La Madre di Dio – Il testo del video
In ragione delle sue due nature, divina e umana, per Cristo è corretto parlare di due nascite, una come generazione eterna dal Padre e l’altra, nella carne, dal seno di Maria. Che è realmente Madre di Dio, in virtù dell’unione ipostatica. Nascita di Cristo nel luogo e nel tempo: Betlemme e il 25 dicembre, le ragioni di convenienza.
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Proseguiamo le nostre riflessioni sulla III parte della Summa e in particolare sulla sezione dedicata ai misteri della vita di Cristo. Come stiamo facendo da qualche domenica a questa parte, ci focalizziamo sulla rilevanza di questi misteri che gettano luce sul mistero di Maria Santissima.
Oggi vediamo il mistero della Divina Maternità, cioè Maria Madre di Dio. Avevamo già anticipato qualche cosa nelle lezioni dedicate all’unione ipostatica (vedi qui e qui), alla riflessione sul mistero delle due nature nell’unica persona di Cristo. Abbiamo visto dei testi fondamentali del Magistero della Chiesa su questo dogma e abbiamo un po’ spiegato la sua importanza. Oggi vediamo quali sono le conseguenze di questo mistero e dunque come questo mistero è fortemente legato a quello della Maternità Divina della Madonna.
Prendiamo in considerazione la quæstio 35, che conta otto articoli (non li vedremo tutti). Iniziamo a focalizzarci sui primi due articoli, che ci danno rispettivamente le basi filosofiche e teologiche per comprendere, per quanto possibile per la nostra ragione, questo mistero. San Tommaso in sostanza si chiede che cosa voglia dire, dal punto di vista filosofico, una nascita. Se ci pensiamo un attimo, quando si parla di nascita possiamo considerare due aspetti, cioè: colui che nasce, l’ente concreto, la persona concreta che nasce, che si chiami Francesco, Giuditta, Tizio o Caio; oppure la natura che nasce, perché ogni nascita, ogni generazione ha come termine una natura che è data dalla specie. Nella generazione umana chiaramente parliamo della specie umana, nella generazione dei cani la specie canina, eccetera.
Dal lato di colui che nasce, noi abbiamo sempre un soggetto o un’ipostasi – per usare il termine tecnico – cioè l’ente concreto sussistente che nasce. Non nasce una natura a sé, ma questa natura nasce sempre in un soggetto. Quindi io, Luisella, sono nata con una natura che indica, specifica questo soggetto; è quella forma che fa sì che chi è nato appartenga alla specie umana. Ciò che è nato è però il soggetto.
Eppure, la nascita dal punto di vista della natura non è un’astrazione. Ogni nascita è collegata a una natura concreta che viene alla luce in un soggetto. Dunque, san Tommaso dice che «propriamente parlando la natura non comincia ad esistere, ma è piuttosto la persona che comincia ad esistere in una data natura» (III, q. 35, a. 1, ad 3). Questa è la spiegazione che lui dà nella risposta alla terza obiezione dell’art. 1. Teniamola presente soprattutto nell’ultima parte, cioè «la persona che comincia ad esistere in una data natura», perché qui abbiamo le due dimensioni da tenere presenti: la persona e una data natura.
Ora, facciamo un salto, con l’art. 2, al lato più teologico, cioè: come capire la nascita del Signore Gesù, data questa premessa di ragione? Abbiamo due conseguenze. La prima: siccome in Cristo ci sono due nature – la natura divina e quella umana – allora necessariamente abbiamo due nascite, perché se è vero quello che abbiamo detto prima, cioè che la persona inizia ad esistere in una data natura, la persona del Verbo inizia ad esistere in una data natura umana, distintamente da quando ha “iniziato” ad esistere – perché quanto alla divinità non c’è stato un momento in cui non c’era – quanto alla generazione divina. Quindi, parliamo di due nascite: una nascita propriamente eterna, cioè la generazione eterna del Figlio, della persona del Verbo, nella natura divina, la quale a un certo punto associa a Sé una natura umana; e dunque c’è propriamente una nascita umana. Da qui, secondo il linguaggio che troviamo nella tradizione della Chiesa, le due nascite di Cristo. Questa è la prima conseguenza.
La seconda conseguenza è che l’ipostasi, il soggetto, è uno; il soggetto delle due nascite, che è il soggetto delle due nature, è uno solo: il Verbo. Questo è importantissimo. Teniamo l’unità del soggetto, ma questo non ci impedisce di parlare di due nascite perché effettivamente due distinte nature vengono generate: la prima nell’eternità, l’altra nel tempo.
