c’è qualcosa che è veramente un male, se non il commettere il male, il commettere il male morale, il peccato. È importante questo punto perché, nella grande situazione di confusione in cui siamo, la grande tentazione è quella di commettere un male per evitare un altro male, magari un male minore, un male più piccolo per evitarne uno più grande. La logica di Dio è completamente diversa. Anzi, agire così [secondo la logica del mondo] vorrebbe dire che Dio, in fondo, non sa quello che fa. “A Dio è scappato di mano il governo della creazione, ci pensiamo noi a sistemarla”: questa è sempre stata la grande illusione degli uomini, anche di uomini buoni, non solo dei cattivi.
Invece, la grande fede nella Provvidenza di Dio ci fa stare fermi (nella fede) anche quando tutto sembra crollare. E non ci mette nell’agitazione di pensare che dobbiamo fare chissà che cosa: ognuno deve fare il suo dovere, perché dentro il governo di Dio ognuno di noi ha il suo ruolo, ma sempre facendo il bene per il bene, non un male per ottenere un bene. Quest’ultima sarebbe veramente un’idea sbagliata e, in fondo, è un’idea di un Dio un po’ menomato, che non sarebbe in grado di portare avanti la sua creazione, a meno che noi non ci mettiamo a fare quello che abbiamo in testa.
Speriamo così di aver dato un piccolo aiuto non per comprendere, ma per entrare nel grande mistero della permissione del male. E la prossima volta andiamo avanti con questo meraviglioso capitolo sulla creazione di Dio.