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DDL FAZIOSI

La legge contro il suicidio nasconde molti errori

Coloro che hanno salutato con giubilo la sentenza della Corte Costituzionale del 25 settembre 2019 e che spingono per legalizzare il suicidio assistito, propongono una legge per prevenire il suicidio. Bisogna rispettare la volontà di porre fine alla propria vita, oppure no? Ecco l'errore antropologico contenuto nel Ddl accolto con plauso da alcuni cattolici e da Avvenire

Attualità 16_07_2020

Continua a macinare consensi e visibilità, nel mondo cattolico, la proposta di legge intitolata «Disposizioni per la prevenzione del suicidio e degli atti di autolesionismo», primo firmatario lo psicologo Cristian Romaniello del Movimento 5 Stelle.

Partiamo dai dati. Nella classifica di Wikipedia, l’Italia è nella parte bassa della classifica mondiale dei paesi per numero di suicidi su 100.000 abitanti l’anno: il nostro paese è 67° su 112. In Europa, l’Italia è terz’ultimo, prima di  Grecia e Cipro. Dunque, da questo punto di vista, l’Italia è un paese particolarmente fortunato, oppure…c’è qualcosa che convince gli italiani che vale la pena vivere.

Procediamo con i numeri: ogni 100 mila abitanti i deceduti per suicidio sono 10,4 fra gli uomini e 2,8 fra le donne. Proprio così: gli uomini si suicidano quattro volte più delle donne. Anche in questo caso, i dati meriterebbero una riflessione. Dicono che l’Italia, a causa della cultura cattolica (maschilista, bigotta eccetera eccetera), non sia un paese per donne… a quanto pare, invece, non è un paese per uomini.

Gli over-65enni rappresentano circa un terzo di tutte le morti per suicidio; tra gli uomini (ricordiamolo, il sesso più suicidario), la curva dei suicidi aumenta con l’aumentare dell’età e si impenna dopo l’età pensionalbile. Si possono avanzare ipotesi? Il lavoro riveste un’importanza diversa per uomini e donne: le donne hanno il diritto di scegliere se lavorare oppure no; gli uomini questo diritto non ce l’hanno. Su di loro pesa la maledizione biblica: «Col sudore della fronte ti guadagnerai il pane» (Gn 3, 19); un uomo che non lavora si sente inutile.

Il 13% dei suicidi presentava problemi psichici, in genere depressione. L’esperienza dello scrivente suggerisce che si tratta dei famosi casi di suicidio-omicidio, nei quali il suicida porta con sé i familiari più stretti. Si può ipotizzare che si tratti di depressioni curate farmacologicamente in modo superficiale, ma non approfondiamo in questa sede.

Torniamo ora al testo del progetto di legge. Notiamo innanzitutto che esso proviene dalle file dei Cinque Stelle. Coloro che hanno salutato con giubilo la sentenza della Corte Costituzionale del 25 settembre 2019 e che spingono per legalizzare il suicidio assistito, propongono una legge per prevenire il suicidio. Bisogna rispettare la volontà di porre fine alla propria vita, oppure no? L’uomo può disporre della propria vita, oppure no? Se una persona vuole uccidersi, bisogna aiutarla o salvarla? Evidentemente qualcosa mi sfugge, perché la faccenda mi sembra clamorosamente contraddittoria.

Secondariamente, sembra un progetto di legge che strizza l’occhio al politicamente corretto. Abbiamo visto quali sono le categorie più a rischio: uomini anziani. Eppure gli estensori scrivono: «Essere omosessuale o transgender e trovarsi di fronte a pregiudizi e difficoltà di inserimento sociale può aumentare il rischio di comportamenti suicidari». Dati a sostegno di questa affermazione? Nessuno. Tra i fattori di rischio vengono citate anche le «violenza in famiglia»; anche in questo caso, nessuno dato disponibile. Stessa cosa per il bullismo. Contano parecchio le cause economico-professionali; eppure il Movimento 5 Stelle non solo approva le politiche di austerità europee, ma vorrebbe addirittura la «decrescita felice» (chiusura di aziende, licenziamenti, disoccupazione…).

La botte piena e la moglie ubriaca? Tra i fattori di rischio, Romaniello sottolinea in particolare la presenza in casa di armi da fuoco: «Tra gli altri fattori, mi preme spendere una parola per il possesso di armi da fuoco in casa che rappresentano il metodo utilizzato in oltre la metà dei suicidi. Mi sento di affermare con forza che un’arma in casa non fa rima con sicurezza e sento il dovere di dire a un genitore che detiene armi in casa che se lo fa per la sicurezza della sua famiglia, lo potrebbe essere anche per la sua insicurezza». Eppure i numeri ci dicono che le armi da fuoco sono uno strumento di suicidio solo per il 15% dei suicidi, e solo per gli uomini; il metodo più frequente è, infatti, l’impiccagione per gli uomini e la precipitazione per le donne.

Ma cosa prevede questo progetto di legge? Diverse cose, ma tra queste: «Educazione sanitaria della popolazione in materia di rischio relativo al suicidio» e programmi di aggiornamento e formazione, per il personale scolastico e per gli alunni delle scuole, sul suicidio. Per la serie: se lo conosci, lo eviti. Insomma, con qualche informazione giusta si risolve il problema del suicidio. Il problema è, per i proponenti, l’ignoranza.

Questo modo di vedere l’uomo si chiama «cognitivismo». L’uomo ha dei «pensieri sbagliati» che lo portano ad azioni altretanto sbagliate. Come se fosse un automa: se inserisci certi dati, ottieni certi comportamenti; ne inserisci altri, altri comportamenti. L’uomo non ha libertà, non ha volontà, non ha uno scopo nella vita, non desidera un senso.

Negli anni Venti del secolo scorso Vienna fu scossa da un’ondata di suicidi giovanili che lasciarono esterrefatta la città. Lo psicologo Viktor Frankl (1905-1997) rispose a questa emergenza aprendo dei Centri di Consulenza Giovanile in diverse zone della città. Scoprì che la principale causa della crisi dei giovani era una vita priva di sigificato, intuizione che sviluppò durante la sua permanenza dei lager e che lo rese celebre nel mondo quando prese forma compiuta e il nome di Logoterapia, la terapia del significato. Si accorse che una vita agiata, materialista e «libera» dalle norme morali non aiutava affatto i giovani, anzi. La vita ha bisogno di un significato, per essere vissuta. Se ne accorse anche Giovannino Guareschi (1908-1968), anch’egli internato nei lager tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale. Siamo tutti affamati, infreddoliti, pieni di malattie e parassiti, osservò il giornalista; eppure alcuni di noi si spengono, altri non muoiono nanche se li ammazzano. Come mai? Vive – si rispose – chi ha un motivo per farlo, chi ha uno scopo nella vita. Ma di tutto questo, nel porgetto di legge, non c’è traccia.