La Cassazione: non è il giudice a stabilire i Paesi sicuri
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Sugli Stati di provenienza degli emigranti illegali e quindi sulle eventuali richieste d'asilo la competenza spetta al governo: a dirlo è la Corte Suprema. Si rallegrano però anche opposizione, Ong e cooperative che puntano sui ricorsi.
Il 19 dicembre la Corte di Cassazione, interpellata sulla questione dei 19 Paesi che il 19 ottobre con decreto legge il governo italiano ha definito sicuri, ha stabilito che i giudici non possono sostituirsi al Ministero degli Affari Esteri e annullare un decreto legge. «I provvedimenti dei giudici non possono produrre effetti erga omnes. È uno dei principi di diritto che insegnano al primo anno di Giurisprudenza – ha subito commentato il capogruppo di FdI alla camera Galeazzo Bignami – sorprende che sia dovuta intervenire la Corte di Cassazione a ribadirlo a giudici che evidentemente avevano finalità politiche».
Il decreto in questione, come si ricorderà, ha individuato gli Stati di provenienza degli emigranti illegali che si possono considerare sicuri, nei quali cioè non sono in atto guerre e persecuzioni e non si riscontrano situazioni di violenza estrema e diffusa. Le richieste di asilo presentate da chi arriva da quei Paesi quindi sono quasi sicuramente immotivate, formulate solo per evitare di essere fermati e respinti. Il cittadino di un Paese sicuro può comunque chiedere protezione internazionale, ne ha diritto secondo quanto prevede la Convenzione di Ginevra sui rifugiati, e può ottenerla se dimostra che, per la sua situazione particolare, la sua vita e la sua libertà erano effettivamente minacciate. Però l’Italia ha deciso di adottare procedure diverse, più snelle e semplici, per esaminare le richieste degli emigranti da Paesi sicuri e, nel caso siano stati soccorsi in mare da imbarcazioni italiane, di farlo ospitandoli nel frattempo non in uno degli oltre 5mila CAS (Centri di accoglienza straordinaria) esistenti in Italia, bensì in Albania, in una struttura costruita a Gjader.
Come sappiamo, i primi emigranti trasportati in Albania a due riprese nelle scorse settimane hanno presentato ricorsi che la sezione immigrazione del tribunale di Roma ha accolto e sono stati trasferiti in Italia. Secondo i giudici i loro Paesi di origine, Bangladesh ed Egitto, inclusi nell’elenco dei 19, non possono essere considerati sicuri, non nel senso inteso dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea secondo la quale per essere giudicato sicuro un Paese deve esserlo su tutto il territorio nazionale, in ogni sua parte, e per ogni categoria di cittadino. Ne è seguito il ricorso alla Cassazione che «ha stabilito in maniera chiara e netta – sono parole del senatore di FdI Lucio Malan – che la competenza di decidere se un Paese è o meno sicuro spetta al governo. Quindi non ai singoli giudici. È la conferma che il governo Meloni aveva ragione e che le sentenze con cui i giudici hanno annullato i trasferimenti in Albania dei migranti sbarcati illegalmente sulle nostre coste erano sbagliate». «Cosa diranno adesso – ha proseguito Malan – Schlein e gli altri esponenti delle opposizioni, insieme alla grancassa dei loro house organ, dinanzi a questa sentenza che decreta il loro ennesimo fallimento? Per quanto ci riguarda continuiamo ad andare avanti, consapevoli che tutta l’Europa guarda all’Italia come un modello nel contrasto all’immigrazione illegale».
Il riferimento è ai diversi esponenti dell’opposizione, motivati sostanzialmente dall’obiettivo di giustificare e ammettere l’immigrazione illegale e di non porvi ostacoli, che hanno invece interpretato come un successo la sentenza ritenendo che riconosca ai giudici facoltà di intervento sulla designazione dei paesi sicuri. Non hanno del tutto torto. È vero, infatti, e del tutto ovvio, che i giudici «non possono produrre effetti erga ommes». La Cassazione, dando ragione al governo italiano, riconosce che spetta all’esecutivo individuare dei Paesi sicuri e, se lo ritiene opportuno, istituire un regime differenziato di verifica delle domande di asilo per le persone che ne provengono. Ma ha anche stabilito che la magistratura è deputata a decidere sui singoli casi, su ogni singolo caso concreto che sarà sottoposto al suo esame. In altre parole, come ha spiegato correttamente Sara Kelany, responsabile nazionale del dipartimento Immigrazione di FdI, la Cassazione ha stabilito che «non faccia un giudice quello che è demandato alla politica, ossia determinare in via generale e astratta il novero dei paesi sicuri, ma che su ogni singolo caso i giudici possono e devono verificare se esistono i presupposti per la concessione dell’asilo politico o per il trattenimento».
Il motivo per cui opposizione, Ong e cooperative si rallegrano per la sentenza della Cassazione è che sanno che ogni singolo richiedente asilo insoddisfatto presenterà ricorso così come è successo finora. Lo sanno perché i richiedenti asilo presentano sempre ricorso dal momento che usufruiscono del gratuito patrocinio e che quindi le spese legali dei loro ricorsi sono a carico dello Stato italiano che è arrivato a spendere per questo fino a 50 milioni di euro all’anno.
Al di là di ogni altra considerazione, l’obiezione fondamentale ha a che vedere con la competenza. Salvo casi particolari, non si può ragionevolmente pensare che i giudici e gli impiegati dei tribunali italiani siano informati e documentati sulla situazione dei paesi dai quali provengono gli emigranti illegali che chiedono protezione internazionale più del Ministero degli Affari Esteri, con le sue migliaia di dipendenti, di consulenti, di esperti e forte delle informazioni e dei dati di cui dispone grazie alle ambasciate e ai consolati italiani nel mondo. Per capirlo è sufficiente leggere le sentenze dei tribunali italiani chiamati a giudicare i ricorsi presentati dagli emigranti di cui le commissioni territoriali non accettano le richieste di asilo: le sentenze, le motivazioni e le fonti sulle quali si basano.
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