La Cop28 non cambia nulla. E il nucleare può tornare in Italia
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La Cop28 non cambia nulla di sostanziale, perché non ha prodotto accordi vincolanti. In compenso sdogana il nucleare, a cui può tornare anche l'Italia. Parla il professor Gianluca Alimonti.
La Cop28 si è conclusa la settimana scorsa, ma non è chiaro se si sia trattato di un cambiamento epocale, con la fine prevista e segnata dei combustibili fossili, o una ennesima parata internazionale inconcludente. Per dirla con Tomasi di Lampedusa: “cambiare tutto, perché nulla cambi”. Che impatto avrà l’ultima Conferenza internazionale sul clima sull’Italia? E siccome il nucleare è stato sdoganato anche ufficialmente, sarà giunto il momento in cui verrà rilanciato? La Nuova Bussola quotidiana lo ha chiesto al professor Gianluca Alimonti, dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) e docente di Energetica all’Università degli Studi di Milano.
Professor Alimonti, cosa cambierà dopo la Cop28 di Dubai?
Stando ai resoconti stessi e alle conclusioni della Conferenza, non sembra che si sia raggiunto alcun accordo per l’eliminazione dei combustibili fossili. Anzi, il disaccordo è stato proprio su questo. Si voleva comparisse nella dichiarazione finale, ma si parla di una transizione energetica, di una graduale sostituzione. Sono ancora considerati dei “carburanti di transizione”, in vista del raggiungimento dell’obiettivo “net zero” entro il 2050. E per “carburanti di transizione” possono intendersi tanti tipi di fonti, come il gas in Italia, se vogliamo liberarci del carbone. Non c’è alcun impegno vincolante dopo questa Cop, salvo la sottolineatura sulle rinnovabili che ci si impegna a triplicare entro il 2030. E per la prima volta è stata inserita la parola “nucleare” in una dichiarazione finale della Cop.
Chi guadagna e chi perde, dopo la Cop?
Di fatto ci guadagnano tutti. Ci guadagna chi produce le rinnovabili, perché verranno triplicate. Ci guadagnano i paesi nucleari. E continuano a guadagnare anche i paesi produttori ed esportatori di combustibili fossili che, appunto, non vengono eliminati. Sembra un modo come un altro per mettere tutti d’accordo, in una conferenza che riuniva quasi 200 paesi diversi. Sono anche riusciti a stabilire un Fondo Loss and Damage di “risarcimento” per i paesi in via di sviluppo considerati vittime del cambiamento climatico. L’Italia ci ha già messo cento milioni di euro, ma non c’è alcun impegno vincolante.
In Italia cosa potrebbe cambiare, in concreto?
A causa della Conferenza, cambia poco o nulla. Ma l’Italia è pur sempre parte dell’Ue e l’Europa è l’unica regione del mondo in cui sono stati effettivamente posti obiettivi vincolanti con date precise. Raggiunti gli obiettivi del 2020, ora occorre rispettare quelli del 2030 che sono la tappa intermedia per giungere al “net zero” entro il 2050. Occorre ridurre le emissioni del 55% entro sei anni: stiamo parlando di un obiettivo veramente sfidante. Ma questa è solo ed esclusivamente politica europea, la Cop non c’entra. A condizionarci sono semmai sempre le conclusioni della Cop21, dunque gli accordi di Parigi che hanno fissato le linee guida seguite poi dall’Ue. Ma la Cop28 non ha detto nulla di più, nulla di diverso.
L’Europa non rischia di perdere in competitività con economie emergenti come la Cina o l’India?
Sicuramente sì, anche perché l’Europa sta affrontando grandi sacrifici economici per ridurre le proprie emissioni, che però costituiscono appena l’8% di quelle mondiali. Anche se riuscissimo a ridurle a zero, tirando ulteriormente la cinghia, a livello globale cambierebbe ben poco. L’Europa è l’unica che ha rispettato alla lettera gli obiettivi del Protocollo di Kyoto: ha ridotto le emissioni dell’8,5% (rispetto al 1990) entro il 2012, poi del 20% entro il 2020. Nello stesso lasso di tempo, nel mondo le emissioni crescevano complessivamente di oltre il 50%. La Cina è attualmente il maggior emettitore. Ma non possiamo fargliene una colpa. Sappiamo quante merci importiamo dalla Cina, quante produzioni europee sono state delocalizzate. Sono merci prodotte in Cina, con emissioni in Cina, ma ordinate da noi. L’India è il paese che negli ultimi 20 anni ha avuto la maggior elettrificazione del mondo. Fino a 12 anni fa, un miliardo di persone nel mondo non aveva accesso all’energia elettrica, soprattutto in India e in Africa. Oggi sono ridotti a 600 milioni, soprattutto in Africa. Perché l’India ha portato l’energia a quasi mezzo miliardo di abitanti. E questo grazie soprattutto all’aumento delle centrali a carbone. Sarebbe ipocrita e controproducente dir loro di smettere di svilupparsi.
A margine della Cop28, il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin ha detto sì al nucleare, ma no alle centrali. Cosa vuole intendere?
Non è una novità parlare di un rientro dell’Italia nella produzione del nucleare civile, ma stiamo parlando solo di ipotesi. Non ci sono ancora piani. E l’Italia è arrivata molto in ritardo nella pubblicazione della Cnai, la Carta nazionale delle aree idonee al deposito delle scorie nucleari. Quello a cui fa riferimento il ministro dell’Ambiente sono gli Small Modular Reactor (Smr). Dunque non si dovrebbero costruire grandi centrali nucleari, come quelle che sono sempre state realizzate, per produrre fino a 1000-1600 MW di potenza. Gli Smr sono reattori di concezione innovativa, perché sono più piccoli, capaci di produrre da 50 a 300 MW. Possono dunque essere pensati per servire un singolo polo industriale ed aziende particolarmente energivore, senza la necessità di costruire grandi centrali. Costano meno, si installano più rapidamente (vengono realizzati all’interno dell’industria che produce i reattori e poi trasportati dove servono) e risparmiano molte più difficoltà logistiche per la scelta del territorio adatto.