La Croce di Sarzana, segno del Christus Triumphans
È una delle più antiche croci dipinte, custodita nella concattedrale di Santa Maria Assunta a Sarzana, in Liguria. Il suo autore, Mastro Guglielmo, scelse una tavola di legno di castagno quale supporto all’icona solenne del suo Cristo che sembra appoggiato, e non inchiodato, alla Croce, quasi essa fosse il Suo trono.
Mastro Guglielmo, Croce, Sarzana (SP)- Concattedrale di Santa Maria Assunta
“Carissimi, Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nel corpo ma reso vivo nello spirito” (1Pt 3, 18)
La Croce di Mastro Guglielmo è custodita nella prima cappella della navata sinistra della chiesa di Santa Maria Assunta a Sarzana, divenuta concattedrale quando, dalla vicina e antica Luni, si decise di spostare la sede vescovile nella limitrofa cittadina spezzina. Qui è venerata insieme ad altre sacre reliquie, tra cui il Preziosissimo Sangue raccolto da Nicodemo sul Calvario. Di quelle dipinte è tra le più antiche: sicuramente la prima firmata e datata (1138) di cui si abbia notizia.
La critica è ormai concorde sulla sua origine di ambito lucchese; Lucca, e più in generale il Centro Italia, risultano essere stati, infatti, l’epicentro della produzione di questo particolare genere pittorico che a partire dal XII secolo si diffuse rapidamente nel resto del Paese e in tutta Europa. Le immagini grandiose del Crocifisso, isolate rispetto al contesto più dettagliato di una scena di Crocifissione, cominciarono proprio allora a essere esposte su altari e iconostasi, strumenti più di meditazione che di racconto, il cui compito era coinvolgere il fedele in una riflessione sul mistero della morte e della Resurrezione.
L’iconografia originaria, che l’esemplare di Sarzana riproduce fedelmente, è quella del Christus Triumphans secondo la quale Gesù sulla Croce è rappresentato vivo, con la testa eretta e gli occhi aperti, circondato spesso da episodi della Passione che documentano il cammino terreno del Figlio di Dio, di cui sono compagni e testimoni Maria e san Giovanni: a loro, frequentemente, si aggiungono tutti e quattro gli Evangelisti, ciascuno evocato attraverso il proprio simbolo.
Mastro Guglielmo scelse una tavola di legno di castagno quale supporto all’icona solenne del suo Cristo che sembra appoggiato, e non inchiodato, alla Croce, quasi essa fosse il Suo trono. Il Suo corpo nudo - forse per la prima volta nella storia dell’arte rappresentato così - è protetto semplicemente da un perizoma stretto sui fianchi grazie a una cintura dorata, indizio del suo status regale. Come regale è il nimbo che incornicia il volto sereno, lo sguardo imperturbabile rivolto verso di noi, per rassicurarci sulla Sua immortalità.
I cartigli di Isaia e Geremia, dalle rispettive estremità del braccio trasversale, ci rivelano parole profetiche relative al sacrificio di Gesù che si compì dopo le vicissitudini storiche della Passione - dal bacio di Giuda all’Angelo che indica alle pie donne la tomba vuota e il sudario - dipinte secondo quanto raccontato da Matteo, Marco, Luca e Giovanni che, sotto le specie dell’angelo, del leone, del bue e dell’aquila, si rendono, qui, garanti dell’accaduto.
C’è anche Maria, l’Hodigitria, ovvero colei che, indicando il Figlio, mostra la vera via. Al cospetto della Vergine e di tutti gli Apostoli riuniti insieme, Cristo, infine, ascende in gloria all’interno di una mandorla, segno della Sua potenza e divinità. Con questo episodio, rappresentato nella cimasa, si conclude la testimonianza resa dal manufatto artistico di Sarzana. E si concluse così la vicenda umana del Figlio di Dio “messo a morte nel corpo ma reso vivo nello spirito”.