La pandemia della mala informazione scientifica
Notizie di bassa qualità scientifica sono purtroppo all'ordine del giorno da quando è iniziata la pandemia di Covid. I giornalisti preferiscono insultare i non vaccinati, anche sui social, con buona pace della deontologia. La comunicazione istituzionale latita (Brusaferro dove è?) e i virologi si contraddicono sulla durata dei vaccini.
La trasparenza e il solido ancoraggio a evidenze scientifiche rimangono gli ingredienti imprescindibili di una corretta informazione in materia di salute. Lo dicono le carte deontologiche emanate dall’Ordine nazionale dei giornalisti, ma anche i documenti ufficiali delle associazioni di giornalisti e comunicatori medico-scientifici.
Eppure, fin dallo scoppio della pandemia, abbiamo assistito spessissimo alla divulgazione di notizie di dubbia autenticità, contraddittorie e fuorvianti, che anziché favorire le azioni di contrasto al virus le hanno ostacolate, impedendo una equilibrata comprensione della situazione da parte dell’opinione pubblica. Il “Festival della virologia a reti unificate” ha contribuito ad alimentare scetticismo nei confronti dei canali ufficiali. Gran parte del mondo giornalistico, dopo aver raccontato con premura e coraggio la prima parte della pandemia dai luoghi del contagio e della sofferenza, ha preferito abdicare ai compiti di verifica delle fonti per cavalcare il sensazionalismo e il pressappochismo. Appiattendosi sui virologi, gli epidemiologi, gli infettivologi e gli altri scienziati coinvolti nelle valutazioni sull’andamento del Covid, l’informazione ha rinunciato ad utilizzare i nobili strumenti del giornalismo d’inchiesta, e in questo modo ha garantito solo in parte il diritto dei cittadini ad essere informati. Senza contare che moltissimi iscritti all’Ordine dei giornalisti, violando evidentemente la deontologia, hanno utilizzato i propri profili social per lanciare anatemi contro i non vaccinati, augurando loro le peggiori sventure, sulla base dell’emotività più che di dati scientifici, e quindi contravvenendo al principio della collaborazione tra colleghi e al dovere del rispetto della dignità umana.
I risultati di questa degenerazione del sistema informativo si vedono anche in queste ore, a proposito della campagna vaccinale. Da giorni e giorni non si comunicano più i numeri quotidiani dei vaccinati, forse per non ammettere che si è creata una situazione di stallo e che l’agognata soglia dell’80% di soggetti con doppia dose di siero è ben lontana dall’essere raggiunta. In compenso, si prosegue con lo stillicidio quotidiano delle cifre sui contagiati, i ricoverati, i morti, senza classificare minimamente i casi per età, patologie pregresse, status di vaccinato o di non vaccinato. Compiendo, quindi, una semplificazione anti-scientifica e una generalizzazione improvvida.
Le cifre, però, più discutibili tra quelle diffuse finora riguardano la durata dell’immunità. In Israele, dove avevano corso nella somministrazione dei vaccini, si parla di sei mesi, quindi i tempi sono già maturi per la terza dose. Negli Stati Uniti, l’immunologo Fauci azzarda otto mesi. E in Italia? Il governo ha deciso di estendere a un anno la validità del green pass. Significa che chi ha fatto le due iniezioni a marzo potrà stare tranquillo fino a marzo dell’anno prossimo. E siamo sicuri che questo soggetto abbia gli anticorpi e non diventi un taxi per il virus, ammalandosi a sua volta gravemente? Sulla base di quali riscontri della scienza si è deciso di prorogare a 12 mesi la durata del certificato verde, considerato il fatto che le persone vaccinate si sentono in larghissima parte sicure di non contrarre il virus e dunque non fanno tamponi neppure dopo aver frequentato luoghi affollati ed eventi a rischio assembramenti? Si è quindi certi che questo sistema del green pass possa garantire il contenimento della diffusione del virus anche durante l’imminente autunno, quando la vita nei luoghi al chiuso tornerà prevalente? Non sarebbe opportuno introdurre occasioni di screening e di verifica su chi si è vaccinato da tempo, onde evitare che con leggerezza e inconsapevolmente possa diventare veicolo di nuovi contagi?
Un’altra riflessione riguarda il Comitato tecnico-scientifico (Cts), rinnovato in larga parte dal governo Draghi rispetto alla composizione dell’epoca Conte. Silvio Brusaferro, Presidente dell’Istituto superiore di sanità, era stato nominato portavoce unico del Cts, proprio per uniformare i messaggi sul Covid e i vaccini e per mettere fine alla confusione delle comunicazioni ufficiali, con divisioni e polemiche tra membri dello stesso Comitato. Ma Brusaferro è praticamente scomparso, non parla quasi più e, in compenso, si moltiplicano le dichiarazioni di scienziati che dicono cose contrarie a quelle che dicevano soltanto due o tre mesi fa, dividendosi su terze dosi, possibile obbligo vaccinale e altri aspetti dell’emergenza epidemiologica.
Sarebbe un errore continuare a sottovalutare il peso che una comunicazione istituzionale e giornalistica corretta, onesta ed equilibrata può avere nella lotta al virus e nella creazione di un clima di fiducia tra cittadini e istituzioni.