La Consulta snatura la Costituzione adeguandola alle mode
Ascolta la versione audio dell'articolo
La Costituzione che ha in mente il nuovo presidente della Corte Costituzionale non è quella dei padri costituenti. Su fine vita e procreazione medicalmente assistita fa sua l'interpretazione del realismo giuridico dove non è il “come” ma il “cosa" che deve cambiare, ma che entra in contraddizione con la legge naturale e la Costituzione.
Giovanni Amoroso è il nuovo presidente della Corte Costituzionale. Martedì scorso Amoroso ha tenuto la consueta conferenza stampa di inizio mandato. Ad un giornalista che gli chiedeva se la Corte costituzionale potrà fare marcia indietro su temi come il fine vita e la fecondazione artificiale, il neo presidente ha risposto, da una parte, che esiste la fedeltà ai precedenti e su altro versante ha però così aggiunto: «Io vorrei ricordare quello che diceva il presidente Grossi: la Costituzione è un contenitore di valori che poi esprimono principi, ma che non hanno una fissità originaria, ma hanno una potenzialità di evoluzione e la Corte deve essere attenta anche a captare i mutamenti nella società civile. Diceva Grossi: “La Costituzione respira”. In realtà è proprio così: [pensiamo a] tematiche che in passato sarebbero state inconcepibili come appunto la procreazione medicalmente assistita [e] il problema del fine vita […]. Quindi passi indietro è un po’ difficile che si possano ipotizzare. Però c’è sempre da confrontarsi con il contesto».
Notiamo innanzitutto l’imbarazzo del neo presidente nel rispondere a simile quesito – nel video è ancora più evidente – tentando di dare un colpo al cerchio – fedeltà ai precedenti – e un colpo alla botte – semaforo verde all’evoluzione giurisprudenziale della Consulta. Una risposta però solo apparentemente equilibrata. Una risposta più da equilibrista.
In secondo luogo e in riferimento a quanto appena accennato, ci pare una contraddizione quella di enunciare da una parte fedeltà ai precedenti e infedeltà agli stessi se il contesto muta. Ma veniamo al nocciolo della questione: la Costituzione che ha in mente il dott. Amoroso non è quella dei padri costituenti. Le carte costituzionali come le costituzioni sono volute proprio per fissare una volta per tutte alcuni principi immutabili che – ed il verbo non è scelto a caso – costituiscono il DNA dell’ordinamento giuridico di un Paese, la sua struttura imperitura, la sua fisionomia non solo giuridica, ma anche culturale perché ancor prima valoriale. Se i padri costituenti avessero indicato alcuni principi nella Costituzione con la volontà che questi stessi principi potessero mutare nel tempo – eventualità in linea teorica possibile – lo avrebbero certamente scritto con il sangue nella Costituzione stessa, non avrebbero lasciato implicito un aspetto così scriminante. Invece l’unica possibilità di modificare la Costituzione italiana è tramite le cosiddette leggi costituzionali, stante poi il fatto – un fatto significativo – che alcune sezioni della stessa Costituzione sono immutabili (i primi dodici articoli). E dunque il processo di revisione costituzionale e l’immutabilità di alcuni articoli ci portano a dire che la Costituzione per sua natura esprime principi non mutevoli.
D’altronde è la natura di qualsiasi legge: le norme sono tali perché stabiliscono, ossia rendono stabili, definiscono certe regole di condotta. Altrimenti perché ci sarebbero? Di certo le leggi non si limitano ad indicare una traccia volutamente evolutiva secondo il personalissimo percepito dei giudici che si dovrebbero fare interpreti del senso comune. I giudici devono sì interpretare le leggi, ma secondo la mente del legislatore e non dei cittadini.
Amoroso al pari di Paolo Grossi, citato dal primo, invece sposano una interpretazione della Costituzione e più ampiamente del diritto che va sotto il nome di realismo giuridico (Holmes Jr., Llewellyn), di pragmatismo giuridico (Posner) e di diritto come fenomeno sociale (Ehrlich, Nonet, Selznick). Vi sono molte differenze concettuali tra gli autori citati, ma volendo tentare di fare una sintesi degli aspetti che li possono accumunare, potremmo dire che il diritto deve mutare al mutare delle circostanze sociali, deve essere determinato dal contesto collettivo, dai fenomeni sociali, dal giudizio morale e dalle consuetudini di un popolo. Si tratta di un diritto responsivo, nel senso che risponde alle esigenze, di per sé mutevoli, del consesso sociale. Un approccio proprio della sociologia del diritto, infine.
