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CRISI IRRISOLTE

La Libia finita nel dimenticatoio

Divisoni, rivalità e una guerra che ancora continua. Sarà davvero difficile che il governo formato martedì sia credibile.

Attualità 24_11_2011
Libia
Doveva avere un radioso avvenire di sviluppo economico e democrazia grazie anche al sostegno alla stabilizzazione della comunità internazionale. Invece, a poche settimane dalle visite trionfali a Tripoli e Bengasi di Nicolas Sarkozy, David Cameron, Recep Erdogan e Anders Fogh Rasmussen, la Libia sembra aver perso interesse per la comunità internazionale.

I leader politici occidentali non ne parlano quasi più e, a quanto sembra, neppure se ne interessano anche se i ministri degli Esteri dell’Unione Europea hanno sottolineato con preoccupazione che «saccheggi e vendette ancora continuano». L’ipotesi di impegnare i tredici Paesi che avevano preso parte alla Guerra contro Gheddafi in una missione di addestramento e stabilizzazione resta però congelata da veti incrociati.  Il Qatar, che ha speso miliardi di dollari per finanziare i ribelli e inviato  clandestinamente 5mila suoi soldati a prendere Tripoli, vuole il commando di una forza di pace internazionale alla quale nessuno sembra però voler partecipare agli ordini di Doha. I qatarini sono poco apprezzati anche a Bengasi per il loro evidente sostegno agli estremisti islamici che cominciano a dettare condizioni agli esponenti del Consiglio nazionale di transizione.

Tra i molti esponenti libici che accusano il Qatar di ingerenza anche l'ex ministro degli Esteri di  Gheddafi passato da subito dalla parte dei ribelli, Abdel Rahman Shalgham. «La Libia non sarà un pezzo dell’emirato del Qatar - ha affermato - il Consiglio Nazionale di Transizione ha accettato dal paese imposizioni che la maggior parte dei libici avrebbe rifiutato». L'ex premier del Cnt, Mahmoud Jibril ha accusato il Qatar di «aver giocato un ruolo più grande delle sue capacità in Libia» e di aver sostenuto le milizie islamiste dello sceicco Ali al-Salabi.

Anche gli esponenti libici contribuiscono non poco al caos che sembra dilagare nell’ex regno di Gheddafi.  «Siamo contrari alla presenza di basi militari straniere in Libia così come alla presenza di contractors stranieri per la protezione dei giacimenti petroliferi», ha affermato il premier in pectore del Cnt libico, Abdurrahim al-Keib, in un'intervista alla tv araba al-Jazira. «Esistono in Libia sistemi e organismi addetti alla protezione dei siti petroliferi siamo in grado di proteggerli benissimo da soli».  Anche se in Europa se ne parla poco o nulla la guerra in Libia non sembra infatti essere conclusa e del resto proprio il Cnt chiese invano alla Nato di prolungare le operazioni fino alla fine dell’anno.

Il Fronte di liberazione, organismo fondato e guidato dal secondogenito di Gheddafi, Seif al-Islam, controllerebbe tutto il Sud del Paese secondo la propaganda dei seguaci del Colonnello e sarebbe in grado di colpire anche in Tripolitania e Cirenaica. La cattura di Saif al-Islam e di Abdullah al-Senussi (quest’ultima non confermata), capo dell'intelligence del regime di Muhammar Gheddafi, sembrano aver concluso la guerra tra il Cnt e il regime del Colonnello anche se la conferma che saranno processati in Libia e non dal Tribunale Penale Internazionale dell’Aja lascia aperti molti dubbi. In ogni caso non è detto che con la loro cattura sia terminata anche la conflittualità in un Paese che rischia di sprofondare nel caos. Soprattutto a causa delle forti divisioni interne al Cnt dove da più parti emergono critiche pesanti alla tribù di Misurata, accusata dai cirenaici di prepotenze e di cercare di imporre la sua leadership.

