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LA VITA DI GESù NELL'ARTE/22

La parabola del fariseo e del pubblicano

Nell’opera di Fabritius che raffigura il fariseo e il pubblicano, vediamo il fariseo, elegantemente vestito, nell’atto di battersi il petto. Il pubblicano invece è vestito con semplicità e ha un atteggiamento umile, conscio forse dell’inumanità del suo mestiere. 
- LA RICETTA 

Cultura 06_06_2022

Questa parabola di Gesù è raccontata solamente dal Vangelo secondo Luca:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell'altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato» ( Luca 18,10-14).

Questa parabola è una straordinaria lezione di umiltà e tutti noi conosciamo persone simili ai due personaggi descritti qui.

Mentre a parole si rivolge a Dio, il fariseo in realtà è centrato su se stesso. Se dovessimo fargli un profilo psicologico, lo definiremmo narcisista patologico. Il mondo ruota intorno a lui: io, io, io. Io prego, io pago, io sono migliore. La sua relazione con Dio è incentrata sull’enumerazione dei suoi meriti. La figura di Dio è secondaria in questo scenario scritto dal fariseo stesso, dove il personaggio principale è lui. In quella semplice frase: “Io non sono come gli altri”, viene riassunta la sua concezione di fede e di relazione con Dio. Nel commento che fa, Gesù ci mette in guardia, usando l’esempio del fariseo, del pericolo che corriamo quando preghiamo concentrandosi su noi stessi invece che su Dio: “Chi si esalta sarà umiliato”.

A differenza di lui, il pubblicano prega Dio con umiltà, si indirizza a Dio e riconosce che è peccatore. E Gesù ci fa notare che “chi si umilia sarà esaltato”.

Ma chi erano i farisei e chi erano i pubblicani?

L'etimologia della parola "fariseo" è meno che certa. Nemmeno nel monumentale “Anchor Bible commentary” di Raymond Brown su Giovanni 1-12 (1966) in nessun luogo si trova l’etimologia del termine "fariseo". Leon Morris (1914-2006), nel suo commentario sul Vangelo di Matteo (1992), scrive: «I farisei erano un partito religioso amante del fatto che il loro nome derivasse da una parola che significa "separato". Il risultato fu che i farisei tendevano a vedersi un gradino sopra le altre persone».

Alcuni studiosi presuppongono semplicemente il significato "separatista" con il senso di "distaccato" e sostengono che Gesù stava creando una comunità universale, che i farisei respinsero perché distruggeva la loro esclusività e cancellava i loro privilegi.

Invece i pubblicani, nell’antica Roma, erano gli appaltatori delle imposte (publicanus) che pagavano allo Stato una certa somma come prodotto di una tassa, che poi esigevano per proprio conto. Erano figure disprezzate dalla società. Se ne distinguevano vari tipi: publicani pecuarii (per la tassa sui pascoli), publicani aratores (per la tassa sulla terra arata), publicani decumani (per le decime sul grano) ecc. Appartenevano all’ordine equestre e costituivano l’ordo publicanorum; riuniti in società (societates) per azioni, raggiunsero la massima potenza alla fine della Repubblica. L’istituzione declinò con l’Impero a seguito della creazione di funzionari imperiali che riscuotevano direttamente le imposte.

Per quanto riguarda la raffigurazione nell’arte di questa parabola, ci sono poche opere firmate da artisti noti e meno noti. A parte la raffigurazione negli affreschi di chiese e basiliche, la parabola ha forse la sua migliore rappresentazione nell’opera di Barent Fabritius, Il fariseo e il pubblicano esposta al Rijksmuseum di Amsterdam.

Barent Fabritius nacque nel 1624 a Middenbeemster nei Paesi Bassi e vi fu battezzato il 16 novembre 1624.

Anche suo padre, Pieter Carelsz Fabritius era pittore. Studiò pittura con il fratello Carel Fabritius, morto nell'esplosione della polveriera di Delft, e probabilmente anche con Rembrandt. Fu attivo nel periodo 1650-1673 e lavorò a Leida tra il 1655 e il 1660. Insegnò pittura al fratello minore Johannes Fabritius. Morì ad Amsterdam e vi fu sepolto il 20 ottobre 1673.

Nell’opera che raffigura il fariseo e il pubblicano, una colonna tonda, l’unica nel quadro (le altre sono quadrate) è lì per simboleggiare la separazione dei due mondi, separati dal modo di pregare dei due uomini. Vediamo il fariseo, elegantemente vestito, nell’atto di battersi il petto, per mostrare sé stesso e i suoi “meriti”. Il pubblicano invece è vestito con semplicità e ha un atteggiamento umile, conscio forse dell’inumanità del suo mestiere: i pubblicani erano famosi per i modi brutali con cui riscuotevano le tasse.

Questa è una delle più belle opere di Fabritius, che ha in sé tutti gli elementi dell’epoca e della corrente alla quale l’artista appartiene (il cosiddetto “secolo d’oro“). Conosciuto per le sue opere che traggono ispirazione dalla religione e dalla mitologia, ma che raffigurano anche ritratti e interni di abitazioni, Fabritius è forse un pittore minore, ma che ha saputo dipingere con sensibilità questa bella parabola, che ci insegna tante cose.