Tommaso, in questo articolo, affronta la posizione di Nestorio, personaggio di cui abbiamo già parlato sia nelle due lezioni che abbiamo dedicato all’unione ipostatica sia nella serie degli articoli di supplemento della domenica. La posizione di Nestorio può essere riassunta così: egli direbbe che in Cristo c’è una sola persona e, dunque, c’è una sola nascita. Che cosa possiamo rispondere all’obiezione di Nestorio?
Noi sappiamo che in realtà, data la distinzione che abbiamo appena fatto sulla nascita, il soggetto è sì uno, ma sappiamo anche che la natura umana è realmente distinta da quella divina. E dunque la nascita umana è necessariamente distinta dalla generazione eterna, perché abbiamo l’assunzione con la nascita temporale di una natura umana. Ma nel contempo, poiché questa natura umana è in un’unica ipostasi identica, cioè quella del Figlio di Dio, del Verbo di Dio, allora è corretto dire che Cristo nasce due volte. Perché? Questo è il punto da capire. Perché, essendo l’unico soggetto di due nature, ciò che accade a queste due nature, ciò che si compie in queste due nature può essere predicato di quell’unico soggetto. Ecco perché noi possiamo dire che Cristo è eterno, ma possiamo anche dire che Cristo nasce, non secondo la stessa prospettiva, ma quanto alle due nature diverse, distinte che sono prese, assunte da un unico soggetto.
Normalmente, quando si fanno questi discorsi, c’è un’accusa comune che viene fatta a san Tommaso e in generale alla teologia così impostata, cioè quella di essere troppo filosofica o meglio, nel caso di Tommaso, troppo aristotelica, quasi che Tommaso dipenda più da Aristotele che dalla Sacra Scrittura. Basta un minimo di conoscenza delle opere di san Tommaso per capire che non è così, per capire quali sono le fonti a cui attinge e su cui lavora. Ma poi c’è un’altra questione: qui non si tratta di essere aristotelici o no, si tratta invece del fatto che la fede offre all’intelligenza umana un oggetto: noi la chiamiamo proprio “intelligenza della fede”. Cioè, la ragione umana, illuminata dalla luce della grazia, è chiamata in qualche modo a riflettere sul mistero, a comprendere il mistero. E quindi questa riflessione non si fa alla luce di quella che è la filosofia di Tizio, Caio e Sempronio: questa è la distorsione che è stata fatta soprattutto in epoca moderna, ossia di leggere il dato della fede sulla base dell’impostazione di una scuola filosofica o di un autore. Quello che facciamo è invece affrontare i misteri della fede alla luce della filosofia umana, cioè del modo con cui l’uomo conosce. Se non facciamo questo, possiamo chiudere completamente qualsiasi discorso di riflessione sulla fede, perché non potremmo dire nulla. Ma i contenuti della fede vengono offerti all’uomo in quanto l’uomo è un essere razionale. È chiaro che dobbiamo ogni volta verificare che non si stia distorcendo la dimensione della fede sulla base di una ragione deviata, sbagliata. Ma, come si suol dire, l’abuso non toglie l’uso.
Dunque, questo è quello che ritroviamo nei primi due articoli della q. 35. Ora, in base a questi due articoli, uno potrebbe dire: dov’è la Madre di Dio? Questi articoli ci dicono in sostanza che realmente l’unica ipostasi, cioè l’unica persona del Figlio di Dio, nasce due volte (secondo due diverse nature). Ora, dovreste già capire il passaggio che san Tommaso, con l’art. 3 e soprattutto l’art. 4, opera nei confronti della Madre di Dio, perché se non ci fossero realmente due nascite non avrebbe senso parlare di una vera maternità di Maria e di conseguenza non avrebbe senso parlare di una Divina Maternità, cioè di Maria Madre Dio. E infatti quello che fa san Tommaso rispettivamente nell’art. 3 e nell’art. 4 della quæstio 35 è proprio questo: 1) mostrare che realmente Maria è madre; 2) mostrare perché è assolutamente corretto e da difendere il suo titolo di Madre di Dio.
Dunque, vediamo le conseguenze che san Tommaso tira di questo mistero delle due nascite nei confronti della Maternità Divina. Prima di tutto san Tommaso sgombra il campo da quella che potrebbe essere una posizione che sostiene una sorta di maternità fittizia di Maria. Egli mette subito davanti il fatto che noi professiamo una vera Incarnazione. Cioè: non è che l’umanità e, in particolare, il corpo del Signore, già formato non si sa dove, sia sceso nel grembo della Vergine Maria e, passando da questo grembo, sia poi uscito. Invece, affermiamo che il corpo del Signore si è formato dal seno della Vergine Maria: Tommaso usa l’espressione «dal suo sangue più puro» o, nella terminologia latina, ex Maria Virgine, cioè traendo la propria corporeità dalla Vergine Santissima; dunque non è un passaggio, una sorta di “parcheggio momentaneo”, di un’umanità già formata.
