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PRIMARIE USA

Joe Biden vince e si prepara già a sfidare Donald Trump

Negli Usa abbiamo praticamente già il nome di chi sfiderà Donald Trump alle prossime elezioni presidenziali: è Joe Biden, ex vicepresidente di Barack Obama. Martedì, stando ai risultati già scrutinati (ormai quasi tutti) ha vinto in Michigan, Missouri, Mississippi e Idaho, lasciando al suo avversario Bernie Sanders poche soddisfazioni

Esteri 12_03_2020
Joe Biden

Negli Usa abbiamo praticamente già il nome di chi sfiderà Donald Trump alle prossime elezioni presidenziali: è Joe Biden, ex vicepresidente di Barack Obama. Martedì, stando ai risultati già scrutinati (ormai quasi tutti) ha vinto in Michigan, Missouri, Mississippi e Idaho, lasciando al suo avversario Bernie Sanders la magra consolazione di vincere il caucus del North Dakota e un pareggio (il conteggio è ancora da concludere) nello Stato di Washington. La differenza attuale di grandi elettori è di 843 a 681 a favore di Biden.

Irlandese e cattolico “adulto” (padre Robert E. Morey gli rifiutò la comunione perché è dichiaratamente pro-aborto), la politica di Biden è stata offuscata a lungo da quella di Obama. Fra i due, nella precedente coppia presidenziale, pareva essere il più moderato. Anche se moderato non è mai stato: sui valori non negoziabili è indistinguibile dal massimalista Sanders e sulla politica economica può essere più statalista di Obama. Biden ha ottenuto il voto di alcune delle più importanti basi elettorali del Partito Democratico: il voto operaio del Michigan, il voto afro-americano del Missouri (lo Stato della sollevazione di St. Louis del 2014), il voto degli elettori più anziani e anche di diversi repubblicani che non hanno mai digerito Donald Trump e ora cercano un rappresentante “moderato” a sinistra.

Che la battaglia delle primarie sia ormai praticamente vinta da Biden, lo si intuisce anche seguendo i soldi. I grandi gruppi di finanziatori dei Democratici, quali Priorities Usa e American Bridge, rimasti fino ad ora a guardare, hanno aperto i cordoni della borsa e stanno incominciando a finanziare l’ex vicepresidente, come prima mossa delle prossime presidenziali. Convinto egli stesso di avere la vittoria in tasca nella competizione interna alla sinistra americana, Biden, in campagna elettorale a Philadelphia, ha deciso di rivolgersi anche all’elettorato del suo avversario. «Voglio ringraziare Bernie Sanders e i suoi sostenitori per la loro instancabile energia e la loro passione. Condividiamo un obiettivo comune e, insieme, sconfiggeremo Donald Trump. Lo sconfiggeremo assieme». Si tratta di un implicito invito rivolto a Sanders perché si ritiri prematuramente dalla corsa. Difficilmente accetterà: il candidato socialista, che è un esterno rispetto al Partito Democratico, deve tutto alla sua fama di outsider e probabilmente guadagnerebbe maggior prestigio a rifiutare, piuttosto che accettare di farsi da parte in cambio di qualche ruolo nell’eventuale prossimo governo. Se dovesse invece accettare, sarebbe Biden a dover orientare la sua agenda verso il massimalismo di sinistra. Ma gli conviene? Essendo l’alternativa moderata (rispetto sia a Trump che alla sinistra massimalista) no, da un punto di vista strettamente elettorale.

Ora resta da capire il perché di una rimonta così eclatante di un candidato di “establishment”. Partito in sordina, dato per azzoppato dopo le prime sfide in Iowa e New Hampshire, troppo anziano per un partito che vuole rinnovarsi, troppo “di sistema” per un elettorato radicalizzato, troppo ricco per l’elettore pauperista, troppo bianco per un partito che punta tutto sulle politiche identitarie delle minoranze… eppure ha stravinto dal Super Martedì in avanti. La risposta si trova solo in parte nell’efficacia della sua campagna elettorale. Il grosso è dovuto alla strategia del Partito Democratico.

Contrariamente al Partito Repubblicano, che nel 2016 si è dimostrato tanto aperto e flessibile da candidare un non-Repubblicano (Donald Trump), il partito della sinistra americana, in modo non dissimile a quella italiana, si è rivelato molto più centralista. Nelle primarie del 2008 Obama aveva sorpreso tutti battendo Hillary Clinton, ma fu un risultato meno eclatante, perché Obama era pur sempre uomo del partito, oltre che il beniamino dei media liberal. In quelle del 2016 non è stato ripetuto lo stesso “errore” e tutti gli avversari più forti di Hillary Clinton, proprio a partire da Biden, non si erano candidati o si erano ritirati, facendole largo. Era rimasto fino all’ultimo solo lo stesso Sanders, che però era, allora come ora, una scelta radicale. Difficilmente un elettore, per quanto progressista, opta per la candidatura di un socialista dichiarato, dove per “socialismo”, negli Usa, non si intende solo la socialdemocrazia europea, ma anche il comunismo. Anche in queste primarie del 2020 erano tanti i nomi in vista e ciascuno poteva vantare un eventuale primato alla Casa Bianca: Buttigieg (primo presidente gay), la Warren (prima presidente donna), Bloomberg (un miliardario che sfida Trump). Ma tutti loro si sono ritirati, facendo largo al campione prescelto dal partito. In cambio di cosa? Non si sa, lo si vedrà solo in caso di vittoria di Biden e allora in quel caso si potrà verificare chi diverrà vice presidente, chi ricoprirà ruoli governativi di rilievo. Resta Bernie Sanders, come quando era rimasto da solo contro la Clinton. Al candidato socialista spetterà l’onore delle armi o un posto al sole?