La multa a Musk per la "spunta blu" è l'Ue che odia la libertà
Maxi multa dell'Unione Europea a X, il social network (ex Twitter) di Elon Musk. Le cause sono tecniche e riguardano la trasparenza dei dati. Ma il motivo sottostante è la libertà di espressione che l'Ue vuol limitare.
Se un alieno finisse sulla terra e leggesse un giornale qualunque, si chiederebbe come mai Elon Musk, che non è neppure un membro del governo Usa, stia attaccando l’Unione Europea. L’attacco parrebbe gratuito, raramente viene ricordata la causa, oppure è descritto come parte di una campagna anti-europeista lanciata da Trump, a partire dal suo nuovo documento della Strategia della Sicurezza Nazionale. In realtà, le ragioni degli attacchi continui, via X (ex Twitter) l’imprenditore sudafricano all’Unione hanno una causa molto più diretta e personale. La Commissione Europea, infatti, ha appena comminato a X, di proprietà di Musk, una maxi multa di 120 milioni di euro (140 milioni di dollari). E il miliardario sta reagendo col suo solito stile: con un crescendo di attacchi verbali, corredati da link ad articoli di quotidiani che gli danno ragione, fra cui il Wall Street Journal. Al di là dello stile (che manca), la protesta di Musk sulla multa europea è fondata e la decisione di comminarla è azzardata.
Perché X è stato multato? La piattaforma social acquisita da Musk tre anni fa, ha violato il Digital Services Act sotto almeno tre aspetti. Il primo riguarda la spunta blu: la certificazione che chi scrive è veramente quella persona, utile dunque per siti istituzionali e per personaggi pubblici o politici. Per le autorità europee i criteri di certificazione di X sono troppo arbitrari, specialmente da quando la spunta blu è a pagamento. Quindi dietro un nome noto potrebbe ancora nascondersi un’altra persona. La seconda contestazione riguarda la mancanza di trasparenza dell’archivio pubblicitario, che secondi le autorità europee deve essere accessibile a tutti, anche per ricostruire eventuali campagne di disinformazione pagate. La terza riguarda invece la mancata fornitura di accesso ai dati pubblici per i ricercatori, impendendo loro di ricostruire reti di interazioni, anche qui per cercare, eventualmente, di ricostruire reti di disinformatori.
X, come prima rappresaglia, ha rimosso l’account pubblicitario usato dall’Ue. Oltre al danno la beffa: lo ha fatto perché è comunicazione ingannevole (l’utente è indotto a credere che si tratti di link a video), la stessa contestazione che l’Ue muove sugli utenti con la spunta blu.
La Commissione ritiene di punire violazioni di regole sulla trasparenza, in tutte e tre le contestazioni. E per questo respinge al mittente le accuse di censura. Ma il caso è scottante: la prima multa comminata ad un social network americano, la prima in assoluto sotto la legge sui servizi digitali. E non può essere liquidato solo come un atto dovuto per motivi tecnici. Lo rivelano le stesse reazioni dei difensori della multa europea che, a media unificati, parlano di prima reazione europea al “far west” social voluto dalle Big Tech, in particolare da Musk. Che ha anche l’aggravante di essere stato nel governo di Trump. Si tratta dunque di un caso politico. E la reazione è arrivata dalla politica statunitense. Ha protestato l’ambasciatore degli Usa presso l’Ue, così come il vicepresidente JD Vance «l’Ue dovrebbe sostenere la libertà di parola, non attaccare le aziende americane per la spazzatura», senza specificare che cosa intenda per “spazzatura”. Duro anche il commento del Segretario di Stato Marco Rubio, secondo cui la multa europea è «un attacco a tutte le piattaforme tecnologiche americane e al popolo americano da parte di governi stranieri».
Reazioni esagerate? Se ci astraiamo un po’ dalle strette cause della multa e guardiamo al quadro nel suo insieme, non sono esagerate per nulla. La lite dell’Ue con Musk è iniziata da quando il miliardario ha esposto la censura della precedente gestione di Twitter e ha promesso una nuova politica aziendale basata sulla pura libertà di espressione. L’Ue, allora rappresentata dal commissario Thierry Breton, avvertì subito Musk che avrebbe dovuto rispettare le regole, o avrebbe subito severe conseguenze. Quel che fu ancora peggio fu la scelta del momento: l’ammonizione arrivò alla vigilia delle elezioni presidenziali, subito dopo l’intervista rilasciata da Trump a Musk sulla piattaforma X. In questi giorni convulsi, Musk ricorda come la Commissione abbia proposto un compromesso a Musk: adeguarsi alle “regole della moderazione” (che includono la rimozione di account sgraditi) o pagare. La stessa proposta è stata accettata da TikTok, mentre X non ha accettato ed è stata multata.
Le cause immediate della multa, dunque, parrebbero un pretesto, il vero obiettivo è Musk e la causa è politica: il suo social network è troppo libero. E questo l’Ue non lo può accettare. Senza contare che si perde il vero punto della vicenda: l’Ue sta multando un social network per la spunta blu, per sue politiche aziendali. Perché queste sono: politiche aziendali e normalmente è il mercato a giudicare se sono virtuose o meritano di essere punite, non un governo, men che meno sovranazionale. Per quanto riguarda le regole sulla trasparenza: attenzione, potrebbero essere usate contro il dissenso. Qualsiasi dissenso. Quello che oggi è lotta alla "disinformazione" o alla "guerra informatica" un domani può essere rivolto contro l'opposizione politica. Solo una mente formata nel dirigismo può penare che tutto ciò sia normale, o anche giusto. D'altra parte abbiamo anche fior di rappresentanti che chiedono la carta di identità digitale per gli utenti che navigano nei social network, come il "liberaldemocratico" Marattin, per esempio. Come stupirsi? Certo pensiamoci bene prima di descrivere l'Ue come una terra di libertà ingiustamente attaccata dagli Usa.


