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Ora di dottrina / 157 – Il supplemento

La domenica Lætare e l’insostituibilità del gregoriano

Questa domenica funge da spartiacque temporale delle sei settimane quaresimali. Essa si gioca tutta su intrecci – dall’antico al nuovo Mosè, dalla manna al vero pane del Cielo, dalla terra promessa alla Gerusalemme celeste – impossibili da cogliere senza l’apporto del Proprio gregoriano.

Catechismo 30_03_2025

È piuttosto noto che la quarta domenica di Quaresima, detta anche “domenica Lætare”, a motivo dell’incipit dell’Introito, si colloca a metà di questo tempo liturgico di preparazione alla Pasqua, che anticamente iniziava non il Mercoledì delle Ceneri, ma la domenica, come si è conservato ancora oggi nel Rito ambrosiano. Questa domenica funge da spartiacque temporale delle sei settimane quaresimali; a ricordare e far rivivere il suo intimo legame con l’inizio della Quaresima, la prima domenica, e con il suo compimento, la Pasqua, ci pensa il gregoriano, che conferma ancora una volta la sua insostituibilità con altri canti liturgici (su quelli non liturgici, meglio soprassedere).

La cellula musicale dell’Introito della prima domenica di Quaresima, su cui ci eravamo soffermati (vedi qui), già proiettava con chiarezza, seppur nella timidezza di poche note, ai cantici della Veglia pasquale. Ora, nella domenica Lætare, è tutto il TractusQui confídunt in Dómino – ad anticipare, nella sua melodia, la notte solenne; in esso ritroviamo in modo esteso le melodie caratteristiche dei cantici della Veglia, tutti sull’ottavo modo, e in particolare del cantico di Mosè, che inneggia al trionfo del Signore, che ha gettato in mare cavallo e cavaliere, ha sommerso nelle acque del Mar Rosso il faraone e tutto il suo esercito, che già pregustavano una facile vittoria. La quarta domenica mostra così di essere un vero e proprio pilastro che unisce l’inizio e il compimento della Quaresima e sorregge l’intero cammino quaresimale.

La letizia singolare di questa domenica viene espressa non solo dal testo dell’incipit dell’Introito Lætare Jerúsalem, che comanda di rallegrarsi, ma anche dal quinto modo su cui si sviluppa la sua melodia, che è appunto il modo “allegro” per eccellenza. Nota di gaudio viene data anche dal ritorno per tre volte del torculus (su conntum, cite, exsultis), caratterizzato dalla spinta sulla prima nota e dall’acuto della seconda, che creano un effetto di gioioso sussulto. L’orecchio del fedele è sospinto al gaudio anche grazie al ritorno dell’organo, mentre i suoi occhi sono allietati dal colore rosaceo dei paramenti e dal ritorno dei fiori sull’altare, che ci fanno assaporare l’esplosione floreale della Pasqua.

Per indagare ancora più a fondo il senso della gioia di questa domenica “mediana”, bisogna tendere l’orecchio al Mattutino del Rito romano antico per andare più a fondo. La IV settimana di Quaresima pone in primo piano proprio la figura di Mosè, l’uomo che ha condotto il popolo d’Israele fuori dalla terra di schiavitù dell’Egitto, ma anche colui che, intercedendo presso Jahvé, ha sfamato il popolo nel deserto e lo ha condotto alla terra promessa da Dio.

Non a caso il Proprio di questa domenica insiste su Gerusalemme, menzionata nell’Introitus, nel Tractus e nel Communio, e sulla casa del Signore (Introito e Graduale). Il cammino penitenziale della Quaresima, figura di quello dell’intera vita dell’uomo, è un anelito incessante verso questa dimora, di cui la terra promessa era figura, verso «la Gerusalemme di lassù» (cf. Gal 4, 26), la vera ed eterna beata pacis visio, cantata nell’inno della dedicazione delle chiese. Si comprende dunque come il Graduale riporti le parole del Salmo 121: «Lætátus sum in his quæ dicta sunt mihi: in dómum Dómini íbimus – Ho esultato quando mi hanno detto: andiamo nella casa del Signore». La gioia di questa domenica tende alla Pasqua, ma la Pasqua terrena è preludio e preparazione della Pasqua eterna.

A questa Pasqua, a questi nuovi cieli e questa nuova terra, veniamo condotti dalla mano potente del Figlio di Dio fatto uomo, il vero Mosè, di cui l’antico era figura. E infatti il Vangelo cantato nel Rito antico riporta la pericope della moltiplicazione dei pani secondo il Vangelo di Giovanni (6, 1-15). Il seguito del brano svela la chiave cristologica della figura di Mosè e il senso profondo di questa moltiplicazione. Bisogna ricordare che nell’attesa messianica degli ebrei era chiaro che il Messia, quando sarebbe venuto, avrebbe dovuto ripetere il miracolo della manna, avrebbe dovuto nutrire il suo popolo, come fece il primo Mosè. Ma di fronte al miracolo della moltiplicazione dei pani, gli occhi dei giudei rimangono velati: essi corrono a cercare Gesù per farlo re, ma mostrano di non aver colto in quel miracolo il grande segno messianico; tant’è ch’essi domandano al Signore: «Quale segno dunque tu fai perché vediamo e possiamo crederti? Quale opera compi? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo» (Gv 6, 30-31). Il segno compiuto da Cristo non è riconosciuto come il segno di Mosè. Gesù cerca allora di aprire loro gli occhi: «In verità, in verità vi dico: non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero; il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo» (Gv 6, 30-33). Davanti ai loro occhi stava il nuovo Mosè, il Messia atteso, che era allo stesso tempo il pane vero che dà la vita eterna e il Dio che aveva nutrito i loro padri nel deserto.

Mosè, la terra promessa, la manna, Gerusalemme; e poi il nuovo Mosè, la dimora di Dio, il pane disceso dal cielo e la nuova Gerusalemme: tutta la quarta domenica si gioca su questi intrecci e su questi rimandi, impossibili da cogliere senza l’apporto del Proprio gregoriano. Perché il canto gregoriano, il canto proprio del Rito romano, è l’unico in grado di offrire una tale esegesi della Parola di Dio nel contesto della celebrazione liturgica. Esso nasce da e accompagna la pratica costante della Chiesa che legge e scruta la Parola di Dio, come parola viva e vivificante, realizzando in modo insuperato la parola del Salmo 118, 54: «Cántabiles mihi erant justificatiónes tuæ, in loco peregrinatiónis meæ – Sono canti per me i tuoi precetti, nella terra del mio pellegrinaggio».



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Ora di dottrina / 154 – Il supplemento

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