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REPUBBLICA CENTRAFRICANA

La battaglia di padre Gazzera per fermare i predatori d’oro

Nonostante la guerra, nella Repubblica Centrafricana proseguono le attività di contrabbando delle materie preziose, complice la diffusa corruzione. Dall’inizio del 2019, delle imprese cinesi hanno aperto almeno 17 cantieri per estrarre l’oro nel fiume Ouham, deviandone il corso, inquinando l’acqua e impoverendo la popolazione. A raccontare lo scempio che sta avvenendo, rischiando la sua incolumità, è il missionario carmelitano Aurelio Gazzera.

Esteri 29_04_2019

Nella Repubblica Centrafricana si combatte dal 2013 una cruenta guerra civile, iniziata con un colpo di Stato messo a segno dai Seleka, una coalizione di gruppi armati espressione della minoranza islamica del Paese. Nonostante la presenza della missione Onu di peacekeeping Minusca, il ripristino nel 2014 delle istituzioni democratiche e lo scioglimento della coalizione Seleka, l’80% del Paese è tuttora sotto il controllo di vari gruppi armati. Nel corso degli anni, sono stati firmati una serie di “cessate il fuoco” e di accordi di pace che però non sono mai entrati in vigore ed è in forse anche l’ultimo siglato a febbraio.

Il conflitto contrappone milizie islamiche e cristiane, queste ultime, chiamate Anti-Balaka, formatesi in origine per proteggere le comunità cristiane dagli attacchi dei combattenti ex Seleka. A dividere la popolazione è anche l’appartenenza etnica, esacerbata dalla presenza di tribù dedite alla pastorizia transumante e di altre agricole, in conflitto per il controllo di pascoli, terre e sorgenti. L’ultimo grave scontro armato si è verificato il 21 aprile allorché un gruppo di agricoltori, per vendicare l’uccisione di un compagno, ha attaccato un insediamento di pastori uccidendone cinque e bruciando diverse abitazioni.

L’instabilità e l’insicurezza causano gravi danni alla vita economica e sociale della popolazione, ma non rallentano, anzi favoriscono - complice la corruzione e il malgoverno dilaganti - le attività di sfruttamento e contrabbando delle materie prime preziose di cui il Paese è ricco.

Dall’inizio del 2019, nei pressi della cittadina di Bozoum, dove da molti anni vive e opera il missionario carmelitano Aurelio Gazzera (nella foto), delle imprese cinesi hanno aperto almeno 17 cantieri se non di più per cercare ed estrarre l’oro nel fiume Ouham. Padre Aurelio, a marzo, ha lanciato l’allarme per i danni ambientali provocati da queste attività estrattive. Nel suo blog Bozoum in diretta e nella sua pagina Facebook ha raccontato che le imprese deviano il corso del fiume, che scorre a pochi chilometri da Bozoum, per setacciarne il fondo con ruspe e scavatrici, lasciando ovunque montagne di ghiaia, buche piene d’acqua, il corso del fiume rovinato e acqua inquinata probabilmente con il mercurio che favorisce il ritrovamento dell’oro. “Solo tra macchinari e carburante - scriveva padre Aurelio - ho calcolato una spesa giornaliera di almeno 30.000 euro. E quanto devono guadagnare per spendere così tanto? Le autorità fanno finta di non sapere niente, e l’oro parte verso il Camerun, ogni settimana. E alla frontiera (stranamente) nessun controllo! E nelle casse dello Stato non entra niente!”.

Poi però era arrivata inaspettata la buona notizia. Il ministro delle miniere, dell’energia e delle risorse idriche, Sylvain Ndoutinga, il 25 marzo aveva ordinato la sospensione delle attività delle imprese cinesi “per violazione degli obblighi relativi alla protezione dell’ambiente”. Il 29 marzo padre Aurelio scriveva: “Da tre giorni i cantieri sono fermi! È una prima, piccola vittoria, e speriamo che effettivamente le ditte cinesi siano obbligate a rispettare le regole, e a sistemare i danni che hanno fatto”. Ma già il giorno successivo un post annunciava: “Nonostante la decisione del Ministro di sospendere le attività di estrazione dell’oro a Bozoum, la ditta cinese continua a scavare, giorno e notte. Complicità? Sfida?”. E il 6 aprile: “Si sentono le scavatrici in funzione a due chilometri di distanza. Benché il controllo di polizia di Doussa si trovi a poca distanza, l’impresa cinese continua a lavorare in pieno giorno (e tutte le notti). Hanno deviato il fiume, aperto un canale e stamattina c’erano quattro scavatrici e una grande macchina per setacciare il letto del fiume Ouham, il tutto a meno di cinque chilometri dalla città. Il cantiere è lungo più di un chilometro e mezzo ed è solo uno dei 16-20 siti esplorati dai cinesi, sotto gli occhi di tutti, autorità (almeno quelle locali) incluse”.

