Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Guido Maria Conforti a cura di Ermes Dovico
SCUOLA PUBBLICA

La lotta sbagliata di un ateo: il crocefisso non discrimina

Un professore ateo rimuove il crocefisso ogni volta che entra in aula. Sospeso, ricorre in tribunale. I primi due gradi di giudizio li ha persi, ora si attende la Cassazione. La giurisprudenza gli dà torto: il crocefisso non discrimina, ma è simbolo anche di valori laici "di libertà, eguaglianza, dignità umana e tolleranza religiosa" (Consiglio di Stato 2006).

Educazione 27_05_2021
Crocefisso in aula

La Croce come motivo di scandalo. Tema ancor oggi attualissimo. La storia è la seguente: un docente di lettere di una scuola superiore, simpatizzante dell’associazione Unione atei e agnostici razionalisti, durante le sue ore aveva deciso di rimuovere il crocefisso in aula, nonostante gli studenti fossero di avviso contrario. Il preside lo aveva richiamato all’ordine, ma lui, imperterrito, ha continuato a togliere Nostro Signore dalla parete delle aule dove insegnava. Poi arrivò da parte del preside una sanzione disciplinare: sospensione di 30 giorni da funzioni e stipendio.

Il docente ricorre in tribunale contro questa decisione e perde sia in primo che in secondo grado. Da ultimo si rivolge alla Cassazione la quale si dovrà pronunciare su questa vertenza. In particolare il docente lamenta che l’esposizione del crocefisso possa ledere la propria libertà di insegnamento e di coscienza e quindi divenire uno strumento di discriminazione.

Cosa potrà mai decidere la Cassazione? Andiamo a vedere cosa dice la nostra legge a riguardo e i precedenti giurisprudenziali. L’esposizione del crocefisso è prevista dall'art. 118 del Regio decreto 30 aprile 1924, n. 965 e dal Regio decreto 26 aprile 1928, n. 1297 che però valgono solo per le scuole elementari e medie. Nulla è prescritto per le aule delle scuole superiori e delle università. Da qui l’interrogativo: divieto o facoltà di esposizione in tali sedi? Ci aiuta la giurisprudenza. 

Il Consiglio di Stato si è pronunciato a favore della esposizione del crocefisso con due pareri, uno nel 1988 e l’altro nel 2006. Nel primo parere i giudici scrivevano che il crocefisso, «a parte il significato per i credenti, rappresenta il simbolo della civiltà e della cultura cristiana, nella sua radice storica, come valore universale, indipendente da specifica confessione religiosa». E poi aggiunsero che la Costituzione «non prescrive alcun divieto alla esposizione nei pubblici uffici di un simbolo che, come quello del crocifisso, per i principi che evoca e dei quali si è già detto, fa parte del patrimonio storico. Né pare, d'altra parte, che la presenza dell'immagine del crocifisso nelle aule scolastiche possa costituire motivo di costrizione della libertà individuale a manifestare le proprie convinzioni in materia religiosa».

Simili argomentazioni le troviamo anche nel parere del 2006: «il principio di laicità non risulta compromesso dall'esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche». Il crocefisso è «simbolo altresì di un sistema di valori di libertà, eguaglianza, dignità umana e tolleranza religiosa e quindi anche della laicità dello Stato». E conclude: «mentre non si ravvisano elementi positivi di concreta discriminazione in danno dei non appartenenti alla religione cattolica, il crocifisso in classe […] può e deve essere inteso, anzi, come uno dei simboli dei principi di libertà, eguaglianza e tolleranza e infine della stessa laicità dello Stato. […] Si deve pensare al crocifisso come ad un simbolo idoneo ad esprimere l'elevato fondamento dei valori civili sopra richiamati, che sono poi i valori che delineano la laicità nell'attuale ordinamento dello Stato».

Veniamo al caso Abano Terme del 2002. La signora Soile Tuulikki Lautsi chedeva la rimozione del crocifisso dalle aule frequentate dai figli. Ne nacque un caso giudiziario che arrivò sino alla Grand Chambre della Corte europea dei diritti dell’uomo la quale, ribaltando il verdetto di primo grado, affermò che il crocefisso non intaccava la libertà di educazione degli studenti, essendo «simbolo essenzialmente passivo».

Dunque alla luce di questi principi giurisprudenziali, la Cassazione dovrebbe bocciare il ricorso del docente. Infatti il crocefisso non discrimina e dunque non lede la libertà di insegnamento e coscienza del docente perché, se da una parte è certamente un simbolo religioso, su altro fronte esprime anche valori laici condivisi propri della nostra cultura, ossia comuni a tutti. Valori laici – rectius: propri del diritto naturale – che sono distinti dal credo religioso e anche delle posizioni atee, quali quelle professate dal docente. «Laico» per il nostro ordinamento non significa ateo, bensì non confessionale (cfr. artt. 7 e 8 Costituzione).

Perciò il docente non contestando il patrimonio culturale italico, di cui il crocefisso è uno dei simboli, non può chiedere la rimozione del medesimo. Se il crocefisso esprimesse solo una valenza religiosa o addirittura confessionale, secondo giurisprudenza, dovrebbe essere rimosso. Ma essendo simbolo di un patrimonio di valori repubblicani non può discriminare nessuno e anzi conferma, nella sua prospettiva laica, il valore di quei principi di libertà e uguaglianza a cui si era appellato il docente per la rimozione dello stesso.

Detto tutto ciò la lotta contro il Condannato a morte più eccellente della storia continuerà sicuramente anche in futuro perché finchè i cristiani saranno perseguitati, discriminati e vilipesi stessa sorte capiterà anche al simbolo che li rappresenta.