La desolazione torinese svela solo la rivincita della fedeltà
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Se c’è una verità che emerge dalla desolante storia di Torino è che la bistrattata fedeltà è ancora un valore. Anche per chi assolutizza la propria libertà. Decenni di esaltazione del tradimento, invece, ci mostrano un disvalore che porta macerie.
Ma come? Non si era detto che così fan tutte? Che il tradimento era sdoganato e che per la maggior libertà della donna, è lei che decide se e quando staccare la spina? Non si era pubblicamente affermato che la coppia monogamica… che noia!? Non avevate detto sontuosamente che la rivoluzione sessuale ci ha portato la coppia aperta, il divorzio à la carte, una maggior consapevolezza della donna e una libertà dall’oppressione degli schemi patriarcali della famiglia tradizionale che poi tradizionale non è, ma naturale?
E quindi adesso perché seguiamo con bramosia la rottura di un amore, che avviene come tanti, solo perché è stato tradito? Se è una cosa normale il tradimento, perché la storia di Cristina Seymandi e Massimo Segre sta appassionando i giornali come si trattasse di un caso di Stato?
Forse perché se c’è una verità che la triste – tristissima, quasi desolata – vicenda di Torino fa emergere è che la fedeltà è ancora un valore e il tradimento è un disvalore. A dircelo sono i protagonisti di questa storia: persone inserite nel mondo che conta, altolocate, potremmo dire, che assolutizzano la propria libertà, ma che poi si ritorvano con un pugno di mosche in mano. Come tutti, soli.
Al fondo, quando si saranno placate le chiacchiere agostane della piuttosto sordida storia messa in piazza di lui e lei, ricco lui, bella lei, entrambi in carriera, che dalla Torino bene, fecero strame dei loro panni sporchi in una piazza virtuale sempre più attonita e assetata, resterà solo una vincitrice: lei, l’odiata fedeltà coniugale e pre coniugale, resterà non solo come ideale a cui tendere, ma proprio come unico cemento per tenere insieme l’amore tra un uomo e una donna, che chiede di essere unico e indissolubile, proprietà cestinate a favore del love is love, dell’amore liquido, dei rapporti traballanti all’insegna dell’interesse e del puro godimento.
Fateci caso, ma se c’è un valore che i due ormai ex amanti torinesi, hanno provato a reclamare nel tentativo di sbarazzarsi l’uno dell’altra è proprio la fedeltà tradita o non corrisposta. Segre rivendicandone la mancanza nella sua compagna in una trappola che solo nella Torino da tradizione falsa e cortese si poteva architettare; ma anche Seymandi, nel tentativo di sloggiare il sospetto di essere una traditrice seriale coram populo rivendicando le infedeltà di lui: «Ma chi, io? Fantasmi. Piuttosto da che pulpito, guardi lui in casa sua».
Ne consegue che se tutti e due hanno qualcosa da farsi perdonare e contemporaneamente da difendere gelosamente, il proprio orgoglio, la propria dignità, l’onorabilità si dice in questi casi, è perché la mancanza di fedeltà di questa coppia ha provocato uno tsunami di risentimenti, vendette e colpi bassi da far impallidire la guerra dei Roses.
In fondo, è così da sempre, le storie d’amore finiscono quando la fiducia e il rispetto vengono sacrificati sugli altari cangianti della convenienza. Qui si intravvede il lavoro («Quando torni da Mykonos col tuo avvocato troveremo una forma di collaborazione professionale» dice lui, «purtroppo ci sono dei rapporti di lavoro che non si possono cambiare», dice lei).
Ma a far soffrire questi due poveretti è proprio il fatto di non essere riusciti a tenere fede alle promesse che nel loro caso stavano diventando matrimonio. E questo avviene perché il tradimento, nonostante oggi sia spacciato come normale, come quasi fisiologico, come doveroso o persino giustificato, non può reggere l’impianto dell’amore; non può sostenere nessun rapporto. Dunque, a sostenere l’amore di un uomo e di una donna c’è solo l’antica e polverosa fedeltà, difesa solo da quei cattolici che ancora credono all’amore eterno e al matrimonio per sempre.
Se l’esaltazione del tradimento spacciata in questi anni da canzoni, film, da una cultura sempre più anti-familista e anticoniugale avesse davvero trionfato, oggi Segre e Seymandi si sarebbero lasciati con una pacca sulla spalla, con estrema scioltezza e disinteresse. Si sarebbero detti ciao forti dell’autodeterminazione di chi la sa lunga su come va il mondo e con gli applausi scroscianti dei partecipanti alla festa a sorpresa, non con l’attonito e sgomento silenzio che ha accompagnato il mesto ritirarsi dei due una volta spente le luce e la musica techno messa a coprire un imbarazzo che diventava rimbombo.
Perché di fronte a un tradimento, hai voglia a far festa, ne devi versare di scuse... devi solo stare zitto perché quando si è di fronte alle macerie, l'uomo di oggi non sa che dire. La musica finisce e gli amici se ne vanno.
Invece il patto tradito ha scatenato tutt’altri sentimenti, quelli che accecano gli uomini e sconvolgono i capelli alle donne. Perché si può far finta di niente e continuare a dire che l’amore è eterno finché dura, poi però quando la ferita si avvicina al cuore si fa strada una verità che è insopprimibile nell’uomo. Ci era stato detto che «i due saranno una sola carne», non abbiamo voluto ascoltarlo e abbiamo trasformato l’unione tra un uomo e una donna in un semplice accordo reversibile e indolore, favorito in questo dalle leggi che hanno reso il divorzio sempre più facile e sempre più veloce. Col tradimento esaltato e la promiscuità favorita, col matrimonio naturale sostituito da nuove forme di convivenza meno impegnative, l’uomo contemporaneo pensava di aver così finalmente sistemato anche quel fastidioso affare che fa sobbalzare il cuore e riempire di senso la vita: l’amore.
Però, quando poi la coppia scoppia, guarda caso ci si accorge che è la mancanza di fedeltà ad aver fatto saltare tutti i piani. L’odiata e vincolante fedeltà, che nel matrimonio viene richiesta come condizione imprescindibile e che il cattolico esalta come figura che tiene unito Cristo alla sua Chiesa. Che adesso si prende la sua rivincita sulle macerie dello squallore di relazioni improntate al libertinismo e inadatte al compito alto e innato a cui vorrebbe ambire il cuore dell’uomo, di ogni uomo, anche della Torino bene: amare per sempre.