Nella risposta alla seconda obiezione, san Tommaso spiega: «Dalla parte della madre, tale nascita fu naturale, mentre fu miracolosa dalla parte dell’azione dello Spirito Santo» (III, q. 35, a. 3, ad 2). Il fatto che il concepimento e la nascita del Signore siano state miracolose non vuol dire appunto che la maternità della Madonna fosse fittizia, ma dalla parte sua fu vera maternità, quindi fu veramente un dare la propria sostanza perché si formasse il corpo del Figlio. Invece, è l’aspetto proprio dello Spirito Santo ad essere un evento chiaramente al di sopra delle normali leggi di natura.
A noi interessa soprattutto l’art. 4, cioè il fatto che questa maternità è reale. Possiamo dire che Maria è Madre di Dio o dobbiamo dire che è solo madre di Gesù uomo, madre del Cristo uomo, come voleva Nestorio?
San Tommaso presenta le tre grandi, classiche obiezioni al titolo di Madre di Dio. 1) Il titolo “Madre di Dio” non c’è nelle Sacre Scritture, non c’è nei Vangeli, non c’è nelle lettere di san Paolo. Dunque, il fatto che l’espressione non sia biblica deporrebbe per non utilizzarla. 2) La seconda obiezione, più di contenuto, è il fatto che ad aver preso inizio dalla Vergine, ad essere nata, non è la natura divina, e dunque non è Dio. E quindi non si potrebbe dire che Maria è Madre di Dio. 3) Siccome il titolo di Dio è proprio sia del Padre, sia del Figlio, sia dello Spirito Santo, ne deriverebbe che, usando il titolo di Madre di Dio, Maria sarebbe madre addirittura della Trinità.
Andiamo a vedere che cosa dice san Tommaso: prima leggiamo il corpo dell’articolo e poi le risposte precise a queste tre obiezioni. «Poiché l’Incarnazione è avvenuta nell’unità dell’ipostasi [l’unica persona del Verbo], è chiaro che il nome Dio può essere attribuito all’ipostasi che ha insieme la natura umana e quella divina» (III, q. 35, a. 4). Cioè, si tratta di un’unica persona: il soggetto, Dio, è lo stesso soggetto che ha la natura divina e che ha la natura umana (non c’è una persona umana).
Continua san Tommaso: «A questa persona dunque si può attribuire ciò che spetta alla natura divina e a quella umana, sia nel caso che tale persona venga designata con termini indicanti la natura divina, sia nel caso che venga designata con termini indicanti la natura umana. Ora, il concepimento e la nascita vengono attribuiti a una persona o ipostasi secondo la natura nella quale l’ipostasi viene concepita e nasce» (ibidem). È quello che abbiamo detto prima: a nascere è sempre un soggetto, eppure questa nascita è collegata a una natura, dunque c’è una natura che viene ad esistere, ma un unico e solo soggetto che è il Verbo, tant’è che noi parliamo di Verbo incarnato. «Avendo quindi la persona divina assunto la natura umana fin dall’inizio della concezione, è chiaro che può dirsi con verità che Dio è stato concepito ed è nato dalla Vergine» (ibidem). Perché si può dire? Per quello che abbiamo detto, ossia che c’è un unico soggetto a cui ineriscono la natura divina e la natura umana; per cui, ciò che diciamo della natura umana e in modo analogo della natura divina, lo possiamo dire del soggetto, che è Dio.
Tommaso aggiunge: «Ma proprio per questo una donna è chiamata madre di una persona, perché l’ha concepita e l’ha data alla luce. Quindi la Beata Vergine deve essere veramente chiamata madre di Dio» (ibidem), perché ad essere nato, nella natura umana, è l’unico soggetto. «Infatti in due casi soltanto si potrebbe negare che la Beata Vergine sia la madre di Dio: nel caso che l’umanità fosse stata concepita e fosse nata prima che quell’uomo fosse Figlio di Dio, come pensava Fotino; oppure nel caso che l’umanità non fosse stata assunta nell’unità della persona o ipostasi del Verbo di Dio, come pensava Nestorio. Ma ambedue le ipotesi sono erronee, quindi è eretico negare che la Beata Vergine sia madre di Dio» (ibidem). Maria non sarebbe Madre di Dio o nell’ipotesi in cui l’umanità di Cristo fosse stata concepita e fosse nata prima, cioè se non fosse veramente ex Maria Virgine e quindi se la maternità della Madonna fosse solo apparente, ma abbiamo visto che non è così; oppure nel caso in cui la natura umana che nasce non fosse stata assunta nell’unità della persona divina, cioè nel caso in cui fosse nato una persona umana. Quindi, non Dio fatto uomo, l’unico soggetto, il Verbo che assume la natura umana, ma una persona umana: e questo è l’errore di Nestorio.
