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DOPO IL VERTICE

La Nato si è trasformata in un gruppo di Paesi servi degli USA

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Il vertice dell'Aja si è risolto in uno show trionfalistico di Trump che ha ridicolizzato e trattato con disprezzo gli "alleati" europei, contenti di lasciarsi imporre l'aumento delle spese militari al 5% del Pil per comprare armi americane.

Esteri 27_06_2025

All’Aja la NATO è formalmente morta come alleanza ma sopravvive come organismo basato (ora è davvero ufficiale) sulla sudditanza e l’adulazione del “grande alleato” statunitense. Un grande alleato che oltre a guidare e spiare gli europei come un “grande fratello” pretende anche devozione, cieca obbedienza e glorificazione delle proprie gesta.

Al Vertice NATO dell’Aja Donald Trump è stato il totale e assoluto protagonista di fronte ad alleati europei ormai trattati apertamente come vassalli, se non servi da disprezzare, e soprattutto dimostratisi per la gran parte disposti a farsi trattare come tali.
Come spiegare con termini diversi da disprezzo il fatto che Trump abbia reso pubblica la lettera del Segretario generale della NATO, l’olandese Mark Rutte, che lo celebrava come un imperatore romano al ritorno da una vittoriosa campagna militare per i raid contro i siti nucleari dell’Iran?

Rutte ha lodato «l’azione decisiva di Trump in Iran» e annuncia che «l’Europa pagherà in grande stile per la Difesa, come dovrebbe, e sarà una tua vittoria». Rutte ringrazia Trump per averci imposto il 5 per cento con un servilismo che ha fatto scrivere all’opinionista Arnaud Bertrand: «Abbiamo raggiunto l’apice del vassallaggio europeo, perfino i servi medievali avevano più rispetto di sé».
Che Rutte mostri servilismo verso il presidente statunitense (fino a ieri odiato in Europa) può forse non sorprendere ma che Trump lo ridicolizzi pubblicando sui social la lettera scritta in ginocchio dal segretario generale, conferma ancora una volta il disprezzo con cui Trump e la sua amministrazione guardano all’Europa.

Polemiche datate, alimentate dal fatto che un terzo dei 32 stati membri della NATO non raggiunge ancora il 2% del PIL dedicato alle spese militari, impegno assunto nel 2014 mentre all’Aja tutti hanno sottoscritto l’impegno a raggiungere il 5 per cento del Pil entro il 2035, cioè tra dieci anni, anche se nel 2029 verrà attuata una valutazione del piano per vedere a che punto sono arrivati i singoli partner.

Un traguardo imposto da Trump e recepito da tutti i 32 alleati che comprende un 3,5% di spesa per la difesa vera e propria e un altro 1,5% per la "sicurezza", in cui si include «la protezione delle infrastrutture critiche, la difesa civile, il sostegno all'innovazione e all’industria della difesa», come recita la dichiarazione approvata all'unanimità.

Trump non ha certo nascosto quali scopi persegua il diktat: gli alleati dovrebbero spendere tale denaro in "hardware militare", cioè in armamenti, sottolineando che le armi statunitensi sono di eccellente qualità. L’obiettivo del 5 per cento per la Difesa non ha un valore militare ma finanziario: gli alleati europei comprino armi statunitensi per evitare i dazi commerciali. Si tratta di un ricatto, non di un obiettivo militare e di sicurezza condiviso.
Peraltro l’Europa non ha le condizioni economiche per il riarmo. Costi energetici e di materie prime troppo alti e indisponibilità di esplosivo rendono i prodotti dell’industria europea troppo cari favorendo così l’acquisto dei prodotti statunitensi o di altre nazioni come la Corea del Sud, protagonista con aerei e mezzi corazzati a costi contenuti sui mercati europei.

Un Trump arrogante come non mai ha imposto agli alleati un tetto di spesa più elevato di quello degli Stati Uniti, che spendono il 3,3 per cento per la Difesa, ma non ha neppure ritenuto dover ribadire il ruolo della deterrenza statunitense nei confronti degli alleati.

Intervistato sull’impegno americano rispetto all’Articolo 5 del trattato NATO (l’attacco a uno Stato membro sarà considerato come a tutti gli alleati, che adotteranno le misure necessarie per assistere l'alleato), ha risposto che «dipende dalla tua definizione» dell’Articolo 5. Una dichiarazione che mina il principio della difesa collettiva su cui si basa l’intera architettura dell’Alleanza e sottolinea che Washington non si sente vincolata a sostenere in armi un alleato sotto attacco.

Trump ci prende a calci e Rutte continua a lustrargli le scarpe. Durante la conferenza stampa al termine del vertice il presidente ha parlato di Iran e Israele che «hanno avuto una grande litigata, come due bambini nel cortile di una scuola. Litigano come matti, non si può fermarli. Lasciateli litigare per due o tre minuti, poi sarà più facile fermarli». Una frase che un paio di settimane or sono, in termini simili, aveva già utilizzato per commentare il conflitto tra Russia e Ucraina.

