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memoria liturgica

La giovinezza “dimenticata” di san Leopoldo Mandić

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Tra i fedeli è impressa l’immagine del cappuccino già anziano, ma non meno decisive sono le tappe giovanili della sua vita. Ancora bambino maturò il desiderio di diventare confessore per «usare tanta misericordia e bontà con le anime dei peccatori».

Ecclesia 30_07_2025

Gli occhi piccoli, il viso scavato dall’età e dalle rughe, la barba lunga e folta, il saio che appare sempre più grande rispetto alla sua corporatura minuta: è san Leopoldo Mandić (Castelnuovo di Cattaro, 12 maggio 1866 - Padova, 30 luglio 1942) di cui oggi ricorre la memoria liturgica. Quasi sempre è questa immagine a rimanere nel cuore di molti fedeli: una fotografia, un ritratto, che risale comunque alla sua vecchiaia. San Leopoldo visse fino all’età di settantasei anni. Eppure anche lui, Mandić, è stato giovane. Una giovinezza che molto spesso è sconosciuta ai più, eppure è così importante per comprendere appieno il suo cammino umano e spirituale. Cerchiamo, allora, di ripercorrere le  tappe più importanti di questa giovinezza “dimenticata”.

L’anno in cui nacque san Leopoldo vide due eventi storici degni di nota: la firma della pace di Praga (23 agosto 1866) che confermava nella terra di origine del frate cappuccino la dominazione austriaca, e la pace di Vienna (3 ottobre 1866) che vedeva passare il Veneto al “giovane” Regno d’Italia. Fin qui, il contesto storico generale in cui nacque Bogdan Ivan Mandić, questo il nome del frate prima di prendere i voti religiosi. Ma, ora, cerchiamo di inoltrarci nella sua terra d’origine: Castelnuovo di Cattaro, comune del Montenegro situato nella Dalmazia meridionale, sulla costa adriatica, all’ingresso delle Bocche di Cattaro. Vicino vi è il confine con la Croazia. Ed è in questa terra che il 12 maggio del 1866 nacque Bogdan Ivan Mandić: a maggio, mese mariano per eccellenza. Era esile il piccolo bambino tanto che solo un mese dopo la sua nascita fu possibile battezzarlo nella chiesa cattolica di San Girolamo.

La famiglia Mandić si distingueva nella cittadina per il suo essere profondamente cattolica. E fu proprio grazie ai genitori che Bogdan Ivan, fin da giovane, cominciò a occuparsi «delle cose del Padre». Amore per la preghiera e vicinanza ai deboli, ai poveri, erano due caratteristiche che fin da subito prevalsero del suo carattere. I genitori notarono questo suo atteggiamento così puro e ne rimasero profondamente colpiti. Bogdan Ivan diveniva sempre più attento alla preghiera e anche più solitario col passare degli anni: al crescere dell’età corrispondeva la sua crescita spirituale. Frequentava con profitto le scuole elementari e nel pomeriggio prendeva delle ripetizioni dai frati minori Cappuccini che vivevano in un convento non lontano dalla sua casa.

C’è un episodio di quell’epoca che potrebbe definirsi determinante nella vita di Mandić e, dunque, per la sua vocazione. Aveva otto anni Bogdan Ivan, e aveva commesso una «mancanza»  – così la definì lo stesso frate cappuccino a tale suor Teresa delle Ancelle dell’Immacolata  – che al piccolo non sembrava poi così grave. Comunque la confessò al parroco che dopo averlo rimproverato con toni abbastanza accesi, lo costrinse a rimanere in ginocchio in mezzo alla chiesa: una punizione troppo severa rispetto al “peccato” commesso. E fu allora che il piccolo Bogdan Ivan disse fra sé: «Quando sarò grande voglio farmi frate, diventare confessore e usare tanta misericordia e bontà con le anime dei peccatori». Un episodio davvero profetico. Ed ecco, allora, davanti al giovane l’idea che maturò sempre di più nel suo cuore: la vita-via religiosa.

Aveva all’incirca 16 anni quando entrò nel piccolo seminario dei frati Cappuccini di Udine: era il 16 novembre del 1882. I compagni lo vedevano troppo gracile, così minuto, per poter sostenere le diverse incombenze del seminario. Si sbagliavano perché il giovane seminarista riusciva con la sua forza di volontà, con il suo completo abbandono a Dio, a poter onorare ogni impegno. Di questo periodo è conservata una testimonianza assai preziosa: è di tale padre Oderico da Pordenone, all’epoca superiore provinciale dei Cappuccini veneti. Le parole sono custodite nel ricco e importante volume, Leopoldo Mandić, santo della riconciliazione e dell’ecumenismo spirituale, di Pietro Bernardi (Edizioni San Leopoldo, 2016, Padova): «Posso assicurare che, sino da quei primi anni, era diligentissimo a non commettere alcun difetto deliberato. Tutto quello che sapeva essere mancamento non lo faceva assolutamente. Era sempre raccolto e come assorto in Dio».