Ora, vediamo le tre risposte ad hoc alle tre obiezioni che abbiamo presentato poco fa. Iniziamo dalla prima: il titolo non è biblico. Anche questa era un’obiezione che Nestorio aveva presentato nella disputa con san Cirillo e nel contesto del Concilio di Efeso. Tommaso dice che la cosa «può essere risolta facendo notare che sebbene la Scrittura non dica espressamente che la Beata Vergine è madre di Dio, dice però che “Gesù Cristo è vero Dio” (1 Gv 5, 20) e che la Beata Vergine è “madre di Gesù Cristo” (Mt 1, 18). Quindi dalle parole della Scrittura segue necessariamente che essa è madre di Dio» (ibidem). Tommaso, confutando Nestorio, dice: non è che noi nella Scrittura dobbiamo trovare tutto pronto, noi abbiamo dei princìpi. In questo caso ne abbiamo due: Gesù Cristo è vero Dio; la Madonna è madre di Gesù Cristo. Quindi, uniamo le due cose e abbiamo che la Madonna è Madre di Dio.
Questo ci fa capire che bisogna fare molta attenzione quando, in nome di una presunta maggiore fedeltà alle Scritture o di una maggiore semplicità della fede che deve stare nel linguaggio delle Scritture, si attaccano i dogmi o comunque quegli insegnamenti definitivi che la Chiesa ha dato. Bisogna fare molta attenzione, perché la Scrittura non ha tutto esplicito; rimando agli ultimi articoli di apologetica che stiamo facendo nei supplementi domenicali proprio sul rapporto tra le Scritture e il Magistero della Chiesa. Il Magistero chiaramente non significa essere superiori alle Scritture o tradire le Scritture, invece è trarre dalle Scritture ciò che esse non dicono esplicitamente ma che pure contengono.
La seconda obiezione è quella della natura divina che non avrebbe preso inizio dalla Vergine. E san Tommaso, rispondendo appunto alla seconda obiezione, dice: «Si deve affermare che la Beata Vergine è madre di Dio non nel senso che sia madre della divinità, ma perché è madre secondo l’umanità di una persona che possiede la divinità e l’umanità» (ibidem). Interessante. Non è madre della divinità, ma è madre di quell’unico soggetto che possiede in Sé e la divinità e l’umanità: quell’unico soggetto è Dio; quindi Maria è veramente Madre di Dio.
Terza obiezione. È vero che il nome di Dio è comune alle tre persone della Santissima Trinità, ma è anche vero che esso può designare, come in questo caso, una sola persona. Chiaramente, quando qui parliamo di Dio, parliamo della persona del Figlio, non parliamo della Trinità intera e quindi non segue che Maria sarebbe anche madre della Trinità. Vedete dunque la ricchezza del contenuto di questi articoli.
Chiudiamo con gli art. 7-8, in qualche modo i più “leggeri”, di questa quæstio, che ci espongono i princìpi, le ragioni di convenienza per cui il Signore è nato in un certo luogo, in un certo tempo. Il principio alla base lo troviamo all’art. 8: «tra Cristo e gli uomini c’è questa differenza: gli altri uomini, nascendo, sono soggetti alle necessità del tempo [e, aggiungo, anche del luogo; non siamo noi a scegliere quando nascere e dove nascere]. Mentre Cristo, in quanto Signore creatore di tutti i tempi, poté scegliere per sé sia il tempo in cui nascere, sia la madre, sia il luogo».
