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LITURGIA

La musica nella Settimana Santa, una mancanza che si sente

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Fino a metà del secolo scorso, la musica sacra era sempre stata una parte fondamentale della liturgia per la Settimana Santa. Dai responsori all’Ufficio delle Tenebre, tutto descriveva icasticamente la Passione di Gesù. Molto di questo patrimonio è stato, per ideologia, accantonato. Privando i fedeli di un grande tesoro spirituale.

Ecclesia 03_04_2023

La Settimana Santa è un tempo molto speciale dell’anno liturgico. In essa si rivivono le ore drammatiche della Passione e Morte di Nostro Signore Gesù Cristo, che poi sfociano nella gioia pasquale della Risurrezione.

Le cerimonie di questi giorni hanno sempre costituito un momento centrale nella vita liturgica della Chiesa e la musica ne è sempre stata parte fondamentale. Purtroppo, molto di questo patrimonio è andato perduto, in alcune chiese sopravvive il canto del Tantum ergo il Giovedì Santo, ma è praticamente l’ultima traccia di un tempo in cui la musica non era un riempitivo, ma contribuiva a solennizzare la liturgia e renderla più intensa. Un cardinale, liturgicamente molto progressista, fu sentito rimpiangere i responsori che si cantavano durante la Settimana Santa.

Già, i responsori! Testi bellissimi che descrivevano icasticamente le fasi della Passione del Signore: Tristis est anima mea, Iudas mercator pessimus, Tenebrae factae sunt… quanta bellezza in queste frasi, quanta densità spirituale. Eppure, oggi, l’Ufficio delle Tenebre, nella liturgia rinnovata, è praticamente inesistente. Basterebbe parlare con coloro che partecipano alla nuova liturgia e chiedere quanti di loro abbiano mai partecipato ad un Ufficio delle Tenebre: la risposta, presumibilmente, parlerebbe da sé.

Ma il problema non riguarda solamente l’Ufficio delle Tenebre, ma anche le stesse celebrazioni del Giovedì, Venerdì e Sabato Santo. Tanto è stato tolto alle possibilità che offrirebbe la musica, per rincorrere vane chimere ideologiche che alla fine si sono rivelate una vera catastrofe e ci hanno portato alle liturgie sciatte e sbrigative a cui assistiamo oggi. Cosa ci è venuto da questa perdita? Rinunciare a tutto questo non ha contribuito a riportare la gente in chiesa, tutt’altro. Non cantare Popule meus o Crux fidelis il Venerdì Santo non ha contribuito ad edificare nessuno, anzi: si sono privati i fedeli di un grande tesoro spirituale.

Quando si parla di riforma nella musica sacra, quello che sarebbe dovuto essere si basava sulla seguente idea: creiamo nuovi repertori per nuove esigenze liturgiche che non sfigurino di fronte alla tradizione musicale della Chiesa. Ma veramente è questa la situazione in cui ci troviamo? La risposta è nelle orecchie di tutti. Si è perso quel mondo sonoro e simbolico: per che cosa? È veramente triste pensare al basso livello a cui siamo ormai arrivati.

Ma torniamo alla creazione di nuovi repertori: ci sono stati e ci sono musicisti molto validi che hanno composto per la nuova liturgia e le loro composizioni sono musicalmente molto dignitose. Ma come mai è molto difficile che queste composizioni, pur su testo vernacolare, si ascoltino nelle Messe nelle nostre parrocchie? Perché, se non si consente che persone veramente preparate in musica possano prendersi carico della musica sacra, quelle composizioni saranno quasi sempre al di sopra delle possibilità dei dilettanti (non buoni dilettanti, però) a cui vengono affidate le nostre orecchie e la corruzione della nostra anima.

Quando arriviamo alla Settimana Santa, il senso di perdita e di mancanza viene sentito in modo ancora più acuto e ci viene spontaneo di dire nel nostro cuore, con il Salmo 137 (136): come cantare i canti del Signore in terra straniera? Un’altra domanda senza risposta.