Rutte non ha perso l’occasione per mettersi prono davanti a Trump aggiungendo che «paparino (daddy) a volte deve usare un linguaggio forte». Un “paparino” sopra le righe, in piena foga autocelebrativa, ha rivendicato di aver impedito l’escalation tra India e Pakistan, ha annunciato che nel weekend convocherà Ruanda e Congo per mettere fine ad una «guerra tremenda combattuta coi machete» e ha rivendicato di aver messo fine alla «guerra dei dodici giorni» tra Israele e Iran, «annientando» i siti nucleari iraniani, specie quello di Fordow, paragonando quell’azione alle atomiche di Hiroshima e Nagasaki che portarono alla resa il Giappone nell'agosto del 1945.

Paragonare Fordow a Hiroshima e Nagasaki è offensivo per i giapponesi, anche solo tenendo conto che nel sito iraniano colpito dalle bombe americane non risultano esserci stati morti, a differenza delle due città nipponiche devastate dalle bombe atomiche dove morirono sul colpo oltre 150 mila persone e non vi erano siti nucleari da neutralizzare.
Paragone infelice anche perché dimostra il disprezzo di Trump per un altro alleato storico degli USA, considerato a quanto pare nulla più di un servo-vassallo. Il primo ministro giapponese Yoshimasa Hayashi ha mostrato un garbo orientale nel commentare le parole di Trump limitandosi a osservare che «la valutazione delle dichiarazioni di Trump spetta agli storici».

Il generale Maurizio Boni, che ha lavorato a lungo in comandi NATO e oggi è opinionista di Analisi Difesa, ha evidenziato come «la durata record del vertice – meno di 24 ore – rappresenta forse l’aspetto più emblematico della crisi dell’Alleanza. I funzionari NATO hanno deliberatamente accorciato i tempi per evitare che Donald Trump abbandonasse prematuramente i lavori, come aveva fatto una settimana prima durante il G7 in Canada a causa della crisi mediorientale».

Attanagliati dal terrore che Trump lasciasse il vertice e ritirasse le truppe USA dall’Europa, gli alleati hanno mostrato un generalizzato servilismo a cui ha opposto una fiera resistenza il governo di sinistra spagnolo, mostratosi campione di sovranismo nel ribadire che non spenderà per la Difesa più del 2,1 per cento del Pil. Messaggio già espresso da Madrid in ambito Ue nel marzo scorso quando il ministro della Difesa Margarita Robles aveva detto che avrebbe raggiunto il 2 per cento solo nel 2029 e solo se questo non avesse determinato tagli rilevanti alla spesa sociale.
All’Aja il ministro degli Esteri José Manuel Albares Bueno ha detto che Madrid spenderà il 2,1%, centrando comunque gli obiettivi di capacità.

Trump ha definito «terribile» l’iniziativa della Spagna, che, ha detto, «non vuole pagare» quanto deve. «Non lo permetterò», ha tuonato, minacciando ritorsioni sul piano commerciale. Il premier Pedro Sanchez ha ribadito che l'investimento del 2% del Pil in difesa è in linea con il modello sociale della Spagna, «un investimento che riteniamo sufficiente, realistico e - ciò che è molto importante per la Spagna - compatibile con il nostro modello sociale, con il nostro stato del benessere».

In un vertice fatto di corsa c’è stato poco spazio per l’Ucraina, quasi messa da parte anche in questo caso per volontà degli USA. La dichiarazione conclusiva ribadisce gli impegni «sovrani» (quindi di ogni singolo Stato) a sostenere Kiev. Rutte ha ripetuto che esiste un percorso «irreversibile» dell'Ucraina verso l'adesione alla NATO ma di questo non vi è traccia in nessun documento, a conferma che Trump intende lasciare agli europei il fardello del confronto militare con la Russia e del sostegno militare all’Ucraina.

Il vertice NATO dell’Aja ha messo in luce tutte le contraddizioni e l’inadeguatezza di un’alleanza che sembra aver perso il contatto con la realtà geopolitica. Nessun membro NATO ha finora raggiunto l’obiettivo di spesa del 5% (la Polonia è la più vicina, al 4,7%) e in dieci anni tutti potranno rimangiarsi gli impegni assunti. Già nel 2029 la verifica del programma vedrà in sella governi diversi da quelli attuali in molte nazioni europee mentre anche Trump sarà a fine mandato.

Gli alleati si sono mostrati proni a Trump ma prendendo tempo per obbedire ai suoi diktat mentre Rutte, oltre a confermare la minaccia russa, rilancia su quella cinese a causa dell’espansione militare di Pechino definita «senza precedenti» anche se NATO e persino UE spendono più della Cina per la Difesa.
L’impressione è quindi che la NATO abbia il fiato corto ma adombri nemici minacciosi soprattutto per legittimare la propria esistenza.



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