Da allora padre Aurelio ha continuano a controllare e documentare le attività estrattive, pubblicando fotografie e filmati dello scempio in atto. Anche il 27 aprile si è recato nei pressi di un cantiere per scattare delle fotografie... ed ecco il racconto di quel che è successo in un post pubblicato sulla sua pagina Facebook:

Edizione speciale. Questa mattina, sabato 27 aprile, volevo vedere la situazione del fiume Ouham, e le imprese cinesi per l’estrazione dell’oro. Ho fatto alcune foto: i cantieri non si sono fermati. Quando prendo la strada per rientrare arriva un militare, che mi intima di fermarmi. È armato, e non ho molta fiducia, e dico che io vado avanti. Chiama con la radio altri soldati, che arrivano immediatamente. Mi chiedono perché sono andato a fare delle foto del sito, e dico loro che non è vietato, ma anche che non ero nel cantiere, ma dall’altra parte di quello che era il fiume Ouham. Sono molto agitati e gridano contro di me, mi confiscano la macchina fotografica e il telefono e mi perquisiscono. Mi accompagnano dove ho lasciato la macchina e mi dicono che sono in arresto! Uno di loro mi dice: ma non ti vergogni, tu, uomo di Dio, di fare queste cose? Gli rispondo che invece ho vergogna per lui che dovrebbe proteggere il paese e non venderlo agli stranieri…
Dato che insisto sul fatto che non ero nel cantiere, vogliono che torniamo lì dove ho scattato le foto. Prendiamo il sentiero, in pieno sole, e percorriamo 1,5 km per la terza volta. Finalmente torniamo alla macchina, e prendono le chiavi, mi fanno salire dietro e partono a grande velocità verso la Brigade Minière (dono dei cinesi !!!!). Ma dobbiamo attraversare la città e le persone capiscono che c'è un problema.
Arriviamo alla Brigade Minière, e subito una folla di giovani, donne e persone arrivano, urlando e chiedendo il mio rilascio. La situazione è quasi comica: i militari che hanno paura e non sanno cosa fare, e io aspetto ... E pretendo che mi riconsegnino prima il telefono e la macchina fotografica. Dopo pochi minuti, decidono di liberarmi. Finalmente, esco dalla Brigade Minière. La folla è pazza di gioia, e riparto in motocicletta. Le chiavi dell'auto non sono ancora arrivate. L’intera città è sulla strada, tutti contenti per la mia liberazione, ma anche molto arrabbiati con le autorità e soprattutto con la ditta cinese. Torno alla missione, ma in città la situazione è esplosiva: la gente costruisce delle barricate e l’auto di un cinese viene bruciata.
Le persone minacciano di scendere nei siti dei cantieri per scacciare i cinesi. Torno quindi in città con il prefetto e il procuratore della Repubblica, e cerchiamo di calmare la folla. Ma proprio in quel momento, una macchina del FACA (Esercito Centrafricano) arriva a tutta velocità, con una dozzina di elementi. Sono armati, ma la folla (3.000-4.000 persone) va verso di loro e li respinge. Quando sono vicini alla loro macchina, iniziano a sparare, ad altezza d’uomo! Ci gettiamo a terra e, grazie a Dio, non ci sono né feriti né morti!
Alla fine ripartono. Porto la folla di nuovo verso il centro della città, e salgo su una barricata, e li invito a tornare a casa, e di non fare azioni violente. E che questi problemi di sfruttamento selvaggio devono essere regolati secondo la legge. E se ne vanno!
Singila na Nzapa. Grazie a Dio!