La difficile condizione dei cristiani del campo profughi Cox’s Bazar
I pochi rifugiati Rohingya cristiani ospiti nel campo di Cox’s Bazar, in Bangladesh, subiscono minacce e discriminazioni che aggravano le difficoltà della vita nel campo
Il 9 maggio alcuni agenti di polizia bengalesi dell’VIII battaglione, una unità speciale, hanno incontrato 29 esponenti dei cristiani birmani ospiti in Bangladesh del vasto campo profughi di Cox’s Bazar, allestito nel 2017 al confine con il Myanmar per accogliere i Rohingya in fuga dalla persecuzione governativa. I Rohingya sono musulmani, salvo una piccola minoranza convertita al cristianesimo. A Cox’s Bazar vivono circa un milione di Rohingya, ma quelli cristiani sono solo circa 3.000, due terzi dei quali non hanno dichiarato la loro appartenenza religiosa per timore di subire abusi e violenze. Agli agenti di polizia bengalesi hanno raccontato i loro problemi e le loro difficoltà. Il pastore della Gate Church, Shorif David, capo spirituale di 129 fedeli, facendosi loro portavoce, ha chiesto prima di tutto protezione agli agenti: “vogliamo vivere in questo campo con un rapporto di fratellanza e in pace con i Rohingya musulmani – ha assicurato – anche se spesso dalla moschea essi pronunciano sermoni di odio contro i cristiani e le altre religioni”. Tra i problemi che si pongono c’è la mancanza di un luogo per seppellire i morti perché i musulmani non permettono ai cristiani di inumare i cadaveri nel loro cimitero. Per questo la comunità cristiana vorrebbe che la direzione del campo destinasse un’area e una struttura riservate. Discriminazioni e insicurezza rendono la già difficile vita dei rifugiati ancora più difficile per i cristiani. Nessuna delle tante associazioni e agenzie operative nel campo li aveva mai contattati direttamente. A conclusione dell’incontro gli agenti di polizia hanno detto che la sicurezza dei cristiani sarà garantita e hanno raccomandato ai presenti di rivolgersi a loro in caso di necessità.