“La fede ci chiama a una vita nuova, ma sempre guidata da Dio”
La Chiesa può uscire da questa situazione difficile «disseppellendo il Concilio Vaticano II dalla montagna di polemiche che lo ha travolto e capendo che occorre mantenersi nella Tradizione». L’importante è capire che «tutto dovrebbe essere strumento per l’incontro con il Signore», digiunare e pregare per essere docili allo Spirito Santo. Oggi tutti i problemi «hanno a che fare con la sessualità umana» e risulta fondamentale «capire perché la morale cattolica richieda un impegno esigente». La modernità è una sfida e chiama i cristiani ad approfondire la propria fede. La Bussola intervista Rosanna Brichetti Messori, autrice di Tornare al centro.
Tornare al centro (Ares, 2021, pp. 152) è il nuovo libro di Rosanna Brichetti Messori; riflessioni e spunti maturati nel lungo tratto di vita percorso dall’autrice, che aiutano a comprendere le radici del disorientamento in atto nel mondo cattolico e ritrovare la strada maestra, quella della vita nuova del rapporto intimo con il Signore sulla strada antica della Tradizione. La Nuova Bussola l’ha intervistata.
Brichetti Messori, André Charlier (1895-1971), educatore e scrittore francese, ripeteva spesso che la regola della vita spirituale è «rinfrescare lo sguardo che noi posiamo sulle cose essenziali». Non sono le cose essenziali che devono essere cambiate, ma noi che guardiamo ad esse. Potrebbe essere una sintesi del suo libro?
Mi ritrovo in pieno. Non per nulla ho scelto, come sottotitolo del libro, la massima di Sant’Angela Merici: «Tenete l’antica strada e fate vita nuova». Massima che ho trovato per caso, un giorno in cui sono andata a fare adorazione in una chiesa; all’uscita della chiesa a lei dedicata, c’è un’icona della Santa che porta in mano una pergamena con sopra scritta questa frase. Ho capito che era la sintesi del mio libro; sono convinta che da questa situazione difficile della Chiesa si possa uscire cercando di riscoprire il passaggio importante del Concilio Vaticano II, disseppellendolo dalla montagna di polemiche che lo ha travolto e capendo che occorre mantenersi nella Tradizione, facendo vita nuova. Rivedere le stesse cose con occhi aperti, più vivi.
Il Concilio Vaticano II è stato un forte e salutare richiamo alle Scritture e ai Padri della Chiesa. Non c’è stata epoca storica come la nostra che abbia avuto a disposizione edizioni critiche della Bibbia e di innumerevoli scritti dei Padri. Eppure, abbiamo deragliato clamorosamente.
Il problema è che tutto dovrebbe essere strumento per l’incontro con il Signore. L’esegeta e il teologo sono particolarmente esposti al pericolo; ci vuole una grande fede. Dobbiamo fare come gli iconografi orientali che dipingono le icone digiunando e pregando. Il rischio della superbia umana, che penetra e sconvolge tutto, è davvero grande. Dobbiamo ritrovare un’autentica docilità allo Spirito Santo, una dimensione veramente contemplativa della vita, una vita insieme con il Signore. È bene indagare il mistero di Dio, ma se lo facciamo solo con la nostra testa, contando quasi esclusivamente sulla nostra ragione, allora davvero ci esponiamo a innumerevoli pericoli. Dio deve rimanere il Signore: è lui che deve guidare la nostra vita, il nostro lavoro; invece noi andiamo per la nostra strada e poi chiediamo a Dio di benedire i nostri progetti.
L’arco della sua vita abbraccia la fase storica pre, durante e post Vaticano II. Che cosa ha maturato nella sua esperienza di questo segmento particolare della storia della Chiesa?
Forse prima eravamo un po’ seduti sulla fede; tutto sosteneva la fede negli anni prima del Concilio. E questo era un bene. Il rischio però era quello di una fede un po’ superficiale, di una certa distanza dalle Scritture che erano un testo un po’ “blindato”. Questa fede un po’ di abitudine è stata messa in grave difficoltà dall’irrompere della modernità.
Di fatto, ogni generazione è chiamata a riappropriarsi della fede.
Direi ogni persona nella propria generazione. La costruzione della cristianità reggeva, era bella, alimentava la vita delle famiglie, “produceva” santi; ma poi non ha resistito. Allora è lecito domandarsi quanto fosse realmente radicata la fede nelle persone, quanto la relazione con il Signore fosse profonda.
In effetti anche il fenomeno della veste sacerdotale e religiosa gettata alle ortiche di quegli anni pone delle domande.
