La Liberia dice addio a Ebola. Ma restano altri virus
La Liberia è in festa. Da giorni gente euforica si riversa nelle strade esultando, improvvisando balli e canti: l’epidemia di Ebola è finita, si torna a vivere. Ma sull'Africa altre emergenze sanitarie sono lungi dall'essere sconfitte, come quelle della malaria, tubercolosi e Aids.
La Liberia è in festa. Da giorni gente euforica si riversa nelle strade esultando, improvvisando balli e canti: l’epidemia di Ebola è finita, si torna a vivere. L’annuncio ufficiale è stato dato il 9 maggio dall’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità, dopo che per 42 giorni non si è registrato nessun nuovo contagio. Siccome il periodo massimo di incubazione della malattia è di 21 giorni, l’Oms ha infatti stabilito che per dichiarare la fine di un’epidemia di Ebola deve passare il doppio del tempo senza nuovi casi e in Liberia l’ultimo è stato diagnosticato il 27 marzo.
In Liberia la malattia era comparsa nel marzo del 2014, importata dalla vicina Guinea Conakry dove l’epidemia aveva avuto origine nel dicembre del 2013. Il mese successivo anche la Sierra Leone denunciava i primi contagi. In tutto, alla data del 9 maggio, giorno dell’ultimo bollettino medico diramato dall’Oms, sono morte 11.079 persone e sono stati diagnosticati 26.720 casi (salvo una decina, riscontrati tutti in questi tre Stati). Il numero maggiore di decessi, 4.769, si è avuto proprio in Liberia. «Abbiamo finalmente passato il Rubicone. La Liberia è di nuovo un paese felice», ha commentato, parlando alla stampa, il presidente della repubblica Ellen Johnson-Sirleaf che ha assicurato il proprio impegno per migliorare il sistema sanitario nazionale: «è questa la cura a lungo termine per Ebola», ha detto, «lo dobbiamo alla prossima generazione». Il sistema sanitario nazionale liberiano in effetti è del tutto inadeguato anche in tempi normali. Per avere un’idea della situazione e del lavoro da fare, bastano pochi dati: il Paese dispone di un medico e di 80 posti letto ogni 100.000 abitanti. Ma quel che più conta, al momento, è che né le autorità né la popolazione abbassino la guardia. Come ha spiegato l’Oms, c’è un alto rischio che dalla Sierra Leone e dalla Guinea, dove l’epidemia è tuttora in corso, delle persone infette possano entrare in Liberia, come è già successo in passato, attraversando i confini quasi del tutto incustoditi dei tre Paesi.
Dall’Africa in questi giorni è arrivata anche un’altra buona notizia. Un vaccino contro la malaria messo a punto da una équipe di scienziati dell’università di Oxford è stato testato con discreti risultati in Kenya. Dopo otto settimane dalla sua somministrazione a 121 uomini adulti, si è dimostrato efficace al 67%. È il secondo vaccino che si rivela di una certa efficacia, dopo ben 20 anni di ricerche ininterrotte. Ma la sfida da vincere è la realizzazione di un vaccino che funzioni e che possa essere inoculato anche ai bambini, principali vittime del paludismo. L’urgenza è dimostrata dai numeri. In Africa sub sahariana ogni giorno 1.300 bambini di età inferiore a cinque anni muoiono di malaria: quasi uno al minuto. Complessivamente nel 2013, ultimo anno per cui sono disponibili dati esaurienti, si sono verificati 198 milioni di casi di malaria e ne sono morte 584.000 persone: il 90% delle quali in Africa sub sahariana, per tre quarti bambini. La malaria si conferma con questi dati la terza malattia contagiosa più grave per numero di vittime, dopo l’Aids e la tubercolosi. Nel 2013 l’Aids ha ucciso 1,5 milioni di persone, il 70% delle quali in Africa sub sahariana, dove si contano 25 milioni di sieropositivi su un totale mondiale di 35 milioni. La tubercolosi nello stesso anno ha colpito nove milioni di persone, più di mezzo milione di bambini, e i morti sono stati quasi 1,5 milioni. L’Africa detiene il primato del maggior numero di ammalati di tubercolosi rispetto al numero di abitanti: 280 ogni 100.000.
Si sente spesso dire che i Paesi ricchi sono insensibili a simili tragedie, che i laboratori delle ditte farmaceutiche ignorano le malattie che colpiscono il Sud del mondo, che centinaia di milioni di persone sono lasciate sole a combattere con malattie che altrove sono state debellate. Ma è giusto ricordare, mentre ci si rallegra per la Liberia, si spera per sempre libera dall’incubo di Ebola, che se si è potuta arginare l’epidemia si deve alla comunità internazionale intervenuta a soccorrere i tre Paesi colpiti con denaro, mezzi e personale. Anche la lotta alla malaria si combatte nei Paesi ricchi, industrializzati, dove centri di ricerca privati e statali sono impegnati da decenni nella difficilissima ricerca di un vaccino, mentre, nel frattempo, si forniscono alle popolazioni flagellate dal paludismo medicinali, zanzariere, per quel che valgono, repellenti e insetticidi. Così è per l’Aids e per la tubercolosi. Sono tre malattie che continuano a uccidere milioni di persone, ma ne ucciderebbero molte di più se non venissero forniti ogni anno a livello internazionale, e in particolare dai Paesi industrializzati, tanti fondi e mezzi per combatterle.
In Africa, Asia e America Latina, se centinaia di milioni di persone ricevono cure mediche e usufruiscono di programmi di prevenzione lo devono alla cooperazione internazionale svolta, grazie a finanziamenti pubblici e privati, da Nazioni Unite, Stati e organizzazioni non governative – prima tra tutte Medici senza frontiere che tanto si sta prodigando per lottare contro Ebola.