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CROLLO DELLE BORSE

La Cina è vicina. A una crisi di sistema

Il crollo delle Borse cinesi continua a preoccupare tutto il mondo, anche se le borse occidentali, dopo il panico iniziale, dimostrano di saper reggere il colpo. Il problema è proprio il modello di sviluppo di Pechino, che ha puntato tutto sulle esportazioni e si è creato un problema demografico con la dissennata politica del figlio unico.

Economia 26_08_2015
Crollo della borsa di Shanghai

Tra venerdì scorso e l’altro ieri, primo giorno della corrente settimana, l’ulteriore brusca caduta dei titoli quotati sulle Borse cinesi ha diffuso nel mondo il timore di un ritorno al 2008, quando il fallimento della grande banca d’affari statunitense Lehman Brothers segnò l’avvio della crisi economica internazionale dalla quale si sta adesso cominciando a sperare di uscire.

Ieri le borse occidentali hanno però dato segno di reggere abbastanza il colpo ricuperando il grosso delle perdite dei giorni precedenti. Per il momento, insomma, la crisi delle Borse cinesi non sembra riflettersi in modo simmetrico sui mercati finanziari del resto del mondo, e speriamo che sia proprio così. Non solo per un dovere di solidarietà umana, ma anche nell’interesse dell’intera economia mondiale, dobbiamo in ogni caso augurarci che la Cina riesca ad uscire al più presto dalla crisi, e in modo salutare. Spinto dall’ingresso nel mercato azionario di milioni di nuovi piccoli investitori cinesi, tra il giugno 2014 e il giugno 2015 il valore dei titoli quotati sulla Borsa di Shanghai si era raddoppiato: un fenomeno senza alcun concreto nesso con il tasso di crescita dell’economia reale, che anzi nel frattempo rallentava vistosamente. Era pertanto prevedibile che un tale squilibrio non potesse perdurare a lungo, e così è stato. D’altro canto quella della Cina è un’economia molto meno “ruggente” di quanto ami raccontare un sistema massmediatico planetario ormai trasformatosi in un gigantesco ripetitore e amplificatore di luoghi comuni. Con riguardo ai due giganti demografici e quindi tendenzialmente anche economici non soltanto di oggi ma di sempre, ossia l’India e la Cina, da tempo si spera troppo nella seconda e troppo poco nella prima. Bastava infatti stare più attenti ai fatti che alle trombe dei grossisti del mercato mondiale dell’informazione per capire che l’economia e la società cinesi hanno delle fragilità che a un certo punto si sarebbero fatte sentire (cfr. “L’irresistibile ascesa della Cina: un mito da rivedere”, La Bussola Quotidiana, 18 febbraio 2011). 

Avendo puntato tutte le sue carte sulla conquista dei mercati esteri attuata a spese dello sviluppo del mercato interno (il contrario di quanto sta facendo l’India) la Cina sarebbe stata inevitabilmente vittima del suo stesso successo. E così infatti sta cominciando ad accadere. Tale prospettiva è poi drammaticamente aggravata dalla crisi demografica provocata delle conseguenze dalla dissennata politica del figlio unico, tanto più catastrofica in un Paese in cui la massima parte degli anziani non ha pensione, e dove quindi sulla famiglia in età attiva grava anche il mantenimento dei genitori dei due coniugi. Trattandosi comunque della seconda più importante economia mondiale e del secondo importatore mondiale di beni e di servizi al commercio, pur se il grosso delle perdite delle Borse cinesi non si rifletterà all’esterno (essendo irrisoria la quantità di titoli ivi quotati in mano a investitori stranieri), in ogni caso vi si rifletterà il forte rallentamento dell’economia cinese in quanto tale. 

Nella migliore delle ipotesi siamo a un grande riassestamento dell’economia mondiale imposto dal fatto che nel bene e nel male non si può più dare per scontato l’impetuoso tasso di crescita a due cifre che la Cina aveva fatto registrare nei decenni appena trascorsi. Basti dire che il governo cinese si era già posto per quest’anno l’obiettivo di una crescita del  7 percento, ben lontana dai tassi di crescita del 10 per cento o più che aveva fatto registrare in quei decenni. A lungo termine e in linea generale ciò può essere positivo sia per il resto del mondo che per il popolo cinese. Per il resto del mondo nella misura in cui apre prospettive di crescita economica ad altri Paesi emergenti e frena le ambizioni neo-imperiali di Pechino. Per il  popolo cinese nella misura in cui costringe il regime al potere in Cina a puntare di più sull’aumento dei consumi interni in un Paese dove finora la maggior parte della gente vive o in situazioni nemmeno da Terzo ma da Quarto Mondo, oppure nell’equivalente contemporaneo delle manifatture e dei quartieri operai dell’Inghilterra dei tempi di Dickens. A breve termine, e con specifico riferimento alla parte del mondo dove viviamo noi, resta da vedere in quale misura si riuscirà ad evitare o una ricaduta all’indietro o comunque un rallentamento dell’uscita dalla crisi che ci travaglia dal 2008.