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LA POLEMICA

La Meloni non accetta lezioni sulla libertà di stampa. Specie dall'Ue

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Meloni risponde a von der Leyen sulla libertà di stampa in Italia, attualmente sotto accusa della Commissione Ue. Gli europei ci rimproverano per la gestione della Tv pubblica, accorgendosi solo adesso che è lottizzata.

Politica 30_07_2024
Ursula von der Leyen e Giorgia Meloni

La cattiva abitudine dell’Unione europea di mettere il naso anche nelle vicende interne italiane è dura a morire. Un conto è giudicare il rispetto dei vincoli di bilancio, che si basano su criteri numerici oggettivi, fissati nel patto di stabilità e negli altri documenti ufficiali, altra cosa è alzare la voce e bacchettare il nostro Paese per la presunta mancanza di libertà di stampa, che non è misurabile con parametri precisi ma si ricollega ad elementi qualitativi che richiedono vari approfondimenti.

Pertanto ha fatto sicuramente bene il premier Giorgia Meloni a scrivere una lettera alla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, per manifestare tutto il suo disappunto per le critiche rivolte al nostro Paese in materia di pluralismo dei media e controllo politico della tv pubblica.

Gli articoli di alcuni media sulla Relazione annuale sullo stato di diritto dell'Unione europea, riguardo l'Italia, sono «attacchi maldestri e pretestuosi che possono avere presa solo nel desolante contesto di ricorrente utilizzo di fake news che sempre più inquina il dibattito in Europa; dispiace che neppure la Relazione della Commissione sullo stato di diritto e in particolare sulla libertà di informazione sul servizio pubblico radiotelevisivo sia stata risparmiata dai professionisti della disinformazione e della mistificazione», scrive il premier.

Le critiche europee all’Italia si concentrano soprattutto sulla governance della Tv pubblica, che metterebbe a rischio lo stato di diritto per la sua eccessiva politicizzazione. In altri termini, la libertà di stampa in Italia sarebbe a rischio perché la maggioranza di centrodestra avrebbe messo le mani sulla Tv pubblica, impedendo il pluralismo.

La Commissione Ue sembra scoprire l’acqua calda. Da sempre chi vince le elezioni occupa la Tv pubblica per influenzarne la linea editoriale in funzione del consolidamento del consenso. Funziona da cinquant’anni così e nessuna forza politica ha mai pensato di cambiare questo meccanismo, che evidentemente sta bene a tutti, sia a chi guida il Paese che a chi fa opposizione.

Stupisce, quindi, che da Bruxelles si sveglino solo ora che al governo c’è il centrodestra. La Meloni ha peraltro puntualizzato che «durante ogni passata competizione elettorale, tutti i governi in carica hanno potuto legittimamente continuare ad informare i cittadini sulla loro attività, senza che l'informazione istituzionale rientrasse nel conteggio dei tempi della par condicio, così come previsto dalla legge vigente». Meloni si è difesa così replicando a chi l'ha accusata alle ultime europee sia stata violata la par condicio in favore delle forze di maggioranza.

La disciplina della par condicio è peraltro ferma al 2000 e ha creato problemi in ogni campagna elettorale perché ciascun competitor si è sentito a fasi alterne discriminato nella propaganda elettorale, a riprova di quanto quella legge faccia acqua da tutte le parti. La legge la volle peraltro la sinistra negli anni in cui puntava a contrastare la posizione dominante di Berlusconi nel mercato televisivo.

Quanto, poi, nello specifico, alla Rai, va detto che certamente nei tg e nei canali Rai c’è stato nell’ultimo anno un deciso riposizionamento di poltrone e contenuti verso il centrodestra, come era prevedibile, visto l’esito del voto, ma va altresì rimarcato che l’attuale consiglio d’amministrazione della Tv pubblica, peraltro in scadenza, era stato nominato dal governo Draghi e non ha uomini vicini a Fratelli d’Italia. Inoltre, la legge che disciplina la Rai e che attribuisce un potere enorme all’esecutivo è del 2015 e fu promossa dal governo Renzi.

Da Bruxelles rimproverano inoltre al centrodestra di governo di aver compiuto epurazioni e siluramenti di giornalisti non allineati, ad esempio Lucia Annunziata. «Riguardo al fatto che il cambiamento della linea editoriale della Rai avrebbe determinato le dimissioni di diversi giornalisti e conduttori, è di tutta evidenza, anche in ragione di quanto espresso in precedenza, che si tratti di una dinamica che in ogni caso non può essere imputata all’attuale governo. Nel merito, diversi esperti del campo affermano che i rapporti di lavoro si sono interrotti per normali dinamiche di mercato; alcuni di questi conduttori hanno lasciato la Rai prima dell’arrivo del nuovo amministratore delegato e altri hanno deciso di percorrere nuove esperienze professionali o editoriali, pur avendo l’azienda confermato i loro spazi di presenza nei palinsesti», chiarisce sempre la Meloni nella lettera a von der Leyen.

Ma il braccio di ferro tra Ue e Italia su questo fronte sembra destinato a inasprirsi. A stretto giro è arrivato infatti un altro studio finanziato dall’Ue e condotto questa volta da Media freedom rapid response, che accusa il nostro governo di “violazioni politiche per marginalizzare le voci critiche”. Ecco il passaggio più raggelante di quel report: «Da quando il governo di coalizione di estrema destra guidato da Giorgia Meloni è entrato in carica nell’ottobre 2022, la libertà dei media in Italia è stata sottoposta a una pressione crescente, con attacchi e violazioni senza precedenti della libertà di stampa e dei media, spesso avviati dai funzionari pubblici nel tentativo di emarginare e mettere a tacere le voci critiche».

Si tratta di attacchi impropri e fuori luogo perché l’Ue dovrebbe limitarsi a riscontrare l’eventuale violazione delle norme vigenti in materia; invece si allarga fino a parlare di democrazia italiana a rischio, senza evidenziare le presunte violazioni di legge che determinerebbero tale emergenza. Evidente l’intento politico di Bruxelles di screditare il nostro Paese e di indebolirlo, ma per fortuna il premier ha tenuto botta e non si è lasciato intimidire.