Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
L’IDEOLOGIA NUOCE

La gaffe di Serracchiani, segno di una sinistra irrealista

Le parole-autogol di Debora Serracchiani su Giorgia Meloni e le donne rivelano l’incapacità della sinistra di riconoscere la realtà. Come ogni ideologia, anche quella progressista, propria di Letta e compagni, prevede di fare la lotta al reale. E ciò avviene in tanti modi.

Attualità 29_10_2022
Debora Serracchiani, Enrico Letta, Elly Schlein

La sinistra irrealista. La gaffe dell’on. Debora Serracchiani, capogruppo del Partito Democratico alla Camera, è ormai virale. A seguito del discorso di insediamento del premier Giorgia Meloni a Montecitorio, prende la parola la Serracchiani che così le si rivolge: “Ci sembra di scorgere già dalle prime battute di governo che vuole le donne un passo indietro rispetto agli uomini e dedite essenzialmente alla famiglia e ai figli”. Risposta della Meloni che è già entrata nella teca delle frasi celebri dei politici: “Mi guardi, onorevole Serracchiani. Le sembra che io stia un passo dietro agli uomini?”.

L’autogol clamoroso della piddina non rivela solo poca accortezza e mancanza di lucidità - forse perché la mente è obnubilata da profondo livore - ma è anche rivelatrice di come il portatore insano del pensiero levantino sia ormai incapace di riconoscere la realtà per quello che è. Accusare la prima premier donna d’Italia di volere le donne un passo indietro agli uomini è una contraddizione in termini così palese che ha infatti provocato nell’emiciclo della Camera un boato di risate. Per paradosso lo slogan “Una risata vi seppellirà”, che pare fosse stato coniato dall’anarchico Michail Bakunin, è un motto assai caro ai progressisti.

L’incapacità della Serracchiani di accorgersi di una realtà così evidente rimanda all’incapacità del pensiero di sinistra di riconoscere il reale per quello che è. I media progressisti di questi giorni hanno speso paginate sul fatto che la Meloni abbia preferito l’appellativo “il presidente” e non “la presidente”. Il presidente del Consiglio ha così risposto: “Io non ho mai considerato che la grandezza della libertà delle donne fosse potersi far chiamare capatrena”. Ma, al di là del merito, stupisce l’accanimento su un aspetto così marginale quando l’Italia ha ben altre emergenze e urgenze, quando la realtà urla preoccupata non perché la Meloni non verrà chiamata “la presidentessa”, ma perché caro bollette e guerra non stanno bussando alla porta degli italiani, bensì la stanno per sfondare.

Quando Enrico Letta planò dolcemente da Parigi a Roma il suo primo pensiero, in piena pandemia, fu lo ius soli. Poi con coerenza parlò di ius scholae, “parità di genere”, voto ai minori, legge omofobia e cannabis. Un alieno. Al pari di Pierluigi Bersani che all’indomani della batosta elettorale non ha trovato di meglio che proporre la nascita di un nuovo partito: contenuti uguali, ma contenitore nuovo. Entrambi i leader politici testimoniano che non hanno il polso della situazione, che vivono in un’Italia astratta. Ma questo non accade a caso. Letta, Bersani e molti altri colleghi della medesima area politica hanno dato prova di aver studiato, di aver ben studiato l’ideologia progressista. E ogni ideologia ha almeno un tratto in comune: la lotta al reale.

Si lotta contro la realtà naturale perché si pensa che la vera realtà sia altra, sia quella pensata a tavolino e che assecondi ogni prurito del nostro desiderio. Si lotta contro l’orientamento eterosessuale, contro il sesso genetico, contro i maschi, contro i bianchi, contro i ricchi, contro i meritevoli, contro i credenti, contro la vita, contro la famiglia, contro la storia (ecco la famigerata cancel culture). Si lotta contro il reale perché il reale è pieno di differenze (uomo-donna, ricco-povero, bianco-nero, etc.) e se l’uguaglianza premia le differenze - perché secondo quel principio occorre trattare i casi uguali in modo uguale e i casi diversi in modo diverso - l’ugualitarismo odia le differenze per invidia (la radice sta in Satana che voleva essere come Dio), le vuole piallare, le vuole rendere omogenee, ovviamente sempre verso il basso: tutti poveri, tutti effeminati, nessuna famiglia naturale, tutti atei, tutti stupidi (altrimenti il capace potrebbe discriminare l’incapace). La realtà così corretta impone il politicamente corretto, la dittatura del pensiero unico, l’allineamento dogmatico alla cultura woke, la fronte bassa a venerare la Costituzione, i giudici, la laicità, la scienza, l’ambiente, il multiculturalismo e, ultima ma non ultima, la Ferragni.

In breve, non ci può essere altra realtà se non quella pensata dal rivoluzionario. Per la Serracchiani la realtà è quella di una supremazia patriarcale maschilista, una realtà così accecante nella sua evidenza e così connaturata alla destra che non si è nemmeno accorta che si stava rivolgendo alla prima donna premier d’Italia. Che purtroppo non è di sinistra.