La Laudato sì non somiglia affatto a Gaia
«L’imperativo ecologico da Gaia a Francesco» era il titolo di un intervento di Salvatore Settis su la Repubblica di ieri. Con una sorprendente escursione al di fuori del suo campo di studi, il noto archeologo e storico dell’arte, già direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa, vi ha sviluppato tesi interessanti per chiunque voglia capire le radici degli equivoci che stanno accompagnando la lettura dell’enciclica Laudato si’ da parte della cultura ambientalista di oggi.
«L’imperativo ecologico da Gaia a Francesco» era il titolo di un intervento di Salvatore Settis su la Repubblica di ieri. Con una sorprendente escursione al di fuori del suo campo di studi, il noto archeologo e storico dell’arte, già direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa, vi ha sviluppato tesi interessanti per chiunque voglia capire le radici degli equivoci che stanno accompagnando la lettura dell’enciclica Laudato si’ da parte dell’ordine costituito, rigorosamente «laico», della cultura oggi dominante nel nostro Paese.
In tema di ambiente, in Italia ma non solo, l’attuale ambientalismo ufficiale si muove tutto all’ombra di due teorie generali affermatesi negli Anni ’60 – ’70 del secolo scorso. Una fa capo allo storico medioevalista anglo-americano Lynn Townsend White, Jr. (1907 –1987) e alla tesi che egli espose per la prima volta nel 1966 in una famosa conferenza dal titolo "The Historical Roots of Our Ecologic Crisis" (Le radici storiche della nostra crisi ecologica). Secondo Townsend ogni colpa degli attuali problemi ambientali ricade in ultima analisi sul cristianesimo che, distinguendo l’uomo dal resto della realtà vivente e attribuendogli un primato sulla natura, ha posto le premesse per la sua trasformazione in predatore irresponsabile delle risorse della terra. L’altra, nota come “ipotesi Gaia” e formulata per la prima volta nel 1979 dall’inglese James Lovelock nel suo saggio Gaia. A Look to Life on Earth, attribuisce all’orbe terracqueo una capacità di stabile autogoverno fondata sulla selezione naturale dapprima descritta da Darwin, che le attività e la presenza stessa dell’uomo invece intralciano e distorcono.
Alla presenza dell’uomo, che è ipso facto inquinante, e al riscaldamento globale che ne deriva, secondo Lovelock Gaia reagirà raffreddandosi fino a provocare una nuova era glaciale. Non ci soffermiamo oltre a descrivere queste due tesi, tanto più che i loro echi nella cultura di massa attuale sono evidenti. Ci limitiamo qui a sottolineare come oggi qualunque cosa si dica in materia va inevitabilmente a stagliarsi sullo sfondo di questi luoghi comuni, e viene “filtrato” in base ad essi. Persino la crisi idrica della città di Messina – notoriamente provocata da carenza non di acqua bensì di adeguata gestione dell’acquedotto della città – diventa per Settis un esempio della presunta carestia d’acqua da cui la terra sarebbe minacciata a causa del riscaldamento globale prossimo venturo. In realtà, sulla terra non manca l’acqua bensì appunto la sua efficiente distribuzione. Pure un continente ufficialmente assetato come l’Africa ha in effetti riserve idriche enormi. Basterebbe sfruttarle come si deve per dissetare a iosa tutta la sua popolazione sia attuale che futura.
Citando Jacques Maritain, Settis sostiene che per stornare il pericolo della catastrofe ecologica che incombe sulla terra «è urgente elaborare», al di là di ogni differenza ideologica: «un pensiero comune pratico, uno stesso insieme di convinzioni volte all’azione, innescata dai principi del bene comune e indirizzata alla politica». In questa prospettiva, in una logica che fa venire alla mente Il padrone del mondo di Benson, Settis vede un fraterno intreccio fra le tesi di Lynn Townsend White e di James Lovelock da un lato e dall’altro quanto papa Francesco osserva e propone nella sua Laudato si’. Passe-partout di tale alleanza sarebbe la figura di san Francesco d’Assisi che secondo Townsend sarebbe «il più grande radicale della storia cristiana dopo Gesù» perché avrebbe «sostituito l’idea dell’eguaglianza di tutte le creature, uomo compreso, a quella del dominio illimitato dell’uomo sulla natura».
In realtà, sarebbe bastato leggere i capitoli secondo, terzo e quarto dell’enciclica, dedicati rispettivamente a «Il Vangelo della creazione», «La radice umana della crisi ecologica», e «Un’ecologia integrale» per rendersi conto che siamo di fronte a due visioni completamente diverse della questione. Poi, ovviamente, ci si potrà intendere su qualche comune obiettivo immediato, ma non di certo sulla base di una presunta resa tardiva di Francesco, e della Chiesa con lui, alle idee di Towsend, di Lovelock e dei loro attuali eredi. La terra è innanzitutto dimora dell’uomo, è umana dimora nella quale l’uomo non è l’intruso bensì l’unica presenza consapevole e perciò responsabile. Poi deve fare buon uso di tale sua responsabilità, ma questo è un problema che non si risolve negandola bensì facendosene pienamente carico.