La flottiglia che non fa il bene di Gaza
La grande operazione che vede coinvolte una cinquantina di imbarcazioni provenienti dai porti del Mediterraneo dirette a Gaza con un carico di aiuti umanitari, è in realtà un'operazione politica e propagandistica che fa l'interesse soltanto di chi la promuove.

La guerra è una cosa seria, anzi tragica, eppure c’è sempre qualcuno che cerca di trasformarla in farsa. È quanto sta accadendo ancora in questi giorni con la Global Sumud Flotilla (Sumud è parola araba che sta per resistenza), una flotta di una cinquantina di navi partite da diversi porti del Mediterraneo che, con un carico di aiuti umanitari, intendono forzare il blocco navale israeliano intorno a Gaza.
È una iniziativa che coinvolge associazioni di 44 Paesi, con l’appoggio di diversi governi, che si unisce ad altre clamorose proteste filo-palestinesi (o pro-Pal come si dice oggi): il 3 settembre è stata bloccata una tappa del Giro ciclistico di Spagna, comunque già disturbato nelle tappe precedenti; a Pisa ieri centinaia di manifestanti con bandiere palestinesi hanno bloccato la stazione ferroviaria; anche in occasione del Festival del Cinema di Venezia, attualmente in corso, è stata organizzata una manifestazione pubblica ed è stata di fatto impedita la partecipazione degli attori Gerard Butler e Gal Gadot, accusati di sostenere l’azione di Israele a Gaza.
Tutte iniziative che hanno in comune il danno a persone che non c’entrano nulla (dai viaggiatori in treno ai ciclisti e pubblico che li segue) e soprattutto di attirare l’attenzione su chi le promuove.
Questo è anche il caso della Flottiglia, sicuramente la più clamorosa delle manifestazioni e certamente la più seguita e partecipata da giornali e tv. Un’azione puramente politica in stile Greenpeace, che mette in primo piano chi l’ha promossa ed è assolutamente inutile dal punto di vista umanitario. I promotori sanno infatti benissimo che le possibilità di arrivare a Gaza sono prossime allo zero, visto che la marina israeliana è decisa a fermare gli attivisti in arrivo, cosa peraltro già accaduta con altre due precedenti missioni. E anche se, per qualche motivo, superassero il blocco, esse portano 45 tonnellate di cibo (in tutto ne sono state raccolte 300): secondo l’Unicef soltanto per coprire le necessità c’è bisogno di 62mila tonnellate di aiuti in cibo ogni mese, vale a dire 2mila tonnellate circa al giorno. In pratica, il cibo che potrebbe arrivare a Gaza dopo 2-3 settimane di navigazione equivale a poco più del 2% del fabbisogno di un solo giorno. E il tutto raccolto con 2 milioni di euro di donazioni; senza contare il costo delle imbarcazioni, che varia dai 30 ai 50mila euro per unità. Insomma, dal punto di vista umanitario il rapporto costo-benefici è disastroso.
In realtà i benefici per organizzatori e partecipanti sono di altro tipo: politico e di visibilità. Infatti non c’è neanche il motivo di attirare l’attenzione su una tragedia dimenticata; sarebbe diverso se la flottiglia si dirigesse verso il Sudan, dove c’è la peggiore catastrofe umanitaria del mondo e viene ignorata da tutti. Su Gaza già ci sono i riflettori puntati, su tutti i giornali e le tv del mondo la situazione è costantemente monitorata, le proteste contro Israele sono continue. Non è dunque la pubblicità quella che manca a Gaza; al contrario la flottiglia sta spostando l’attenzione da Gaza alle imbarcazioni in navigazione nel Mediterraneo, dai palestinesi che vivono sotto i bombardamenti con poco cibo e senza medicinali ai pro-Pal a vele spiegate contro la marina israeliana. Come dicevamo all’inizio è la classica operazione alla Greenpeace in cui le cause difese sono pretesti per attirare visibilità e fondi.
L’altro beneficio perseguito è politico, e non per niente sulle navi si sono imbarcati o si imbarcheranno diversi uomini politici, anche italiani. Il successo massimo per costoro sarebbe un atto di forza della marina israeliana, un incidente in mare, che provocasse un caso diplomatico internazionale, così da isolare ulteriormente il governo israeliano. E comunque, anche in questo caso, grande visibilità per i personaggi e i politici che vi partecipano.
Ma davvero serve questo alla popolazione di Gaza? Evidentemente no. La situazione è davvero drammatica, sostenere – come molti fanno - che la visione di una popolazione allo stremo sia solo propaganda di Hamas è frutto di una cecità ideologica inquietante. Si può anche non credere a tutti i numeri offerti da Hamas, si può anche dubitare della obiettività delle organizzazioni umanitarie dell’ONU; ma c’è anche una piccola comunità cattolica che attraverso il Patriarca latino di Gerusalemme, il cardinale Pierbattista Pizzaballa, ci fa pervenire notizie che confermano la tragicità di quanto sta accadendo, la violenza inaudita delle forze armate israeliane. E lo stesso cardinale Pizzaballa si è recato più volte a Gaza - tra i pochissimi testimoni esterni, visto che Israele impedisce l’ingresso ai giornalisti - denunciando l’immoralità di queste azioni.
Dunque la situazione a Gaza è veramente drammatica, le dimensioni e la spietatezza dell’offensiva israeliana sono realmente indifendibili; e questo va detto pur avendo presente la pericolosità di Hamas, non solo per il Medio Oriente.
Ma di tutto c’è bisogno meno che di azioni spettacolari a uso e consumo di chi le promuove.
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