La liturgia, gioia di Dio e gioia degli uomini
Il culto divino rende gloria a Dio e “fa bene” all’uomo, ricollegandolo alla sua intima essenza e alla sua vera patria. Riti, inni, preghiere e cerimonie non sono un orpello ma un anticipo del Paradiso, spiegava dom Gérard Calvet.
Gioia di Dio, gioia degli uomini: il titolo scelto per l’edizione italiana è una felice sintesi di Quatre bienfaits de la Liturgie (recentemente tradotto e pubblicato da Amicitia Liturgica) di dom Gérard Calvet (1927-2008), fondatore e primo abate di Sainte-Madeleine du Barroux, abbazia francese eretta canonicamente nel 1989, che mantiene l’uso della liturgia tradizionale. Se di solito si invita un lettore a non spaventarsi per la mole di un testo, qui vale l’avvertimento contrario: non sottovalutate queste poche decine di pagine poiché vi ritroverete a sottolineare pressoché ogni riga. E prima che a sottolinearle, a pregustare l’orizzonte che esse vi apriranno. Un orizzonte che, proprio come avviene nella liturgia, non solo descrive ma proietta nel Regno celeste.
A prima vista parrebbe azzardato accostare la liturgia alla gioia – e la liturgia intesa in tutta la sua sacralità e solennità – e invece scopriamo che «la vera tradizione non è triste», al di là dei cliché. Anzi, la liturgia è la gioia degli uomini perché risponde a una necessità radicata nella natura umana: l’adorazione: «L’uomo è veramente se stesso quando adora». Talmente radicata che prima ancora della venuta di Cristo era già vivo l’anelito all’adorazione e in tal senso «la religione dell’antichità valeva come attesa». A questa attesa fece appello San Paolo annunciando quel «Dio ignoto» che gli ateniesi adoravano senza conoscerlo (At 17,22ss.). Eppure, «sembra che Dio preferisca essere adorato senza essere conosciuto, piuttosto che essere conosciuto senza essere adorato». L’apertura alla trascendenza, al soprannaturale è il primo dei quattro «benefici della liturgia» menzionati da dom Calvet. Ed è la differenza tra il senso religioso degli antichi e l’apostasia del nostro tempo che «fa sì che non sia più nemmeno il mondo dell’attesa, ma il mondo del rifiuto». Laddove il «culto dell’uomo» e l’«ipertrofia del sociale» hanno contagiato lo stesso «modo di pregare dell’uomo moderno», affogandolo nel suo stesso naturalismo, la liturgia permette un «riorientamento di tutta l’umanità, di tutto l’universo verso il suo autentico centro». E lo fa anche visivamente quando «ogni mattina il celebrante si rivolge verso il sole nascente come la più bella immagine cosmica del Cristo risorto».
Il secondo beneficio della liturgia è la sua stessa bellezza, che della verità offre «un’epifania terrena accessibile a tutti». L’autore prende ad esempio «un gruppo di visitatori giapponesi in visita alla Cattedrale di Parigi. (...) Supponiamo che, proprio in quel momento, gli officianti, vestiti con piviali di velluto e dorati, entrino in processione per i vespri solenni. I visitatori guardano in silenzio, affascinati: la bellezza ha aperto loro le porte». Tale «bellezza liturgica» che «più di ogni altra merita di essere chiamata lo splendore del vero» ha la funzione di una finestra: non è un orpello, non appesantisce, al contrario «vuole esprimere per trasparenza la luminosità del soprannaturale». Ad appesantire e oscurare semmai è una certa liturgia post-conciliare «diventata opaca e noiosa, con il suo gusto per il banale e il mediocre, fino a far venire i brividi» (parole nettissime dell’allora cardinale Joseph Ratzinger).
