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DISCORSO AI GESUITI

La demografia di Francesco non tiene alla prova della realtà

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Parlando ai gesuiti in Belgio il Papa ha invocato l'arrivo di migranti per rimpiazzare i figli che gli europei non hanno più. Una cattiva ricetta che tratta le persone come oggetti intercambiabili e che ha già prodotto molti danni.

Editoriali 09_10_2024
Il Papa con i gesuiti in Belgio

Ci risiamo. Con la solita idea che siccome in Italia non si mettono più al mondo i figli, ci vogliono gli immigrati. Stavolta scende in campo con tutta la sua autorità papa Francesco. Nel colloquio avuto con i gesuiti belgi lo scorso 28 settembre durante la visita in quel Paese e reso noto ieri con la pubblicazione su La Civiltà Cattolica, il Pontefice ha infatti detto che: «L’Europa non ha più figli, sta invecchiando. Ha bisogno dei migranti perché si rinnovi la vita. È diventata ormai una questione di sopravvivenza».

Per pura coincidenza la pubblicazione di queste parole è arrivata nel giorno dell’audizione del presidente dell’Istat, Francesco Maria Chelli davanti alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato. Chelli ha confermato anche per il 2024 la tendenza in Italia alla diminuzione delle nascite: nei primi sette mesi del 2024 «le nascite sono state circa 210 mila, oltre 4 mila in meno rispetto allo stesso periodo del 2023». Nello stesso periodo i decessi sono stati 372mila, un dato che dimostra la rapidità con cui l’Italia perde popolazione e rivela lo squilibrio crescente nel numero tra giovani e anziani.

Dunque la soluzione starebbe nell’immigrazione, secondo il Papa, che si iscrive così al partito della sostituzione etnica, seppur dettata da necessità. Peraltro nella stessa risposta, papa Francesco ha anche sottolineato l’importanza di garantire l’integrazione («un migrante che non è integrato finisce male, ma finisce male anche la società in cui si ritrova») salvo poi lodare il lavoro di Open Arms, il cui compito però è quello di scaricare sulle coste italiane migliaia di immigrati illegali senza curarsi affatto del “dopo”.

Non staremo a ripetere ancora, per l’ennesima volta, perché la risposta alla denatalità non sta nell’immigrazione (vedi qui): solo stupisce e amareggia che sia proprio il Papa a non rendersi conto che la popolazione di un Paese non è fatta di individui intercambiabili, come fossero oggetti: l’industria italiana produceva x+y automobili, ora ne produce solo x, allora ne compro y all’estero. Una persona è molto più di un numero: ha esigenze materiali, sociali, culturali, religiose che, nel caso dell’immigrato, devono conciliarsi con quelle della società in cui si vuole fermare. Perché l’integrazione non è a carico solo di chi accoglie, è un dovere anche di chi è accolto, è un movimento bi-direzionale.

Ma il discorso del Papa è anche fuorviante e pericoloso. Fuorviante perché fa di ogni migrazione un fascio, non distingue tra flussi regolari e sbarchi illegali, favorisce la narrazione secondo cui i nostri Paesi sarebbero chiusi all’immigrazione tout court. Non è vero: in Italia, ad esempio, il decreto flussi del 27 settembre 2023 ha fissato le quote di stranieri che saranno accolti in Italia per motivi di lavoro nel triennio 2023-2025: 136mila il primo anno, 151mila il secondo e 165mila il terzo; in tutto 452mila cittadini stranieri.

Quindi c’è una distinzione da tenere ben presente tra immigrazione regolare e irregolare. E qui il discorso del Papa diventa pericoloso perché quella che sta promuovendo è l’immigrazione irregolare, cioè esalta l’illegalità come modo per garantirsi l’ingresso nel Paese voluto; non solo, neanche distingue tra chi ha diritto ad essere accolto in quanto profugo e chi invece secondo il diritto internazionale dovrebbe essere rimpatriato. Si può forse discutere su eventuali aumenti di ingressi regolari, ma è sconcertante ascoltare un Papa che istiga all’illegalità

Non si mettono in discussione le buone intenzioni umanitarie del Papa che si fa carico del dramma dei migranti, ma un umanitarismo ideologico alla fine favorisce il traffico di esseri umani, l’impoverimento dei Paesi di partenza (come tante volte i vescovi africani hanno detto),  e il caos nei Paesi di arrivo, che è quello cui stiamo assistendo e che non può essere imputato semplicemente alla mancanza di volontà dei governi europei di integrare i nuovi arrivati.

E al proposito dobbiamo fare un passo indietro, a quel dovere di integrare che il Papa ha richiamato e che abbiamo menzionato all’inizio. Perché per spiegare i problemi che possono nascere ha ricordato «quel che è accaduto a Zaventem, qui in Belgio: quella tragedia è anche frutto di una mancata integrazione». Non è la prima volta che il Papa ne parla, lo aveva fatto anche nel discorso alla Fondazione Migrantes della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) l’11 novembre 2021: «A me sempre viene in mente la tragedia di Zaventem: coloro che hanno fatto questo erano belgi, ma figli di migranti non integrati, ghettizzati». 

All’aeroporto di Zaventem (11 km dal centro di Bruxelles) e contemporaneamente nella stazione della metro di Maelbeek, il 22 marzo 2016 si consumò un triplice attentato che provocò 32 morti (più tre attentatori suicidi) e 350 feriti. L’attentato, uno dei più gravi commessi in Europa in questo secolo, fu rivendicato prontamente dall’Isis (lo Stato Islamico) e i responsabili appartenevano a una numerosa cellula franco-belga, responsabile anche degli attentati di Parigi del 13 novembre 2015. Alcuni di loro erano stati addestrati in Siria e avevano combattuto all’estero. Affermare che tutto il problema è quello di una mancata integrazione – intendendo le mancanze del Belgio – appare quantomeno semplicistico.

Come abbiamo spiegato più volte, quello delle migrazioni è un fenomeno complesso e non si risolve con slogan e parole d’ordine che non tengono conto della realtà. E soprattutto la migrazione illegale non potrà mai essere la risposta al problema della denatalità.

 



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