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EDITORIALE

La Chiesa sostenibile

Il recente intervento all'Onu dei cardinali Parolin e Maradiaga per il vertice sul clima, fa intendere che nella Chiesa sta prevalendo una lettura "ecologista" dei rapporti fra popoli. Con clamorosi svarioni storici, economici e scientifici. Si usano le categorie dello "sviluppo sostenibile" dimenticando lo "sviluppo umano integrale" (Caritas in Veritate).

Editoriali 25_09_2014
Il cardinale Parolin

Piove. Un brutto temporale. Ricchi e benestanti, se proprio devono andare in giro, sono muniti di ombrello, impermeabile e anche vestiti più pesanti per coprirsi bene. E se la situazione peggiora si rifugiano in casa. Alcuni poveri invece, già vestiti alla bell’è meglio, non hanno ombrelli, magari trovano temporaneo riparo sotto un ponte ma esposti comunque al freddo e all’umidità e quindi alle malattie e via peggiorando.

Cosa fare? Il ricco che volesse fare qualcosa per aiutare il povero potrebbe scegliere una soluzione a costo zero (dare un passaggio con l’ombrello), oppure una comunque economica (regalare un ombrello) o anche altre via via più impegnative (regalare un ombrello e vestiti adeguati, offrire il rifugio in una abitazione, addirittura offrire un lavoro per togliere la persona dalla povertà). In ogni caso qualcosa che riduca la povertà o che ne lenisca almeno gli effetti più pesanti per i poveri. Tutte soluzioni comunque a portata di mano e di portafogli.

Ma oggi gli uomini al potere si sono inventati un’altra soluzione: lasciano pure i poveri sotto l’acqua (troppo facile pensare di risolvere tutto con un ombrello, bisogna andare alla radice del problema) e decidono che bisogna far smettere la pioggia. Nessuno sa come fare, in realtà, e per studiare il problema allora si spendono cifre enormi, si comincia a dire che è tutta colpa dei milioni di ombrelli comprati dai ricchi e si va dietro a soluzioni che potrebbero essere risolutive (anzi lo sono certamente, bisogna pur offrire un obiettivo concreto) e che però hanno il difetto di essere costosissime. Ma non fa niente, perché alla fine, tra 50 o 100 anni, il problema sarà risolto una volta per tutte. Ma chi paga? I ricchi ovviamente, e guai a sollevare obiezioni sostenendo che a fronte di un risultato incerto e che nessuno fra cento anni potrà verificare, sarebbe meglio investire i soldi aiutando i poveri di oggi concretamente, mettendoli in condizioni di non temere la pioggia. Sei solo un bieco egoista, sfruttatore, che cerchi solo il tuo interesse.

Ecco, questa è la situazione in cui siamo oggi: il buon senso che ha guidato l’umanità per millenni e che l’ha portata a uscire in larga parte dalla miseria e dalla precarietà, ha lasciato il posto all’irrazionalità e all’ideologia, al punto di organizzare marce mondiali contro i cambiamenti climatici, che sarebbe come proclamare uno sciopero contro il susseguirsi delle stagioni. Il riconoscimento della pochezza dell’uomo davanti alla natura ha lasciato il posto al delirio di onnipotenza che fa ritenere l’uomo in grado di poter controllare la natura, sostituendosi a Dio. 

Questo è purtroppo ciò che guida la politica internazionale degli ultimi decenni, al punto che tra i capi di stato occidentali alcuni anni fa era di moda dire che il riscaldamento globale è una minaccia più grave del terrorismo internazionale. E infatti, come si vede….

Ma ora c’è una novità. Anche la Chiesa cattolica, sulla spinta di forti gruppi di pressione al suo interno, sta cedendo a questa cultura dominante. Prova ne sono stati gli interventi in questi giorni del segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, al Vertice Onu sul clima (clicca qui), e del cardinale Oscar Andres Maradiaga al Summit delle religioni sul Clima, sempre a New York (clicca qui). Che in Vaticano l’aria sia cambiata se ne è accorto anche il settimanale scientifico Science, che nell’editoriale del 19 settembre prende spunto da un grosso convegno internazionale organizzato lo scorso maggio dalla Pontificia Accademia delle Scienze sociali per affermare che la Chiesa ha finalmente abbracciato la sostenibilità (clicca qui).

È un punto questo che richiede un breve chiarimento: da molti anni infatti ci sono interi episcopati (tedesco e francese anzitutto) e alcune organizzazioni non governative cattoliche che chiedono con insistenza che lo “sviluppo sostenibile” sia integrato nella Dottrina sociale della Chiesa, pressione a cui la Santa Sede e i papi hanno finora sempre resistito, e a ragione. Lo “sviluppo sostenibile” infatti è un concetto relativamente nuovo – codificato nel Rapporto della Commissione Brundtland, Our Common Future (Il nostro futuro comune, 1987) - che è figlio di una ideologia anti-umana. Presupposto infatti della sostenibilità è la convinzione che il mondo sia sovrappopolato e che in ogni caso si consumino molte più risorse di quante la natura ne possa offrire. Da qui anche la previsione di catastrofi prossime venture nel caso non si prendano immediati accorgimenti.

