Kerala, sventato l'esproprio dei beni della Chiesa
Insolito rovesciamento dei ruoli nel Kerala, India, uno degli Stati più popolati da cristiani. Una commissione statale progetta una legge che porterebbe al controllo diretto dei beni della Chiesa da parte dello Stato. Un commissariamento, di fatto. A opporsi al provvedimento, stavolta, sono i comunisti, che guidano il governo di sinistra.
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La potente leadership delle Chiese nello Stato del Kerala meridionale ha tirato un respiro di sollievo dopo che Pinarayi Vijayan, il comunista a capo del governo dello Stato, ha rifiutato un progetto di legge, firmato dalla Commissione per le Riforme delle Leggi di Stato, che avrebbe permesso al governo di prendere il controllo delle proprietà della Chiesa.
Il primo ministro Vijayan, alla guida del governo del Kerala, lo ha assicurato, il 6 marzo, quando una mezza dozzina di leader cristiani, guidati dall’arcivescovo Susai M. Pakiam, presidente della Conferenza dei vescovi cattolici del Kerala (Kcbc), si è rivolto a lui per renderlo edotto della preoccupazione delle Chiese su questa mossa controversa. Il progetto di legge, intitolato “Legge sulla Chiesa del Kerala (proprietà e istituzioni) del 2019”, che cercava di far sì che la Chiesa rendesse conto al governo delle sue proprietà, era stato diffuso online dalla Commissione per la Riforma della Legge, per informare l’opinione pubblica. Ciò aveva suscitato un coro di proteste di varie confessioni cristiane.
Il Kerala è il più solido zoccolo duro cristiano dell’India, con una comunità di quasi sette milioni di fedeli, la maggior parte dei quali fanno risalire la loro origine a San Tommaso apostolo che, si dice, ha diffuso la fede sulle coste del Kerala sin dal 52 d.C. L’attuale popolazione cristiana nel Kerala è pari a circa il 19% della popolazione totale dello Stato (34 milioni di persone), la comunità gestisce la maggior parte delle 20mila istituzioni scolastiche e degli ospedali nello Stato, con la Chiesa Cattolica nel ruolo di protagonista.
“Prima che la Commissione lo facesse (di diffondere il testo del progetto di legge, ndr) non si è mai consultata con il governo”, ha precisato un comunicato stampa emesso dalla presidenza del consiglio dello Stato, dopo l’incontro con le delegazioni dei responsabili delle chiese cristiane. Inoltre, il comunicato assicura: “Vogliamo assolutamente assicurare tutti gli interessati che questo governo non ha alcuna intenzione di applicare la Legge sulle Chiese”. Tuttavia, si deve ricordare che durante la precedente coalizione del Fronte Democratico di Sinistra, guidata dai comunisti (2006-11), la Commissione per la Riforma delle Leggi di Stato, aveva proposto una legge analoga, ma il governo non l’aveva mai applicata.
Il rifiuto categorico della controversa riforma da parte dei comunisti al governo, è emerso per la prima volta il 1 marzo, quando Kodiyeri Balakrishnan, segretario del Partito Comunista del Kerala, ha dichiarato ai media che il governo non avrebbe messo all’ordine del giorno la proposta di legge. Questo annuncio è arrivato un giorno dopo che il Consiglio inter-ecclesiastico delle maggiori confessioni, guidato dalla Chiesa Cattolica, si è riunito vicino a Kottayam per protestare contro la proposta. Prima dell’incontro, il Kcbc aveva emesso una circolare che doveva essere letta in tutte le chiese cattoliche il 3 marzo, che stigmatizzava la legge come “fuorviante e una violazione dei diritti costituzionali delle minoranze religiose”, protetti dall’articolo 26 della Costituzione dell’India.
L’articolo 26 assicura alle minoranze religiose la libertà di “gestire i propri interessi in materia religiosa” e il diritto di “amministrare le proprietà nel rispetto della legge”. La circolare del Kcbc sottolineava che “tutte le transazioni immobiliari della Chiesa e la gestione delle sue istituzioni sono soggette a leggi civili importanti e a norme governative di controllo finanziario”. Oltre a ciò, si leggeva nella circolare, “ci sono sufficienti disposizioni di legge che permettono al governo e ai tribunali di intervenire nella gestione delle istituzioni della Chiesa”. Se le proprietà della Chiesa e le sue istituzioni sono poste sotto il controllo diretto del governo, come voleva questa legge, la circolare del Kcbc avverte che: “si arriverà al caos” con il moltiplicarsi degli interventi. “La legge è un espediente per prendere il controllo governativo delle istituzioni e delle proprietà della Chiesa”, ribadiva il Kcbc.
Padre Paul Thelakkat, direttore di Sathydeepam (Luce della Verità), quindicinale in lingua inglese pubblicato a Kochi, sottolineava: “Il progetto di legge afferma che non esiste alcuna legge che permette alle chiese di amministrare le loro proprietà (…) Interferenze di questo genere, in passato, erano tipiche dei regimi marxisti in tutto il mondo”. “La Costituzione rende chiaro che lo Stato non deve interferire negli affari delle chiese, è contro la natura laica del Paese e la sua democrazia laica”, ha scritto padre Thelakkat.
Sul fatto di prendere ad esempio il controllo statale sui templi indù, a giustificazione della legge, padre Thelakkat osserva: “È vero che esiste un sistema legale di controllo governativo per i templi nel Kerala. Ma questo sistema era pensato per i templi dei sovrani di una volta e che ora si trovano nei terreni demaniali. La legge non è applicabile a templi che sorgono su terreni privati”. “Le proprietà della Chiesa sono sempre sotto il controllo della Chiesa e dunque fare un parallelo con l’intervento statale nell’amministrazione dei templi indù non giustifica un intervento analogo nelle proprietà della Chiesa”. Al tempo stesso, padre Thelakkat ammette che, “visti gli ultimi scandali, ci sono alcune sgradevolezze sulla trasparenza della gestione di soldi e proprietà della Chiesa”. “E’ ormai diffusa l’idea che preti e vescovi non debbano occuparsi troppo dell’amministrazione dei beni temporali. Quel che conta veramente è che le proprietà della Chiesa siano gestite con la massima trasparenza. La salute e la ricchezza della Chiesa appartengono al popolo di Dio e devono essere usate per la missione della Chiesa, della quale beneficiano i poveri e i derelitti, nella parrocchia e fuori di essa”. “Il controllo statale e la conseguente interferenza politica negli affari della Chiesa non farebbero che peggiorare la situazione. Ciò di cui si ha bisogno è una rete di sicurezza e norme più rigorose sulla trasparenza all’interno della Chiesa”, suggerisce padre Thelakkat, noto per i suoi punti di vista che sono spesso discordi da quelli della gerarchia.