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DOPO IL VOTO

La Grecia mette a nudo la crisi europea

La Grecia è stata una grande civiltà, ma è ora una realtà periferica dell'Europa da tutti i punti di vista. La vittoria di Tsipras va letta in questo contesto. Ma può giocare lo stesso ruolo del bambino che dice "il re è nudo", in questo caso: l'Europa è in crisi nera.

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Economia 27_01_2015
Partenone

L’Unione Europea ha 28 Paesi membri e quasi 507 milioni di abitanti. I Paesi membri che hanno adottato l’euro sono 19 per complessivi circa 337 milioni di abitanti; tra questi ultimi c’è la Grecia, che ha circa 11 milioni di abitanti. Se poi invece del semplice numero di abitanti andassimo a considerare il peso delle rispettive economie nazionali la percentuale della Grecia sull’insieme dell’Eurozona diminuirebbe ancora di più. E un altro balzo all’indietro si farebbe qualora si andasse anche a considerare la composizione dell’economia greca, priva non solo di una solida base finanziaria ma anche di una moderna base industriale. Al di là delle consuete enfatizzazioni radiotelevisive è questo il quadro, modesto e periferico, in cui si colloca la novità politica della vittoria in Grecia di Tsipras e del suo partito Syriza.

Non si può dimenticare che la Grecia antica fu la culla dell’Occidente, e per diversi secoli continuò a esserne il cuore culturale anche dopo che gli antichi Romani l’ebbero conquistata riducendola a provincia del loro impero. Né si può dimenticare che, caduto l’Impero d’Occidente, per altri circa mille anni la cultura greca continuò a essere un motore primario della nostra civiltà. In Grecia germogliarono inoltre le prime comunità cristiane europee, e greci di lingua e di cultura furono molti tra i maggiori padri della Chiesa. Il passato della Grecia è insomma gloriosissimo e s’impone al rispetto sia del pensiero cristiano che di quello “laico”.

La realtà di oggi però è tutt’altra da ogni punto di vista. La Grecia contemporanea è un piccolo Paese purtroppo largamente immemore del proprio grande passato, e un’ancor più piccola economia. Stando così le cose, l’allarme dell’ordine costituito dell’Eurozona, e in particolare della Germania che ne è il perno, per la nascita ad Atene di un governo deciso a rinegoziare i suoi rapporti con l’Unione Europea, e con la finanza internazionale, non è certo giustificato dal peso della Grecia in sé. Seppur in modo di certo non del tutto indolore, l’Eurozona potrebbe perfino reggere il colpo dell’esodo di Atene dall’euro. Se però ciò facesse scoprire anche ad altri, a partire dall’Italia, che il proverbiale re è nudo allora le cose cambierebbero. 

D’altra parte in Europa la situazione economica è estremamente seria. Benché il costo del denaro sia quasi a zero gli investimenti non riprendono. Quella che Mario Draghi ha giocato adesso con il “quantitative easing” è un po’ l’ultima spiaggia: significa che la Banca centrale europea stamperà denaro con cui acquisterà titoli di credito dei Paesi membri. Si mette insomma in moto una girandola sperando che faccia da motore. Dobbiamo augurarci che sia così, ma l’azzardo della situazione è evidente.

Graffito ad Atene

Con i suoi 149 seggi conquistati in un Parlamento monocamerale che ha 300 seggi, Syriza pur raddoppiando i suoi deputati, non è giunto alla maggioranza assoluta. Per raggiungerla in termini matematici gli sarebbero occorsi altri due seggi, ma ovviamente per raggiungerla in termini politici avrebbe dovuto ottenere un vantaggio ben maggiore. Aveva perciò bisogno di un alleato, e per questo ha scelto un partito altrettanto critico verso l’attuale gestione dell’Unione Europea ma di centro-destra e quindi di tutt’altro orientamento. Syriza è invece una coalizione di partiti e movimenti neo-laburisti e laici di sinistra. Essendo però oggi quello della rinegoziazione del debito estero il problema numero uno della Grecia, per il momento la convergenza su questo punto basta a tenere insieme la coalizione. Malgrado Nichi Vendola ami far credere che il suo SEL sia il parente italiano di Syriza, anche nella speranza di poterne emulare il successo, la situazione è in realtà assai diversa. Tsipras - ex-comunista poi passato all’ultrasinistra prima di giungere là dove è oggi - assomiglia molto più a Renzi che a Vendola, e non solo per motivi anagrafici.

C’è poi da considerare che la Grecia, benché gli equilibri di Jalta l’avessero posta in campo “occidentale”, in realtà è un paese dell’Europa orientale, erede di Bisanzio. In questo senso, malgrado il mezzo secolo di “cortina di ferro”, paesi come la Polonia, la Repubblica Ceca o l’Ungheria ci sono culturalmente più vicini della Grecia. Anche di questo occorrerà tenere attento conto adesso che al suo governo c’è un leader il quale, diversamente da tutti i suoi predecessori, si è formato del tutto al di fuori dall’alveo “atlantico”. Tenuto conto insomma non solo della gravità della situazione interna ma anche di tutte queste specificità la nuova stagione politica che inizia in Grecia con la vittoria di Tsipras non può essere valutata sbrigativamente. Conviene piuttosto osservarla con attenzione senza precipitarsi a dare giudizi che potrebbero risultare frettolosi.

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