La fine di Mugabe, simbolo dell'Africa che si vuole male
Al potere ininterrottamente dal 1980, Mugabe, il dittatore dello Zimbabwe, è stato destituito da un golpe militare, prima che potesse passare lo scettro alla moglie Grace. In 37 anni di dittatura, nel nome della lotta a un colonialismo che non c'è, ha distrutto l'economia del suo paese, ha espropriato le terre dei bianchi ed è diventato miliardario.
L’esercito ha preso il potere in Zimbabwe, l’era di Robert Mugabe, una dittatura iniziata nel 1980, volge al termine. I militari hanno occupato la televisione di stato mercoledì 15 novembre e da allora presidiano le strade della capitale Harare. Con un comunicato stampa il generale Sibusiso Moyo ha assicurato che il presidente Mugabe è al sicuro, che quello in atto non è un colpo di stato, ma una azione militare che mira a perseguire persone vicine al presidente, “criminali autori di crimini”, responsabili “delle difficoltà sociali ed economiche” del paese.
Mugabe in una telefonata al presidente del Sudafrica Jacob Zuma ha confermato di stare bene, ma ha detto di essere agli arresti domiciliari. Altre fonti affermano che i militari hanno proceduto a diversi arresti, incluso quello del ministro delle finanze Ignatius Chombo, leader dell’ala giovanile del partito di governo, lo Zanu-PF, guidata dalla first lady Grace Mugabe.
È proprio lei, la moglie del presidente, all’origine dell’intervento dell’esercito, schierato con le fazioni dello Zanu-PF ostili all’eventualità che erediti la carica di Mugabe, eventualità divenuta quasi una certezza dopo che la scorsa settimana il presidente ha destituito il suo vice, Emmerson Mnangagwa, fino ad allora principale candidato alla successione.
Non è la prima crisi politica per Mugabe. Le ha superate tutte con spietata determinazione, violando e piegando al proprio volere le istituzioni politiche, usando senza scrupoli tutti i mezzi a disposizione: l’apparato statale per manipolare il voto, i mass media per amplificare discorsi e proclami grondanti veemenza antioccidentale e orgoglio nero, l’esercito per reprimere il dissenso e le proteste. Lo ha fatto per 37 anni, a partire dalla campagna di terrore con cui negli anni 80 del secolo scorso ha imposto la propria supremazia, conquistata al prezzo dello sterminio di 25.000, forse 40.000 civili Ndebele, l’etnia avversaria di quella Shona a cui Mugabe appartiene.
Ma questa volta è diverso perchè il presidente adesso ha perso il sostegno vitale dei veterani della guerra d’indipendenza, quelli che per decenni per lui hanno razziato, ucciso, torturato, minacciato i suoi avversari e chiunque ardisse contrastarlo. Sono loro che nel 2000 hanno occupato le grandi proprietà terriere confiscate con il pretesto di una riforma agraria, uccidendo i farmer bianchi che resistevano all’esproprio.
Nei giorni scorsi un loro leader, Victor Matemadanda, aveva detto che Mugabe andava destituito sia dalla carica di capo di stato che da quella di presidente dello Zanu-PF perchè, insieme alla moglie, denigra e offende i militari e i veterani di guerra. Adesso il capo dei veterani Chris Mutsvangwa sostiene l’iniziativa militare: “era necessaria a salvare uno stato che si trova sull’orlo di un abisso – ha dichiarato – questa è la fine di un capitolo molto doloroso e triste della storia di una nazione giovane in cui un dittatore, invecchiato, si è arreso alla banda di ladri che circondano sua moglie”.
È prematuro esultare. L’Africa ha insegnato a essere prudenti nei giudizi. Come in Kenya, Repubblica Democratica del Congo, Sudafrica e altrove, la sfida a Robert Mugabe non è per un futuro migliore. A scontrarsi sono la vecchia e nuova guardia di un partito da sempre al potere, i veterani traditi da Mugabe e la generazione politica più giovane legata alla moglie Grace. L’opposizione, guidata dall’avversario storico di Mugabe, Morgan Tsvangirai, sta a guardare, in attesa di capire come trarre vantaggio dalla situazione.
E si che lo Zimbabwe ha estremo bisogno di buon governo. La “riforma agraria” del 2000 ha dato il colpo di grazia all’economia del paese già compromessa trasformando le estensioni immense di terre coltivate a cereali, tabacco, caffè e altri prodotti commerciali, in campagne inselvatichite e appezzamenti mal coltivati. Il paese, ex colonia britannica tra le più prospere, prima aveva una borsa internazionale del tabacco, esportava prodotti agricoli e minerari. L’espropriazione delle terre ha provocato una crisi economica di proporzioni apocalittiche che all’inizio del secolo ha costretto un quarto della popolazione – circa tre milioni di persone – a emigrare nei paesi vicini, soprattutto in Sudafrica, mentre altri quattro milioni da allora per sopravvivere dipendono del tutto o in parte dagli aiuti internazionali.
Per Robert Mugabe la colpa è dell’Occidente, della colonizzazione e del neomperialismo europei, delle multinazionali... durante la campagna elettorale per le presidenziali e le parlamentari del 2013 per risanare l’economia e “restituire agli africani quel che è stato tolto loro dai bianchi” ha deciso l’esproprio di almeno il 51% delle quote di proprietà delle imprese straniere attive nel paese.
Nelle prossime ore si deciderà il destino di uno dei più longevi leader africani. La moglie Grace sembra abbia già lasciato il paese alla volta della Namibia. Se entrambi fossero costretti a riparare all’estero sarebbe comunque un esilio dorato. I Mugabe sono ricchi. Nel 2009, per il suo 85° compleanno, oltre a un banchetto regale a base di aragoste, caviale, champagne e cioccolatini Ferrero Rochet, di cui pare Mugabe sia ghiotto, il presidente si era regalato una villa a Hong Kong valutata 4,5 milioni di euro. La moglie che è giovane e bella ama la moda italiana, colleziona scarpe Ferragamo.