20 aprile 1884, altra data importante. Bodgan Ivan giungeva al convento dei Cappuccini a Bassano del Grappa: 10 giorni di ritiro lo attendevano prima del 2 maggio, giorno in cui vestì l’abito religioso prendendo il nome di Leopoldo. Di questo periodo è l’incontro provvidenziale con padre Pietro da Aversa, il suo maestro. Padre Pietro era un santo religioso e trovò “terreno fertile” nell’animo di Leopoldo per poter tramandare tutto il proprio insegnamento: fra Leopoldo poté così ancora di più incamminarsi verso la strada della perfezione. Passato l’anno di noviziato, i frati Cappuccini di Bassano del Grappa lo giudicarono idoneo per poter adempiere i primi voti semplici: era il 3 maggio 1883. Doveva comunque cominciare gli studi di filosofia. E così approdò a quella città che gli darà poi la fama di santo-sacerdote: Padova. E sempre nella città veneta il 28 ottobre 1888 emise la professione solenne: ormai il suo cammino era unito, per sempre, a quello del Signore.  Doveva continuare la sua formazione: da Padova si trasferì al convento di Venezia. Nella città lagunare studiò teologia e si formò come sacerdote. La consacrazione sacerdotale avvenne nella basilica della Madonna della Salute a Venezia il 20 settembre del 1890. Un altro sì a Dio, un’altra tappa umana e spirituale di fra Leopoldo.

Era stato sempre affascinato dalla missione, fra Leopoldo: voleva diventare missionario in Oriente e, invece, il Signore volle altro da lui. A Venezia rimase ben sette anni a prestare servizio soprattutto nel confessionale. Solo nel settembre 1897 lasciò la città per recarsi a Zara come superiore di un piccolo convento: questa, la missione che gli era stata affidata. Pensava che quella destinazione fosse una “ouverture” per giungere poi nel tanto sospirato Oriente. E invece nulla di tutto ciò: scaduti i tre anni canonici di superiore, venne richiamato al convento di Bassano del Grappa. Ancora una volta, il confessionale era il “luogo” scelto dai superiori per fra Leopoldo.

Altri luoghi videro la presenza del giovane religioso cappuccino. Anno 1905, convento di Capodistria: qui svolse il compito di vicario; poi l’anno successivo, venne trasferito al convento di Thiene. Tra il 1906 e il 1909 la sua vita si svolse tra quest’ultimo convento e quello di Padova. La prima nomina importante avvenne nel 1910 quando divenne direttore degli studenti del convento di Padova: fra Leopoldo aveva soli 26 anni. Da questa città fu costretto poi a partire nel 1917 per via della sua origine dalmata: il governo italiano, infatti, aveva disposto l’allontanamento di tutti coloro che con origini istriane o dalmate non volevano passare alla cittadinanza italiana. Fra Leopoldo faceva parte di questi e, dunque, fu allontanato. Altre tappe furono, poi, Roma, Nola (vicino Napoli), e addirittura Fiume dove rimase fino al 1923, anno di ritorno nel convento di Padova. Da quel momento in poi, fino alla morte, rimase in questa città, accanto al santo di origini portoghesi, sant’Antonio. Padova ebbe così due santi, Antonio e Leopoldo: il saio francescano ad unirli per sempre.



L’insegnamento

San Leopoldo Mandić e l’importanza della Confessione

12_05_2023 Antonio Tarallo

Tra i grandi “dispensatori” della Misericordia di Dio, san Leopoldo passava anche 15 ore al giorno nella sua celletta-confessionale per impartire il sacramento della Riconciliazione. Insisteva sulla brevità e sul non rovinare con le spiegazioni «ciò che il Signore opera» nelle anime dei penitenti.

MEMORIA

La devozione mariana di san Leopoldo Mandić

12_05_2021 Antonio Tarallo

Il progetto di convertire i paesi balcani per mezzo della devozione mariana che lo guidò in tutto il suo apostolato di confessore instancabile di anime; il suo amore per la Vergine Maria; il miracolo della carrozza per mano della Madonna di ritorno da Lourdes e le parole che lo unirono alla Madre Celeste alla fine della vita.