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KENTUCKY

Kim Davis, la prima vittima delle nozze gay

Rifiuta di firmare le licenze per matrimoni omosessuali e finisce in carcere. Succede a Kim Davis, cancelliera di una piccola contea del Kentucky. La Corte Suprema, con la sua storica sentenza del 26 giugno sulle nozze gay, aveva garantito il rispetto della libertà di culto. Il caso Davis dimostra il contrario.

Libertà religiosa 06_09_2015
Kim Davis

La sentenza della Corte Suprema degli Usa “Obergefell contro Hodges” del 26 giugno scorso, che impone a tutti i 50 stati la legalizzazione delle nozze gay, ha fatto la sua prima vittima di coscienza. La cancelliera Kim Davis, della contea rurale di Rowan, Kentucky, è finita in galera per non aver firmato le licenze per quattro coppie, due delle quali formate da omosessuali. Si è appellata al diritto di libertà di religione e coscienza (è una cristiana protestante apostolica) e il giudice federale David Bunning le ha dato torto, comminandole il massimo della pena prevista: due settimane di carcere.

La Corte Suprema, emettendo la sua sentenza sulle nozze gay, aveva garantito il rispetto della libertà di culto: “Le religioni, e coloro che aderiscono con sincera convinzione a dottrine religiose, potranno continuare a sostenere che per precetto divino il matrimonio fra persone dello stesso sesso non può essere ammesso”. La vicenda del Kentucky dimostra proprio il contrario. Le decisioni del giudice del Kentucky e il parere emesso dalla stessa Corte Suprema, sul caso Davis, contraddicono completamente questo principio. Il giudice Bunning ha imposto alla cancelliera di: “adempiere alle proprie funzioni, nonostante le sue convinzioni religiose”. La Corte Suprema, a cui il legale della funzionaria si era rivolto per ottenere una proroga (che era stata concessa in altri casi analoghi, ma prima della sentenza Obergefell contro Hodges), ha respinto la richiesta, ritenendo che: “Non è suo (di Kim Davis, ndr) diritto non agire in conformità della Costituzione”. Il principio è chiaro: la legge positiva, ora dettata da una sentenza della Corte Suprema, supera qualsivoglia diritto alla libertà di religione, benché questo sia protetto dal Primo Emendamento della Costituzione statunitense.

Kim Davis ha, suo malgrado, sperimentato il grado di intransigenza del nuovo corso, con una sua obiezione di coscienza. Ha rifiutato di emettere licenze matrimoniali (per ogni tipo di coppia) dal momento della pubblicazione della sentenza della Corte Suprema e non ha mai cambiato rotta, né ha mai accennato alla possibilità di rassegnare le dimissioni. La sua è infatti una carica elettiva e può essere revocata solo con le dimissioni volontarie, con un impeachment o con nuove elezioni, non con un licenziamento. Sull’obiezione di coscienza della Davis sono sorti dubbi anche in ambito conservatore. Ad esempio, David Harsanyi, benché contrario alla sentenza del giudice Bunning, nel suo editoriale sulla National Review, scrive: “Se vuoi partecipare ad azioni di disobbedienza civile, non lavorare per lo Stato”, altrimenti prevarrebbe l’istinto anarchico. Tuttavia, come il suo collega David French fa notare sulla stessa rivista conservatrice, che se Kim Davis avesse rassegnato le sue dimissioni, avrebbe, di fatto, garantito una duplice vittoria al fronte pro-nozze gay: non solo una nuova legge, ma anche una purga di tutti i funzionari cristiani che, nella loro coscienza, non l’accettano. Come si può pretendere che in un paese fondato sulla libertà di religione, un cittadino sia costretto a scegliere fra il proprio credo e l'obbedienza alla legge? 

Anche le quattro coppie che hanno portato Kim Davis in tribunale hanno compiuto una prova di forza legale deliberata. Sarebbe bastato loro rivolgersi alla contea vicina, a pochi minuti di auto, per ottenere la licenza matrimoniale. Invece hanno querelato la Davis chiedendo che venisse multata. Hanno trovato un giudice più realista del re, che ha mandato in carcere la cancelliera ribelle. “Con che autorità lei rifiuta di firmare la licenza” chiedevano alla Davis le coppie querelanti, portandosi i giornalisti al seguito. “Con l’autorità del Signore”, rispondeva lei, pubblicamente, davanti alla selva di telecamere. Un dialogo che sa di persecuzione, quando l’aguzzino spinge il credente a rinnegare Dio. Il marito, Joe Davis, ha dichiarato alla stampa di aver anche ricevuto minacce affinché la moglie cedesse. La stampa, soprattutto negli Usa, ma di riflesso anche in Italia, ha proceduto nella stessa direzione, con un’opera di infangamento personale e persino un processo alle intenzioni. Ad esempio, il corrisponde de La Repubblica Vittorio Zucconi ha sottolineato la presunta “incoerenza nella fede” della Davis, per i suoi "tre divorzi e quattro matrimoni", come se fosse possibile per l'uomo indagare nel cuore e nella coscienza di una credente. Si ironizza anche sul presunto "familismo" della Davis, che è stata eletta al posto di sua madre e a sua volta ha assunto suo figlio, senza tener conto che la legge locale lo consente e che la contea di Rowan è una piccola comunità rurale con 23mila abitanti in tutto. E infine si sottolinea il paradosso che la Davis è democratica e il giudice che l’ha fatta finire dietro le sbarre è un repubblicano, senza contare che qui si parla di religione, non di politica. E così come esiste una maggioranza di democratici cristiani, esiste anche una minoranza di repubblicani che antepongono la legge positiva dello Stato al principio di libertà di religione. 

Adesso le quattro coppie del Kentucky hanno potuto celebrare le loro nozze, con le licenze firmate dai funzionari della contea, tutti tranne il figlio della Davis, che ha proseguito l’obiezione di coscienza della madre. Secondo l’avvocato della cancelliera, l’assenza della sua firma rende nulli i nuovi matrimoni. Kim Davis è infatti una cittadina non più libera, ma la sua carica non è decaduta. E non ha affatto rinunciato alla sua obiezione di coscienza. Avrebbe potuto essere scarcerata se solo avesse chiesto ai suoi funzionari di firmare le licenze, ma ha rifiutato anche questa possibilità. “Il matrimonio è l’unione di uomo e di una donna”, è stata la sua ultima dichiarazione da donna libera. Rimarrà in carcere per una breve detenzione di una settimana, il massimo della pena per il suo tipo di reato. Vi rimarrà “tutto il tempo necessario” dice alla stampa il marito Joe. Necessario a veder riconosciuto il diritto all’obiezione di coscienza.