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PAPA

La Chiesa rifiuta la menzogna dell'antisemitismo

Il 24 giugno Papa Francesco ha ricevuto la delegazione dei responsabili del Comitato Ebraico Internazionale per le Consultazioni Interreligiose. Primo incontro con il mondo ebraico per il nuovo Pontefice, che ha ribadito la condanna dell'antisemitismo.

Ecclesia 25_06_2013
Papa Francesco

Il 24 giugno 2013 Papa Francesco ha ricevuto nella Sala dei Papi la delegazione dei responsabili del Comitato Ebraico Internazionale per le Consultazioni Interreligiose (International Jewish Committee on Interreligious Consultations). Si trattava del primo incontro ufficiale del nuovo Pontefice con il mondo ebraico, come tale atteso con interesse. E il Papa non ha deluso le attese, ribadendo la condanna dell'antisemitismo e riproponendo la cornice che il Concilio Ecumenico Vaticano II a offerto a un approfondimento teologico difficile ma necessario.

Francesco si è rivolto agli ebrei con la formula usata dal beato Giovanni Paolo II (1920-2005): «Cari Fratelli Maggiori». E ha ricordato come la Commissione per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo, da più di quarant’anni, mantiene  un dialogo regolare con il Comitato Ebraico Internazionale per le Consultazioni Interreligiose, che si è articolato in ventuno incontri. Il prossimo si terrà in ottobre a Madrid e avrà per tema: «Sfide alla fede nelle società contemporanee».

Il Papa ha voluto ripetere e fare suo «quanto solennemente affermato nel n. 4 della Dichiarazione "Nostra Aetate" del Concilio Ecumenico Vaticano II, che rappresenta per la Chiesa cattolica un punto di riferimento fondamentale per quanto riguarda le relazioni con il popolo ebraico». Si tratta com'è noto del punto di arrivo di un lungo itinerario, recentemente ricostruito dallo storico John Connelly nel suo «From Enemy to Brother» («Da nemico a fratello», Harvard University Press, Harvard 2012), un libro che aiuta a comprendere le affermazioni del Papa. Non tutto è condivisibile nel testo di Connelly, ma una frase delle conclusioni dello studioso americano sottolinea un aspetto della vicenda su cui solo da poco si è cominciato a riflettere: «furono teologi conservatori, non progressisti, che preparano l'insegnamento del Vaticano II sugli ebrei». Connelly in effetti spiega che all'epoca del nazional-socialismo molti cattolici «progressisti» ritenevano che la Chiesa dovesse abbracciare la scienza moderna, e che della scienza a quel tempo facesse parte una dottrina delle razze che attribuiva alla «razza ebraica» tutta una serie di caratteristiche negative. Rifiutare la «scienza della razza» avrebbe voluto dire, secondo costoro, essere contro la scienza più avanzata e contro il progresso. Non c'era scelta: se non voleva essere «oscurantista» e andare contro le correnti più «scientifiche» e «avanzate» del tempo la Chiesa, sostenevano, doveva accettare le dottrine della razza e quindi l'antisemitismo.

Furono invece teologi conservatori guidati da Dietrich von Hildebrand (1889- 1977), considerato da Benedetto XVI uno dei più grandi teologi del XX secolo, a smantellare il mito della «scienza della razza» e a promuovere il duro rifiuto cattolico della menzogna dell'antisemitismo, che la Chiesa non aveva in verità mai accettato ma la cui condanna divenne sempre più chiara negli anni 1930 e 1940. Questi stessi teologi riscoprirono in san Paolo gli elementi per apprezzare le origini ebraiche del cristianesimo e il mistero dell'irrevocabilità della chiamata d'Israele, certo suscettibile di diverse interpretazioni ma che rimanda a un nucleo secondo cui in una certa misura, e in un certo modo, il popolo ebraico porta ancora in sé l'eco del dono originario di Dio.

Si arrivò così alla «Nostra aetate» del Vaticano II, attraverso le cui parole, ha detto Papa Francesco,  «la Chiesa riconosce che "gli inizi della sua fede e della sua elezione si trovano già, secondo il mistero divino della salvezza, nei Patriarchi, in Mosè e nei Profeti". E, quanto al popolo ebraico, il Concilio ricorda l’insegnamento di San Paolo, secondo cui "i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili", ed inoltre condanna fermamente gli odi, le persecuzioni, e tutte le manifestazioni di antisemitismo. Per le nostre radici comuni, un cristiano non può essere antisemita!». Certo, ha ammesso il Pontefice, non tutti i problemi teologici e culturali tra ebrei e cristiani sono risolti. Il dialogo prosegue, e quello a livello teologico internazionale  «rappresenta solamente la parte più visibile di un vasto movimento che si è realizzato a livello locale un po’ in tutto il mondo, e di cui io stesso sono testimone» - ha detto il Papa - a Buenos Aires.

A proposito del suo confronto con il vivace mondo ebraico argentino, Francesco è tornato su un tema caro a Benedetto XVI: al di là del dialogo teologico, le religioni devono cercare, confrontandosi tra loro, nuove «modalità per tenere vivo il senso di Dio in un mondo per molti tratti secolarizzato». Di fronte alla sfida del secolarismo e del laicismo «l’umanità ha bisogno della nostra comune testimonianza in favore del rispetto della dignità dell’uomo e della donna creati ad immagine e somiglianza di Dio, e in favore della pace che, primariamente, è un dono suo». «Mi piace - ha concluso il Papa - qui ricordare le parole del profeta Geremia: "Io conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo – oracolo del Signore – progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza"». Il mondo, che lo sappia o no, ha ancora bisogno di speranza, e dunque ha ancora bisogno della religione.