Un confronto tribale che si sta spostando sul campo di battaglia. Dopo gli scontri sporadici tra bande rivali a Tripoli, in ottobre, la scorsa settimana si è combattuto nei dintorni di Zawiya dove si susseguono gli scontri tra due milizie armate che hanno provocato almeno 13 morti. Una delle milizie in campo, i cui membri fanno parte della tribù Werchefana, sono accusati di far parte della resistenza lealista e  potrebbero essere appoggiati dai clan della tribù warfalla di Bani Walid, ultima roccaforte del raìs a cadere insieme a Sirte. Oggetto del contendere è una caserma delle forze di Gheddafi piena zeppa di armi e munizioni, un vero tesoro in un momento in cui la Libia, priva di controllo a frontiere terrestri, spazi marittimi e aerei  è un vero paradiso per chi voglia arricchirsi trafficando armi come confermano i rapporti delle autorità algerine e tunisine che intercettano quasi ogni giorno carichi di armi dirette alle milizie di al-Qaeda nel Maghreb.

Come accadeva durante la guerra le informazioni fornite dal Cnt restano inaffidabili e in buona parte false ma pare evidente il fallimento del piano di smilitarizzare le bande e costituire l’embrione di un esercito libico. A questo proposito il 15 novembre è fallito il tentativo dei vertici militari libici di nominare un nuovo capo dell'esercito sono fallite miseramente.  «Ci sono ancora troppe divergenze», ha detto il colonnello Nasser Busnina. Trecento ufficiali e soldati, ai quali si sono aggiunti decine di "katayeb", i miliziani civili, si erano riuniti nella base aerea di Benina (Bengasi) ma il caos si è rapidamente impadronito della riunione. Alcuni partecipanti hanno manifestato disappunto per la presenza di alcuni ufficiali in tribuna mentre altri si sono opposti al termine di "formazione" di un esercito nazionale che era all'ordine del giorno, preferendogli quello di "riorganizzazione”.

Numerosi ufficiali si erano uniti ai ribelli durante la guerra ma vengono considerati con diffidenza e ostilità dalle milizie civili tribali che aspirano al controllo della sicurezza. Per questo il 20 novembre 150 ufficialihanno nominato il generale di divisione Khalifa Belgacem Haftar “nuovo comandante in capo" dell'esercito libico senza l’avvallo del premier, Abdulrahim el-Keib o del Cnt. Riuniti nella citta orientale di al-Baida hanno scelto all'unanimità il generale Haftar "per la sua anzianità di servizio, esperienza e capacità di comando così come per gli sforzi che ha fatto per sostenere la rivoluzione del 17 febbraio", ha dichiarato il generale Fraj Bunseira, capo del Consiglio Militare di al-Baida che a questo punto diventa l’ennesimo movimento libico. La notizia è stata accolta con un freddo silenzio a Tripoli. Il generale Haftar ha frequentato l'accademia militare di Bengasi ha proseguito l'addestramento nell'allora Unione Sovietica, e abbandonò Gheddafi negli anni '90 durante il conflitto tra la Libia e il Ciad. Trasferitosi negli Stati Uniti è tornato in Libia a marzo per unirsi agli insorti.

La vicenda fotografa il caos che regna in Libia nonostante il Cnt sia riuscito martedì a nominare un governo provvisorio la cui credibilità è tutta da verificare. «È rappresentato tutto il Paese», ha sottolineato il premier Abdulrahim el Keib annunciando la lista dei ministri, che comprende l'ex executive dell'Eni Abdulrahman Ben Yezza, nel ruolo chiave di titolare del Petrolio e il capo militare dei ribelli di Zintan, Osama al-Juwali, alla Difesa. Altri esponenti provengono da Misurata e dall'est del Paese, come Ashour Bin Hayal, nominato a sorpresa titolare degli Esteri. Il governo libico non ha riservato posti agli estremisti islamici sostenuti dal Qatar, in primis Abdelhakim Belhaj, che pretendeva alcuni ministeri. Vedremo come la prenderanno a Doha. Mentre veniva completata la compagine di governo a Tripoli una serie di incomprensioni hanno scatenato una furiosa sparatoria tra i vari gruppi.

Come ha dichiarato Saif al-Islam ai miliziani di Zintan che lo hanno catturato, «ora considerate quelli delle montagne, di Misurata o Bengasi vostri fratelli, ma dategli qualche mese, al massimo un anno e scoprirete la verità». Considerata l’attuale situazione, una facile profezia.