La "laicità moderata" della Cartabia è una via al laicismo
Un saggio del ministro della Giustizia sulla rivista Teologia, propone per gli Stati un modello di "laicità positiva" che, di fronte alle asperità delle religioni, propone un "aggiustamento ragionevole" che risolverebbe i problemi di convivenza. In realtà questo modello, nel lungo periodo, corrode la vera laicità. Ecco perché...
La rivista “Teologia” della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale pubblica nel suo ultimo numero (1/2022, pp. 3-16) la prolusione con cui Marta Cartabia, ministro della giustizia e già presidente della Corte costituzionale, ha inaugurato l’Anno accademico della Facoltà milanese. Il titolo suona così: “Religioni e diritto in una società aperta”.
L’Autrice fa riferimento ad una sentenza della Corte di Cassazione, la n. 24414/21, riguardante la presenza del crocefisso nelle aule scolastiche, che ella considera molto importante perché indicherebbe una possibile soluzione ai casi di conflitto tra le varie esigenze religiose e la laicità dello Stato.
Cartabia espone quindi la visione della laicità dello Stato presente nella sentenza suddetta, che lei condivide, e poi illustra la proposta pratica da lei pure condivisa.
La laicità dello Stato non significa inospitalità per le religioni, come accaduto nel caso francese. La neutralità intesa in questo senso, con la conseguente limitazione, applicata da molti Stati anche se in modo diverso, della possibilità di esporre in pubblico i simboli della propria religione, ha dimostrato di non rispettare il principio della libertà di religione. Le Corti arrivano in questi casi a soluzioni opposte: la Corte di giustizia dell’Unione Europea nel 2017 ha dato ragione all’azienda che imponeva un “dress code” ai propri dipendenti rispetto ad una di essi che non l’aveva rispettato per motivi religiosi; la Corte suprema degli Stati Uniti, invece, in un caso analogo del 2015, ha ravvisato una discriminazione su base religiosa.
Laicità dello Stato, secondo Cartabia sulla scorta della sentenza della Cassazione sopra ricordata, non significa ostilità verso la religione ma garanzia di potersi esprimere per tutte le religioni, dato che tutte possono arricchire il dibattito pubblico.
Arriva quindi la proposta che Cartabia riprende pari pari da Charles Taylor [l’Autrice cita la ponderosa opera A Secular Age, ma io suggerirei di vedere la proposta in un’opera più agibile: Ch. Taylor-J. Maclure, La scommessa del laico, Laterza, Roma-Bari 2013]. Si tratta di adoperare il buon senso pratico e di arrivare a degli “aggiustamenti ragionevoli”. Il ragazzino di religione Sikh deve portare un pugnale come simbolo religioso, ma il regolamento scolastico vieta di introdurre armi a scuola? Si troverà un compromesso nel senso che il pugnale verrà portato a scuola ma cucito all’interno degli indumenti.
Non ci sono regole assolute, gli accomodamenti ragionevoli devono essere trovati caso per caso. Essi non risolveranno tutti i problemi, ma ne risolveranno molti. La proposta è quindi di una laicità moderata, nella quale si dice sì alla secolarizzazione, che può essere ben vista anche dal cristianesimo come occasione di depurazione dai fondamentalismi ideologici, e no al laicismo.
Secondo Marta Cartabia, questo passaggio dalla “laicità neutrale”, inospitale verso le religioni, alla “laicità positiva” dell’accomodamento ragionevole, è utile, va perseguito e cita a suo sostegno perfino un passo di Papa Benedetto, secondo cui ”il compromesso è la vera morale dell’attività politica” (Liberare la libertà, Cantagalli, p. 65).
La proposta del ministro Cartabia, che è poi la proposta di Charles Taylor, ad un primo assaggio sembra gustosa al palato, ma proseguendo si notano varie asperità, come se nella pietanza alcuni ingredienti non fossero stato ben dosati.
Non tutte le religioni e non tutte le pratiche di una religione si prestano al compromesso ragionevole. In molte religioni ci sono pratiche che sono inaccettabili in modo assoluto e nei loro confronti un accomodamento sarebbe irragionevole, come per esempio la poligamia oppure mutilazioni fisiche, rituali sadici, matrimoni combinati con minori e così via.
La soluzione degli accomodamenti ragionevoli non possiede dei criteri assoluti alle spalle, proprio perché è orientata alla pratica, e quindi non ha motivazioni per fermare il processo di accomodamento quando il conflitto verte su argomenti indisponibili.
Il principio della libertà di religione non indica nessuna indisponibilità davanti alla quale fermarsi, dato che qualsiasi cosa si presenti come religione può e deve essere accettata, quindi un aggiustamento sarebbe sempre possibile, mentre invece molte pratiche religiose non lo permettono sempre.
Questo tipo di laicità moderata non è dirompente, dato che affronta caso per caso e cerca un’intesa, ma nel lungo periodo è comunque corrosivo della corretta laicità, diventando laicismo, infatti relativizza tutte le religioni, ne spunta progressivamente gli angoli acuti, le invita a rinunciare a questo o a quell’aspetto e le trasforma col tempo in un’unica melassa politicamente corretta, generica perché ottenuta con continui accomodamenti. Per reazione la pratica produrrà un ritorno di fondamentalismo e un ritiro delle varie religioni dentro i propri confini definiti.
L’aggettivo “ragionevole” attribuito alla parola “aggiustamento” insinua poi che tutte le religioni sarebbero irragionevoli, che lo stesso atteggiamento di avere dei “principi non negoziabili” sarebbe irragionevole e che solo il “compromesso” sarebbe ragionevole. Su una simile posizione non è lecito portare anche Benedetto XVI.