Qui però occorre intendersi bene. Nel diritto ci deve essere un aspetto che mai deve mutare: la tutela di alcuni principi che attengono al bene comune. E un aspetto che deve sempre mutare: la modalità per applicare questi principi nel contesto dato. I principi non devono mai mutare perché derivano dalla legge naturale e questa è immutabile per sua natura. Uccidere l’innocente, rubare, violentare una donna saranno sempre azioni intrinsecamente malvagie e quindi dovranno essere sempre considerati reati dal diritto. Ma la modalità giuridiche per tutelare la vita dell’innocente, la proprietà, le donne possono e a volte devono mutare al mutare del contesto sociale affinché si possa di volta in volta trovare lo strumento più efficace per difendere questi valori in una società data. In breve, il cosa non cambia, il come deve cambiare.
Il problema del passaggio del dott. Amoroso appena citato sta nel fatto che, in ossequio al pensiero dei filosofi del diritto poco prima indicati, è soprattutto il cosa a cambiare, un cosa che entra in contraddizione con la legge naturale e la Costituzione. Infatti il dott. Amoroso ha fatto riferimento all’eutanasia e alla fecondazione artificiale, pratiche moralmente illecite e incostituzionali. In merito al primo tema la Costituzione tutela la vita (artt. 2 e 32) e quindi non può tutelare il suo contrario, ossia la morte. Più precisamente: nella Costituzione è tutelato il diritto alla vita, ma è assente qualsiasi tutela del diritto alla morte. Questo perché la Costituzione ha fatto una scelta di campo: si tutela la vita e non esiste un diritto a morire. Anzi, è vietato cercare la morte (cfr. art 5 cc e 580 cp).
Eppure la Corte costituzionale ha ribaltato i principi costituzionali arrivando a dire che è lecito aiutare qualcuno a morire tramite il suicidio assistito (cfr. sentenze n. 242/2019 e n. 135/2024). E come è arrivata a simile rivoluzione? Proprio usando la strumento indicato dalla sociologia del diritto: sono il percepito collettivo, i fenomeni sociali, gli orientamenti valoriali, la prassi diffusa ad indicare ai giudici cosa il diritto debba tutelare e cosa punire. Non stiamo nemmeno qui a dire che simile argomentazione è errata in riferimento ai principi, ma sottolineiamo solo che è errata in riferimento alla Costituzione, la quale non può essere costretta a dire l’esatto opposto di ciò che dice. Questa operazione non andrebbe rubricata alla voce “esegesi”, ma derubricata alla voce “tortura”. I giudici della Consulta sono infatti chiamati ad essere fedeli al contenuto stabilito dai padri costituenti, non fedeli alle mode e quindi infedeli alla Costituzione che, lo ripetiamo, nel suo assetto valoriale mai può mutare, nemmeno se la coscienza morale degli italiani mutasse.
Stesso discorso per la fecondazione artificiale: la legge 40/04, all’art. 1, indica il concepito come soggetto di diritto. Come tale è titolare dei diritti costituzionali: in primis quello alla vita e alla dignità personale (artt. 2 e 3). Dunque una legge, come la 40/04, che permette il sacrificio di moltissimi nascituri e che attenta alla loro dignità producendoli in provetta è una legge chiaramente incostituzionale. Parimenti tutti quegli interventi della Consulta che vi sono stati negli anni scorsi volti a liberalizzare ancor più la pratica della fecondazione artificiali entrano in netta contraddizione con il portato valoriale espresso dalla Costituzione. E, domandiamoci anche in questo caso, come è potuto accadere tutto questo? Sempre per il motivo indicato da Amoroso: il cambiamento del contesto sociale, ormai favorevole a tali pratiche. Un diritto più che evolutivo, involutivo. Ma, lo ripetiamo, tutto ciò è avvenuto in netta antitesi con i principi costituzionali che mai cambiano, perché questo è stato il volere dei padri costituenti.
Detto tutto ciò c’è da aggiungere, infine, che a volte la Consulta ha dato sì ascolto alle nuove esigenze che venivano dal basso, ma altre volte è stata lei stessa ad anticipare la sensibilità collettiva, addirittura ad orientarla, ad instradarla verso nuovi orizzonti. Da mero registratore delle istanze sociali a generatore delle stesse. Chiamasi tecnocrazia giuridica. Ma questo è un altro discorso.