La macchina barocca di Sant'Ignazio, bellezza che evangelizza
A Roma, nella Chiesa del Gesù, dove riposa il corpo di sant’Ignazio di Loyola, si trova la magnifica “macchina barocca”. Ancora oggi funziona perfettamente e, attraverso un susseguirsi di scene che catturano lo spettatore, racconta la vita del santo, in un fecondo incontro tra teatro e Cristianesimo.
Immaginate un enorme schermo televisivo del 1600. O meglio, un enorme schermo cinematografico. Un attimo: c’è qualche anacronismo storico, credo. Né il famoso tubo catodico né tantomeno il cinema potevano esistere nel ‘600. Eppure, in una chiesa romana qualcosa di simile avveniva diversi secoli fa. Stiamo parlando della magnifica “macchina barocca” nella Chiesa del Gesù, l’immensa e splendida chiesa che accoglie - dal 1637 - il corpo di sant’Ignazio di Loyola (1491-1556). Proprio della sua vita, della sua santità, ci parla ancora oggi questa complessa macchina barocca.
Infatti, ogni pomeriggio, in questa augusta e al contempo ricca chiesa si ripete da secoli “il miracolo”: una vera e propria “apparizione” - così potremmo definirla - del santo fondatore dell’Ordine dei gesuiti. È un evento che ogni fedele - o turista - attende perché è l’espressione di un modo di concepire l’arte che tanto manca al nostro oggi, assai triste, perché privo di poesia e di arte.
Un’azione teatrale concepita come racconto della storia di sant’Ignazio, un’evangelizzazione attraverso la Bellezza: qualcosa di così distante dall’oggi che però nutre sempre curiosità e pubblico. Certamente, la domanda sorge più che spontanea (come direbbe un vecchio conduttore televisivo): non sarebbe il caso di ritornare a certe antiche esperienze? Verdi diceva: “Torniamo all’antico e sarà un progresso”.
La macchina barocca della Chiesa del Gesù, a Roma, ci presenta una magnifica statua bronzea di sant’Ignazio. La statua originaria, opera di Pierre II Le Gros, venne fusa durante l’occupazione francese del 1798. Ne rimase soltanto la pianeta, cui agli inizi del XIX secolo furono adattate le parti mancanti, formate in stucco e quindi argentate. Il lavoro venne eseguito nello studio di Antonio Canova, probabilmente da Adamo Tadolini (1788-1868).
Prima di addentrarci, quasi come spettatori, ad ammirare una simile macchina, è doveroso qualche breve accenno alla stessa chiesa. In fondo, come ogni teatro che si rispetti, è importante citare il luogo sul quale si erge. Fu lo stesso sant’Ignazio, nel 1551, a commissionare all’architetto fiorentino Nanni di Baccio Bigio il disegno di una chiesa per la Compagnia del Gesù. Successivamente, nel 1554, la pianta venne ridisegnata da Michelangelo, ma anche il suo progetto rimase sulla carta. Nel 1561, fu il cardinale Alessandro Farnese a fornire il finanziamento per la sua costruzione. Chiamò Jacopo Barozzi, meglio conosciuto come “Il Vignola”. Gli architetti gesuiti Giovanni Tristano e Giovanni de Rosis furono attivi collaboratori dei progetti interni e diressero l’attuale costruzione. Il disegno della facciata, fatto dal Vignola, non soddisfò il cardinal Farnese: scelse, così, un progetto di Giacomo Della Porta. La vera e propria costruzione della chiesa iniziò nel 1568 e a concluderne l’esecuzione, dopo la morte del Vignola, fu proprio Della Porta. Era il 1575.
Ma ritorniamo alla macchina barocca che si trova nella sontuosa cappella di Sant’Ignazio, dove riposa il corpo del santo. La macchina barocca proveniva dall’ambiente teatrale, anche se - è necessario precisare - in questo caso le storie si fondono, si combinano in un gioco di specchi: la cultura teatrale e l’Ordine dei gesuiti.
Sotto l’aspetto prettamente storico-artistico dobbiamo fare una parentesi di tipo “teatrale”, appunto: la meccanizzazione del teatro che viene eseguita in questo periodo permetteva varie trasformazioni e altri effetti scenici sensazionali. La prima persona che introdusse la meccanizzazione nel teatro fu Bernardo Buontalenti, un genio delle macchine. Giacomo Torelli fu uno dei suoi studenti che - chiamato “il mago”, per via delle sue strabilianti trasformazioni - creò un sistema di rotelle e leve che permisero di scambiare rapidamente le scene davanti al pubblico con numerosi effetti. Il teatro barocco “laico” aveva alcuni elementi fantastici, e le scene più spettacolari di battaglie, incendi e distruzioni. Guardando all’aspetto sociale, il teatro diventava un posto di incontro per le masse. Incontro, parola importante per tutto il Cristianesimo.
A cogliere questo importante dato vi furono i gesuiti che cominciarono a sperimentare quello che per la storia rimarrà per sempre il cosiddetto “teatro gesuitico”. Espressione europea di questo teatro fu Jacob Bidermann (Ehingen, 1578 - Roma, 1639) che insegnò retorica, filosofia e teologia a Monaco, per poi passare nel 1622 a Roma in qualità di censore presso la sede centrale della Compagnia di Gesù. Viene considerato il più grande autore del teatro barocco dei gesuiti in Germania. Il suo capolavoro (in latino), il Cenodoxus (1602), è imperniato sulla vita e l’inattesa dannazione di un dottore di Parigi (una sorta di Faust), il cui peccato è il vano amor di sé e l’ipocrisia.
Tra teatro barocco e Ordine dei gesuiti nacque, così, una sorta di dialogo: ognuno mutuò dall’altro un “qualcosa”. Ed è proprio in questo dialogo che si “innescò” l’amore per le macchine teatrali barocche.
La cappella di sant’Ignazio rappresenta bene questo dialogo, ma non solo. È l’espressione della forza comunicativa del teatro per narrare vicende evangeliche o di santi, come nel caso di Ignazio di Loyola.
È spettacolare (aggettivo più che appropriato) come lo “spettatore-fedele” venga catapultato nella vita del santo spagnolo, grazie a questa macchina che tutt’oggi funziona perfettamente. Lo stesso impianto architettonico della cappella in cui si trova ricorda molto, infatti, un teatro. Le immense colonne, poste a lato della cappella, aprono un “arco scenico” sotto il quale avviene “magicamente” la scena. La tela posta nella nicchia sopra il sarcofago di Sant’Ignazio fa da sipario. Attribuita ad Andrea Pozzo, rappresenta, in alto, il santo che riceve da Cristo risorto il vessillo con il monogramma del nome di Gesù; e in basso, su uno sfondo indefinito, due angeli, di cui quello a sinistra regge il libro dei Vangeli aperto e quello a destra indica verso quattro personaggi, simboli dei quattro continenti conosciuti al tempo, e del libro stesso.
La tela, come un sipario, sale e scende con un sistema di bilancieri. Ed è a questo punto che avviene il “miracolo”: la tela scende e lascia lo spazio a una scultura bronzea imponentemente dorata. Sembra di assistere alla gloria in Cielo dello stesso santo. Un vero colpo di teatro: è la gloria di Ignazio, è la gloria - fra angeli e cieli - del Cristianesimo.