È così. Ho vissuto anni in cui ogni giorno si sentiva di persone che lasciavano il sacerdozio o la vita religiosa. Poi è chiaro che si è esagerato dall’altra parte; e così si sono creati dei fronti contrapposti. Credo che nel momento storico attuale la “cristianità” sia impossibile da ricostruire (il che non significa che non potrà esserlo più avanti); quello che però possiamo e dobbiamo fare adesso è ricostruire la fede dei cristiani.
Nel capitolo 6, lei afferma di aver preso «una china pericolosa». Che cosa le ha fatto prendere questa china?
Sì, anch’io mi ero “spostata” dalla parte che potremmo dire progressista. Perché? Per le stesse ragioni che troviamo dietro al sinodo in Germania di adesso! Io stavo perdendo l’equilibrio: quando era uscita Humanae Vitae mi ero scandalizzata, dicevo che la Chiesa non capiva. Invece una persona straordinaria come Flora Gualdani ne aveva colto la ricchezza e il valore. Io invece ero nella posizione esatta di chi sta portando avanti questo sinodo: avevo perso l’orientamento di base; avevo dimenticato che la fede cristiana impone un controllo di se stessi. E la sessualità è una chiave fondamentale: se lei ci fa caso, tutti i problemi odierni hanno a che fare con la sessualità umana. Capire perché la morale cattolica richieda un impegno esigente su questa dimensione è fondamentale: si tratta di scoprirne la grandezza, avendo piena fiducia in quello che Dio chiede. Lo stravolgimento attuale della sessualità indica una mancanza di relazione con Dio, di fiducia in Lui. Ed è proprio nell’esperienza di essere profondamente e personalmente amati da Dio che si riscopre la dimensione fondamentale della sessualità. Non è seguendo la morale cattolica, ma correndo dietro al piacere della sessualità che si soffre.
Il problema è che noi non siamo capaci d’amare davvero e dobbiamo riconoscere di aver bisogno di imparare.
E la modernità in questo non ci aiuta, anzi. Il concetto di amore che va per la maggiore corrisponde al piacere fisico e al benessere psicologico. Per questo occorre avere un po’ di pazienza con le persone oggi: si viene avviati fin da piccoli ad un apprendimento opposto all’amore cristiano. Anni fa non era così: c’era un orientamento cristiano di fondo; oggi si deve ricostruire tutto e dobbiamo farlo dalla base, riprendendo in mano la formazione dei nostri figli. A poco a poco, con umiltà. È necessario lottare contro leggi sbagliate, per salvare uno spazio pubblico alla fede, ma non basta. In più siamo una minoranza. Per questo dobbiamo ripartire dalle nostre piccole comunità. Ci sono gruppi di mamme, famiglie, persone che si organizzano per trovarsi insieme a pregare, ad approfondire la fede.
Una lenta ma inarrestabile rinascita.
Dobbiamo renderci conto che il travaglio attuale è anche una possibilità enorme che ci viene data, accettando la croce di questo passaggio. Qualcosa si sta già muovendo, nascosto, ma non per questo meno reale; anche tra i sacerdoti. Però la modernità e forse anche noi all’interno della Chiesa dobbiamo toccare il fondo e ripartire.
È una visione ottimistica, ma tutt’altro che irreale.
È l’ottimismo della fede. Se noi crediamo che Gesù Cristo è quello che è, non può che succedere così, accettando però con umiltà di divenire minoranza e di riconoscere i nostri limiti.
Nel suo testo emerge una sintonia profonda con Benedetto XVI, particolarmente sulla sua analisi dei due mondi (e modi) opposti di vivere la fede: da una parte l’atteggiamento dei “signori della fede”, dall’altra quello di chi si lascia “dominare dalla fede”.
Noi per primi abbiamo bisogno di questa conversione, che si impara poco a poco, resistendo a quella forte attrazione che abbiamo verso noi stessi, quella convinzione di poter fare da soli. Una dimensione molto bella che il Concilio ha riportato in luce è quella della fede come storia di salvezza: c’è una libertà che chiede di essere indirizzata giorno dopo giorno, verso il bene o verso il male. La vita è una possibilità di giocarci: divenire figli di Dio, fratelli di Gesù Cristo, trasformare la nostra vita in quel capolavoro che Dio ha pensato per noi. La vita vera è entrare in questa dinamica d’amore con Dio, lasciando che sia Lui a guidare la nostra persona e la nostra vita. La signoria di Dio non è violenza che schiaccia, ma amore che fa crescere.