Terzo beneficio è «una sensibilità soprannaturale con cui i fedeli percepiscono, come per intuizione, ciò che è conforme alla fede e alla tradizione della Chiesa», ovvero il sensus Ecclesiae. Cosa ha tenuto vivo questo istinto della fede, persino tra le persecuzioni? «Ciò che ha preservato la fede dei fedeli durante i secoli di persecuzione musulmana», affermava il patriarca melchita Massimo V, «è la celebrazione della divina liturgia». Così è stato anche nei Paesi dell’est, dove «il battesimo e l’Eucaristia hanno costituito l’unico ma insopprimibile sostegno alla fede contro cui si è scontrato l’apparato comunista». Un baluardo anche nelle tribolazioni personali di un monaco citato nell’Introduzione, che confidava: «Non avrei perseverato nella mia vocazione se, ogni giorno, durante l’anno, attraverso la grazia della sacra liturgia, Dio non avesse teso una mano per soccorrermi». Attraverso di essa, infatti «entro nell’essere della Chiesa, nel suo intimo santuario», come sperimentò un pastore protestante che dopo aver partecipato a una Messa solenne esclamò: «Ho visto la Chiesa!», ovvero, spiega dom Calvet, «l’aveva vista attraverso il dispiegarsi della sua tradizione più pura e più antica», attraverso le cui parole, i canti e i riti «l’anima cristiana si ritrova legata a una patria che trascende i secoli».
Infine la liturgia conduce «con mano sicura nel santuario dell’anima» – e siamo al quarto beneficio – educando l’anima del monaco come quella del laico: è il caso dello scrittore George Bernanos (descritto da padre Raymond Leopold Bruckberger), il quale «prima che la casa si svegliasse, prima che si riempisse di rumori leggeva la Messa del giorno in latino dal suo vecchio e logoro messale (...). Si nutriva avidamente delle formule immutate della liturgia, trovando in esse ogni mattina la brillantezza del nuovo: ogni mattina era solo per lui che queste parole venivano pronunciate per la prima volta nella storia del mondo». Non è solo questione di «atmosfera» bensì dei «misteri» di Cristo che si dispiegano nel ciclo della liturgia o, riprendendo l’efficace immagine di dom Paul Delatte, è l’«impronta divina che il battito del pendolo liturgico lascia perennemente nelle nostre anime».
«Che cos’è la liturgia?», chiese Carlo Magno ad Alcuino di York. «La liturgia è la gioia di Dio», rispose Alcuino. Ed è al contempo, «la gioia degli uomini che sono diventati figli di Dio», poiché «gli uomini sono fatti per Dio, per andare a Dio», avanzando giorno per giorno, di anno in anno tra i misteri del ciclo liturgico. «La liturgia della Chiesa è la più vasta, la più grandiosa, la più viva delle poesie. (...) Tutto questo lirismo, tutte queste preghiere, tutte queste cerimonie, tutti questi canti e cantici dalle melodie così varie», spiegava dom Calvet, «la Chiesa li ha scelti e messi in atto per elevarci al livello divino, per suggerirci la grandezza di Dio, per farci pregustare la gioia del Paradiso».
La liturgia è culto a Dio, alle origini del Movimento liturgico
11 luglio 1833: viene ristabilita la vita monastica nell’abbazia di Solesmes, grazie a dom Guéranger. La cui opera è ritenuta all’origine del Movimento liturgico, che intendeva riproporre tutto lo splendore della liturgia.
Cristina Campo e lo splendore gratuito della liturgia
A cento anni dalla nascita di Cristina Campo, oltre gli schemi di certa critica che si ferma al suo tradizionalismo. Poetessa tormentata e dalla vita privata sui generis, scrisse pagine meravigliose sulla liturgia come «splendore gratuito, spreco delicato, più necessario dell'utile».
Benedetto XVI: "il fine della liturgia è Dio"
L'eredità liturgica di Benedetto XVI esprime in primo luogo il primato dell'adorazione, consapevole che l'autentico rinnovamento liturgico non passa per istruzioni e regolamenti né per una malintesa partecipazione. Di qui l'impegno per una "riforma della riforma", partendo dal proprio esempio nelle celebrazioni pontificie.
- L'EREDITÀ LITURGICA DI BENEDETTO XVI, di Uwe M. Lang
Il diritto di Dio nella liturgia
Si può dire che la liturgia ha al proprio interno una dimensione giuridica, ovvero rimanda ad uno Ius. Lo Ius (e la virtù annessa che è la virtù di giustizia) ci dice appunto quello che è giusto dare a qualcuno. Detto in altri termini: dare a ciascuno il "suo". Nel caso della liturgia questo qualcuno è Dio.
Ratzinger: l'essenziale della liturgia è il Mistero
Nel mese di agosto sospendiamo le video-lezioni di catechismo, ma proponiamo alcune letture che approfondiscono alcuni dei temi già trattati in questi mesi. Dopo quella del cardinale Newman sul rapporto fede-mondo, e quella di Josef Pieper su otium e culto, oggi proponiamo due scritti dell'allora cardinale Joseph Ratzinger sul significato del culto nella vita cristiana.