Questa radice anti-umana che va ben oltre la difesa dell’ambiente non è mai sfuggita al vertice della Chiesa, così come la differenza tra una certa concezione della natura e il Creato, biblicamente inteso. Così, malgrado le forti pressioni e la dura battaglia che l’ha tenuta ferma per molti mesi, nell’enciclica sociale di Benedetto XVI “Caritas in Veritate” il concetto di sviluppo sostenibile non è entrato: si trova invece spiegato il concetto di “sviluppo umano integrale” che tiene l’uomo al centro della Creazione senza ridurlo a una delle variabili viventi del pianeta. Il succitato convegno della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali fa apparire però la Caritas in Veritate un residuo del passato, e sulla stessa linea si pongono gli interventi dei cardinali Parolin e Maradiaga.

In discussione non sono le enunciazioni di principio sul valore della Creazione e la necessità di salvaguardare tutto il Creato, minacciato dall’avidità umana; né è in discussione la responsabilità per l’uomo di prendersi cura di quanto lo circonda. 

Il problema nasce quando si passa a individuare le minacce per il Creato e come porvi rimedio. Ed è qui che, ad esempio, negli interventi di Parolin e Maradiaga c’è la totale sottomissione alla “religione” del riscaldamento globale antropogenico (cioè provocato dall’uomo). È uno schema che vede i paesi ricchi imputati di provocare eventi atmosferici catastrofici senza precedenti, dovuti alle emissioni di anidride carbonica causate dall'uso dei combustibili fossili; e le principali vittime sarebbero ovviamente i poveri, vulnerabili a questi cambiamenti climatici. Da qui il tira e molla per far pagare ai Paesi ricchi il “risarcimento” per i danni fatti.

Ecco dunque il cardinale Parolin ripetere il solito mantra del “consenso scientifico” intorno al riscaldamento «indiscutibile che c’è stato a partire dalla seconda metà del secolo scorso». E tutto questo sarebbe provocato «dalle emissioni di anidride carbonica dovute all’attività umana». Da qui ecco il «contributo che la Santa Sede vuole dare» per il «grande impegno politico ed economico che la comunità internazionale deve affrontare». In pratica il segretario di Stato afferma che la Santa Sede non comprerà ombrelli per i poveri – come ha sempre fatto – ma lavorerà con gli altri per far cessare la pioggia.

Il fatto è che nelle poche parole di Parolin citate c’è già una lunga lista di errori. Intanto quando si parla di scienza e di verità scientifiche il consenso non ha alcun significato, per le leggi scientifiche non si fa a maggioranza come in Parlamento. È la corrispondenza alla realtà che decide se una teoria è vera oppure no. E da questo punto di vista le affermazioni successive sul riscaldamento globale sono già state smentite. Tanto per cominciare, il periodo di riscaldamento comincia alla fine dell’Ottocento, ma non va in modo lineare e nemmeno coincide con le emissioni di anidride carbonica. Il boom di emissioni da attività umane si ha infatti subito dopo la Seconda Guerra mondiale, con l’esplosione delle attività industriali: ebbene dal 1945 al 1975 la temperatura globale scende tanto che all’inizio degli anni ’70 si lancia l’allarme per il “raffreddamento globale”. Poi la temperatura tende a risalire ma si ferma nel 1998 e da allora non c’è più stato alcun aumento, malgrado le emissioni di anidride carbonica continuino ad aumentare. In ogni caso non c’è alcun riscaldamento senza precedenti nella storia, ma va tutto secondo cicli naturali. Basterebbero queste semplici osservazioni per insinuare qualche dubbio fra tante granitiche certezze. Senza considerare che l’anidride carbonica viene trattata come un inquinante o comunque una sostanza pericolosa quando essa è il «mattone della vita», quell’elemento senza il quale la vita sulla terra non esisterebbe.

Se vogliamo, ancora più sorprendente è stato il cardinale Maradiaga il quale, nel sostenere che «i cambiamenti climatici sono il principale ostacolo allo sradicamento della povertà», ha individuato nella crescita economica dei paesi ricchi la causa della malnutrizione diffusa nei paesi poveri. Si tratta di tesi ardite, per usare un eufemismo, tanto più che Maradiaga è un uomo nato e vissuto in Honduras, un paese povero, tradizionalmente vittima di eventi atmosferici estremi: il conto degli uragani che periodicamente distruggono l’Honduras si perde nei secoli, e ben si può dire che da quel punto di vista non è cambiato nulla. Il clima in generale – e non i cambiamenti climatici provocati dall’uomo negli ultimi decenni – è una difficoltà oggettiva per chi vive lì, ed è per questo che solo una politica di sviluppo che renda la popolazione meno vulnerabile può cambiare il corso della storia. Pensare che la situazione degli honduregni possa invece migliorare imponendo massicci investimenti all’industria americana ed europea per cambiare la loro tecnologia, e il pagamento - a mo’ di risarcimento - di fior di quattrini ai governi locali che spesso li fanno “sparire” per propri interessi, è semplicemente ingenuo (anche questo è un eufemismo).

Quanto poi alla crescita economica dell’Occidente paragonata al sottosviluppo di altre regioni, certamente si può affermare che ci sono disuguaglianze figlie di ingiustizia, ma si deve anzitutto considerare che fattori principali del sottosviluppo sono la cultura di un popolo (e quindi anche la sua religione), le credenze, la corruzione dei governanti, la stratificazione sociale (tribù, clan, caste) e così via. 

Troppo facile prendersela con i cambiamenti climatici. E in ogni caso una volta la Chiesa ci insegnava che davanti agli eventi atmosferici estremi (prolungata siccità, tempeste e così via) bisognava rivolgersi a Dio, il signore della natura; a Gesù, capace di dominare e farsi ubbidire dagli elementi della natura. Si pregava insomma, mica si mettevano pannelli solari.