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IL DIBATTITO

La Costituzione e il Ramadan: chiariamoci sui ruoli

Le istituzioni non sono né chiamate né tenute a “regolare” questioni legate ad attività di culto, come nel caso del Ramadan. Invece si constata l'indifferenza sulle infiltrazioni dei Fratelli Musulmani. 

Editoriali 14_05_2019

Nella maniera indipendente che ha sempre caratterizzato il mio operato, in ambito politico, culturale e nella società civile, ritengo occorra rilevare come la tipologia di “laicità inclusiva” invocata dal direttore di Avvenire nella risposta che ha dato alle mie osservazioni non sembra accordarsi felicemente anzitutto con il dettato costituzionale.

La sua “laicità inclusiva” implica da parte delle istituzioni il dover “regolare le modalità di espressione di un’esigenza umana incomprimibile come quella di praticare insieme e pubblicamente la propria fede religiosa”, secondo la teoria del sociologo Ambrosini divulgata da Avvenire.

La Costituzione, invece, lascia chiaramente all’islam e a tutte le altre religioni in Italia diverse da quella cattolica il “diritto di organizzarsi secondo i propri statuti” (art. 8) e “in qualsiasi forma, individuale o associata, […] in privato o in pubblico” (art.19).

Ne discende che le istituzioni non sono né chiamate né tenute a “regolare” questioni legate ad attività di culto, come nel caso del Ramadan. Pertanto, in un contesto in cui la libertà di praticare il Ramadan è pienamente garantita, le “modalità” con cui ogni individuo proveniente dalla tradizione e dalla cultura musulmana, credente o non credente che sia, decide di vivere la festività del mese sacro dell’islam restano un fatto “privato” e non pubblicamente rilevante.

Le istituzioni sono piuttosto chiamate e tenute per Costituzione ad accertarsi che le “modalità” che consentono l’esercizio della libertà religiosa “non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano” (art. 8).

Al riguardo, con sempre più viva preoccupazione continuo a constatare l’esistenza di forme d’indifferenza o auto-censura nei confronti del propagarsi - dovuto a una mancata opera di prevenzione - del fondamentalismo dei Fratelli Musulmani all’interno delle comunità di religione islamica in tutto il territorio italiano.

Dopo l’uscita dei “Qatar Papers– se si vuole davvero battere “la pratica e la propaganda odiosa degli estremisti religiosi” –, i media e la carta stampata non possono più ignorare le ambizioni che hanno spinto il Qatar a finanziare in tutta Europa la costruzione di moschee e l’apertura di centri culturali affidati ad associazioni e militanti legati, più o meno visibilmente, ai Fratelli Musulmani.

E non possono più perseverare nell’errore di promuovere e legittimare l’UCOII, facendola passare come “una delle associazioni che cercano di organizzare una presenza islamica molto frammentata”, secondo la definizione del sociologo Ambrosini.

I “Qatar Papers” offrono infatti inconfutabile evidenza dei 50 milioni euro provenienti da Doha di cui l’UCOII è stata beneficiaria nel solo biennio 2013-14, riportando i contenuti originali del materiale propagandistico diffuso da nord a sud, da Bergamo a Catania, in cui gli intenti proselitistici sono ben messi in evidenza.

Il punto non è “togliere dalla strada” i musulmani in Italia, ma impedire che dalla sacrosanta “laicità inclusiva” siano esclusi i Fratelli Musulmani, che sfruttano la laicità per far avanzare anche “pubblicamente” la propria agenda, disinteressandosi tanto dei fedeli e del loro “diritto a luoghi di culto degni”, quanto del “dovere” di organizzare i luoghi di culto “alla luce del sole”.

I 50 milioni di euro del Qatar avevano l’obiettivo di risolvere la questione delle moschee fai-da-te fucina di radicalizzazione e terrorismo?