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LA SENTENZA

La Consulta boccia De Luca, ma ora è in Veneto la vera partita

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La Corte Costituzionale ha bocciato la nuova legge elettorale in Campania che avrebbe consentito a De Luca di candidarsi per un terzo mandato. Ma gli effetti si fanno sentire sul Veneto, dove Zaia deve lasciare il posto a un successore. 

Politica 11_04_2025
Luca Zaia (La Presse)

La sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato incostituzionale la legge approvata in Campania per consentire un terzo mandato al governatore Vincenzo De Luca ha segnato la fine dell’era per due dei presidenti di Regione più longevi e influenti d’Italia: De Luca, appunto, e Luca Zaia in Veneto. La Corte ha stabilito in modo netto che il limite dei due mandati consecutivi resta invalicabile, ribadendo così la prevalenza della normativa statale sulle iniziative regionali, anche quando queste tentano di aggirare il vincolo con escamotage legislativi.

La norma campana, infatti, era stata pensata per legittimare una nuova candidatura dell’attuale presidente, ma secondo i giudici costituzionali violava il principio di eguaglianza e legalità delle fonti. La decisione ha avuto un effetto domino, travolgendo anche le aspirazioni del leghista Zaia, da tempo al governo del Veneto e in cerca di una via per restare al potere ancora un giro, che sarebbe stato il quarto. Entrambi i governatori hanno reagito con fastidio, tra ironie e accuse di ipocrisia rivolte al sistema istituzionale. De Luca ha definito la decisione un’adesione a una “tesi strampalata”, annunciando che proseguirà il suo lavoro con un’agenda mensile di interventi su temi concreti come la sanità.

Zaia, dal canto suo, ha mostrato pubblicamente un atteggiamento fatalista, ma ha anche denunciato quella che ritiene una palese contraddizione del sistema: mentre parlamentari, ministri, sottosegretari e altre figure istituzionali possono ricandidarsi e riproporsi per un numero illimitato di volte, i governatori e i sindaci delle grandi città restano gli unici vincolati dal tetto dei due mandati. Un’anomalia che il presidente del Veneto non ha esitato a definire “una forma di ipocrisia normativa”. Secondo lui, la motivazione addotta — quella di evitare la concentrazione del potere — non regge alla prova dei fatti, soprattutto se si guarda a quante volte presidenti uscenti sono stati bocciati dagli elettori. Il principio che un volto nuovo e inesperto debba per forza garantire un miglior funzionamento delle istituzioni rispetto a chi ha già maturato una lunga esperienza di governo è, nella visione di Zaia, più ideologico che pragmatico.

La Corte ha inoltre precisato che il vincolo vale solo per le Regioni che si sono dotate di una legge elettorale, lasciando dunque in sospeso la questione per quelle che non lo hanno fatto, un dettaglio che ha offerto al governatore veneto un altro appiglio per parlare di disparità di trattamento e incoerenze del sistema. A rendere il quadro ancora più contraddittorio è il fatto che le Regioni a statuto speciale, come il Trentino-Alto Adige, non sono soggette allo stesso vincolo e possono legittimamente approvare norme per consentire il terzo mandato, come è avvenuto recentemente nella Provincia autonoma di Trento. Così, mentre Zaia cita Seneca e parla di accettazione del destino, sullo sfondo si prepara già la battaglia politica per il suo successore.

In Veneto si apre la fase del dopo-Zaia, e la Lega ha fatto sapere che intende mantenere la guida della Regione. Tuttavia, Fratelli d’Italia, forte dei risultati elettorali ottenuti in Veneto negli ultimi anni, sia alle politiche che alle europee, reclama con forza un proprio candidato. Le tensioni interne al centrodestra non sono certo sopite e promettono scontri accesi da qui all’autunno. È interessante osservare come proprio Zaia, nel 2018, si fosse vantato pubblicamente del limite dei due mandati introdotto in Veneto nel 2012, affermando con fierezza che la sua Regione era pioniera di una scelta che altri solo allora prendevano in considerazione. Ma il tempo cambia prospettive e priorità, e oggi lo stesso governatore denuncia quella regola come ingiusta e discriminatoria.

Per De Luca, il colpo è stato altrettanto duro. La sua proposta di legge era per lui un’ultima speranza, per cui ora nel centrosinistra non resta che riorganizzare il campo e scegliere un nuovo volto per il futuro della Campania. La riunione convocata con urgenza con i capigruppo della maggioranza a Palazzo Santa Lucia per domani è la prova che il presidente non intende farsi da parte senza pesare sul passaggio di consegne. Intanto le opposizioni festeggiano la fine di un’epoca e chiedono che si costruiscano al più presto le condizioni per il voto.

Ma anche all’interno del centrodestra, almeno in Veneto, non sembrano esserci lacrime per l’uscita di scena di Zaia. Alcuni alleati liquidano la vicenda con distacco, preferendo spostare l’attenzione su temi più economici che istituzionali. La sentenza della Consulta, tuttavia, apre anche una riflessione più ampia su quanto sia davvero giusto imporre limiti così rigidi solo a certe cariche. Se è vero che un ricambio generazionale e politico può garantire freschezza e nuove idee, è altrettanto vero che l’esperienza e la conoscenza approfondita delle dinamiche amministrative sono beni preziosi, soprattutto in contesti complessi come quelli regionali. Un sistema che consente a un deputato di restare in Parlamento per trent’anni ma impedisce a un governatore di ricandidarsi dopo due mandati appare quantomeno sbilanciato. Eppure, questa è la legge oggi. La Corte ha parlato, e le regole non si interpretano ma si applicano. Si chiude così un capitolo importante della politica italiana, ma la partita, almeno dal punto di vista del consenso, resta aperta. Gli elettori, alla fine, continueranno a votare secondo ciò che ritengono meglio per la propria Regione, anche senza i loro governatori storici sulla scheda?