Dunque, c’è una scelta da parte di Dio ed essendo Dio sapienza, dietro questa scelta ci sono delle ragioni di convenienza: Dio non è puro arbitrio, quindi la ragione illuminata dalla fede, restando umile e tranquilla, ma non per questo rinunciando ad esercitarsi, si domanda: quali sono queste ragioni? Possiamo comprenderle, intuirle? San Tommaso dice di sì. Anzitutto, per il luogo (art. 7). Noi sappiamo certamente che Betlemme rimanda al re Davide per mostrare che Cristo veniva a compiere le promesse date alla stirpe di Davide. Ma uno potrebbe dire: perché Davide è nato a Betlemme? La ragione profonda è proprio che Betlemme significa “casa del pane”. Ricordate questo termine, perché lega l’Incarnazione del Verbo alla Redenzione, quindi alla nostra salvezza. Che cos’è la nostra salvezza? È essere incorporati in Cristo: la salvezza non è un’altra cosa rispetto alla nostra incorporazione in Cristo. Perché la salvezza è l’incorporazione in Cristo, è essere incorporati a Lui. E come avviene questa incorporazione? Avviene tramite la manducazione, cioè tramite il mangiare le sue carni, bere il suo sangue, per dimorare in Lui affinché Lui dimori in noi. Vedete che la scelta di Betlemme è in qualche modo una sintesi meravigliosa del senso dell’Incarnazione redentiva.
Perché non nacque a Gerusalemme? A Gerusalemme invece abbiamo la Passione del Signore. Leggiamo la risposta di san Tommaso alla prima obiezione: «Il re Davide nacque a Betlemme ma scelse Gerusalemme per farne la sede del suo regno e costruirvi il tempio di Dio, in modo che Gerusalemme fosse una città regale e sacerdotale insieme. Ora, il sacerdozio di Cristo e il suo regno furono attuati soprattutto con la sua passione» (III, q. 35, a. 7). Cioè, la scelta di Gerusalemme non è per la nascita ma per la Passione, perché è ovviamente con la Passione che Cristo esercita il suo sommo sacerdozio di offerta di Sé stesso sull’altare della croce; e per la sua regalità: il titulus crucis indica la sua regalità, cioè la regalità di Colui che, innalzato da terra, attira tutti a Sé. Ancora, Dio non sceglie Roma perché, ci dice san Tommaso, avrebbe potuto far pensare che la forza del cristianesimo sarebbe derivata dal potere dell’impero. Invece, doveva manifestare la potenza di Dio, non la potenza degli uomini. E la potenza di Dio, sappiamo, rovescia le logiche della potenza umana.
Infine, l’art. 8 tratta della nascita nel tempo. Anzitutto, era il tempo della famosa pax Augusti, di questo periodo di relativa pace soprattutto interna all’impero romano dopo diverse lotte interne e dopo diversi omicidi originati da queste lotte; e dunque un tempo che è figura di un’altra pace che Cristo è venuto a portare e di un’altra unificazione, chiaramente non basate sul potere dell’impero e dell’imperatore, ma basate sulla sua regalità divina, sul modo con cui il Signore l’ha espressa e la esercita. Nasce poi sotto il re Erode, e questo è interessante, perché in fondo si trattava di un re straniero, ci dice san Tommaso; non era della discendenza davidica, e quindi si va ad adempiere la profezia di Giacobbe (Gn 49): «Non sarà tolto lo scettro da Giuda né il bastone dal suo comando finché verrà colui al quale esso appartiene». Dunque, proprio perché questa regalità non è più davidica, indica il tempo di Colui al quale appartiene questo scettro, cioè Cristo stesso.
Infine, nasce il 25 dicembre perché, come dice san Tommaso citando l’Ambrosiaster, «“Cristo volle nascere, quando la luce del giorno comincia a crescere”, per indicare che la sua venuta doveva far progredire gli uomini nella luce divina, secondo le parole di Luca 1, 79, “per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte”» (III, q. 35, a. 8). Interessante. Cristo non è venuto nel momento in cui la luce è al suo sommo, ma è venuto nel momento in cui la luce inizia a irradiare, a indicare proprio la logica del tempo che va dall’Incarnazione alla Parusia, alla sua venuta, che è come un progresso di questa luce che nasce piccola, quasi insignificante, eppure in questa debolezza dissipa le tenebre ed è destinata a crescere non solo nel corso della sua vita ma nel corso della storia, fino al grande evento del ritorno glorioso di Cristo. Come vedete, anche questo articolo è molto ricco.
La Madre di Dio
In ragione delle sue due nature, divina e umana, per Cristo è corretto parlare di due nascite, una come generazione eterna dal Padre e l’altra, nella carne, dal seno di Maria. Che è realmente Madre di Dio, in virtù dell’unione ipostatica. Nascita di Cristo nel luogo e nel tempo: Betlemme e il 25 dicembre, le ragioni di convenienza.
L’Annunciazione – Il testo del video
Dio volle che il mistero dell’Incarnazione del Verbo fosse annunciato a Maria. Ma perché? Quattro ragioni di convenienza. E volle che questo annuncio fosse fatto da un angelo. Il parallelismo Genesi-Vangelo: caduta vs riparazione. Discernere gli spiriti: cosa ci insegna l’Annunciazione.